di Paolo Michelotto
se c’è una cosa su cui sono d’accordo tutte le elites di tutti i paesi, è che sulla creazione della moneta, i cittadini meno sanno e meglio è. Poi è fuori discussione non non possono decidere nulla sull’argomento.
Invece in Svizzera il 10 giugno 2018 sarà il popolo a votare, dopo aver discusso ed essersi informato, su chi deve avere il diritto di stampare moneta.
Questo grazie allo strumento di democrazia diretta chiamato Iniziativa, che noi in Italia chiamiamo referendum propositivo. Il testo delle iniziative svizzere è scritto da cittadini fuori dal parlamento, vengono raccolte le firme previste e dopo una discussione in Parlamento, se non viene approvato, viene posto al voto di tutti i cittadini. Vero è che storicamente i cittadini svizzeri sono molto restii ad approvare le iniziative, solo 1 su 10 è stata approvata in passato. Ma il fatto di essere messa al voto, crea informazione e consapevolezza sul tema e spesso dopo qualche anno vengono comunque approvate leggi che vanno in direzione di quanto richiesto dai cittadini.
Qui un interessante articolo, che riporto integralmente:
DI STEFANO DI FRANCESCO
Nel più totale silenzio dei media nazionali, impegnati a spargere fumo e polemiche sul nascente Governo Lega- M5S, si voterà domenica 10 giugno in Svizzera un referendum popolare per far si che i franchi svizzeri possano essere creati solo ed esclusivamente dalla Banca Centrale Svizzera.
Si tratta di un evento eccezionale, poiché per la prima volta nel mondo un popolo è chiamato a votare un sostanziale cambiamento dell’attuale sistema di creazione del denaro.
Oggi infatti, in Svizzera come anche in Italia, in Europa e nel mondo, la moneta viene creata solo per una piccolissima parte dallo Stato (sono le monete metalliche che rappresentano appena lo 0,3% del totale in circolazione) e un’altra piccola parte dalla Banca Centrale (sono le banconote che costituiscono circa il 7% del totale), mentre il restante più del 90% del denaro viene creato dalle banche commerciali mediante i prestiti.
Le principali conseguenze di un sistema così strutturato in Italia sono che:
Per renderci conto di quanto sia fallimentare un sistema di creazione monetario come quello attuale, basta considerare il fatto che l’Italia, nonostante abbia realizzato Avanzi primari di bilancio dal 1990 ad oggi di circa 750 miliardi di euro, ha visto il proprio debito pubblico crescere senza sosta a causa degli interessi pagati sullo stesso, che dal 1980 ammontano ad oltre 3.500 miliardi ( ben più del debito pubblico che è oggi di 2.300 miliardi).
L’unica soluzione per interrompere questa follia, attraverso la quale vi è un costante e crescente trasferimento di ricchezza nelle mani di pochi privilegiati (rentier li chiamava Keynes) a discapito della comunità intera, è quello di far si che la moneta venga creata solo dallo Stato, unico titolare della Sovranità Monetaria.
L’iniziativa Moneta intera fa sì che tutto il denaro, monete metalliche, banconote o moneta scritturale elettronica, sia sempre costituito da franchi svizzeri sicuri perché emessi non più da soggetti privati, ma dalla Banca Nazionale Svizzera. Già nel 1891 il Popolo elvetico decise di attribuire alla sola Banca nazionale il diritto di emettere banconote. L’iniziativa Moneta intera estende ora questa soluzione collaudata alla moneta bancaria, oggi predominante, facendone «contante elettronico. L’utile derivante dall’emissione di moneta da parte della BNS tornerà ovviamente allo Stato e dunque andrà a vantaggio della collettività.
Alle banche commerciali resterà la possibilità di concedere prestiti e regolare i conti dei clienti, ma non potranno più creare moneta attraverso il meccanismo del prestito.
Si tratta di una rivoluzione epocale, che va oltre le solite diatribe di casa nostra, euro-si od euro-no; è una visione della società radicalmente differente in cui si afferma che è la moneta al servizio della comunità e non il contrario come purtroppo avviene oggi.
Moneta Intera in Svizzera, come anche Moneta Positiva in Italia, sono membri dell’International Movement for Monetary Reform che vanta associazioni simili in n.28 paesi al mondo. https://internationalmoneyreform.org/
Speriamo che presto, anche in Italia attraverso la campagna Moneta Positiva, si possa avviare a più livelli un discorso serio e rigoroso, al fine di giungere ad un radicale cambiamento del sistema di creazione della moneta, concorrendo a realizzare un mondo più giusto e solidale.
Ma la moneta deve essere di proprietà dei cittadini e libera dal debito.
Stefano Di Francesco
Associazione Moneta Positiva
http://monetapositiva.blogspot.it/
Fonte: www.comedonchisciotte.org
07.06.2018
Di Paolo Michelotto
Mercoledì 4 Maggio 2016 sarò a un incontro pubblico che si terrà alle ore 20.30 in Sala Consiliare a Vignola (MO).
Si tratta dell’incontro di formazione conclusivo nell’ambito del percorso partecipato di modifica dello Statuto Comunale di Vignola.
Interverrò io e Andrea Morrone, Prof. Ordinario di diritto costituzionale della facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna.
Io parlerò del Referendum Finanziario e farò una proposta per un nuovo strumento di democrazia e di partecipazione, chiamato “Scelta partecipata” pensato con lo scopo di superare i problemi e i lati negativi del Bilancio Partecipativo.
qui il volantino completo in formato pdf
di Paolo Michelotto
l’11 febbraio 2015 sarà finalmente disponibile il libro “La democrazia diretta vista da vicino” di Leo Zaquini.
È un libro molto interessante di cui ho avuto il piacere di leggere una prima versione pre-stampa. Interessante perchè scritto con gli occhi e l’esperienza di un cittadino italiano, che vive in Svizzera e prima ha combattuto per avere il diritto di voto nel suo comune e l’ha ottenuto e poi ha combattuto per avere il diritto di essere eletto consigliere comunale e anche quella battaglia ha avuto successo. Per entrambe le battaglie ha usato gli strumenti di democrazia diretta che erano già esistenti. Una volta dentro all’amministrazione del suo comune svizzero ha potuto conoscere in dettaglio il funzionamento della democrazia diretta svizzera e rapportarsi con i rappresentanti e capire come loro concepiscono il loro ruolo.
Utile per noi cittadini, sarebbe una lettura fondamentale anche per i nostri amministratori o aspiranti tali.
Edizioni Mimesis.
Di Paolo Michelotto
Così vicini, eppure così lontani. Un presidente che scende dal bus, che dura in carica un anno, che fa il discorso dal mercato che frequenta, che non ha scorta e corazzieri al seguito e che elogia la democrazia diretta. Un presidente così E’ IL RISULTATO della democrazia diretta.
qui il video
http://www.rsi.ch/news/svizzera/Elogio-alla-democrazia-diretta-3428842.html
Di seguito, l’allocuzione completa di Simonetta Sommaruga:
“Care concittadine, Cari concittadini,
da molti anni faccio la spesa proprio qui, al mercato in Piazza federale. Compro frutta e verdura, ma anche piantine per il mio giardino. E continuerò a farlo anche durante il mio anno di presidenza.
Perché andare al mercato è un’esperienza così particolare? In fin dei conti potremmo ordinare tutto su Internet, senza nemmeno uscire di casa. Per me la risposta è chiara e penso che siamo in molti a pensarla così.
Mi piace andare al mercato perché conosco le bancarelle e le persone che ci lavorano, so chi vende il formaggio migliore e i fiori più belli. Incontro amici e conoscenti e alcune volte posso scambiare quattro chiacchiere. Per me il mercato significa familiarità e vicinanza.
La familiarità e la vicinanza sono anche caratteristiche della nostra democrazia diretta.
In nessun altro Paese i cittadini hanno così tanto potere e responsabilità. Ed è proprio questo che mi piace della nostra democrazia: il suo coraggio e la grande fiducia che ha in noi.
Alcuni pensano che la democrazia diretta non sia un sistema al passo coi tempi: ritengono che nel mondo interconnesso di oggi la popolazione non è più in grado di decidere su temi molto complessi. È un’opinione che non condivido per nulla.
Anzi, sono convinta che il nostro sistema politico sia particolarmente adatto alla nostra epoca. Da noi, infatti, le responsabilità sono assunte non soltanto dal Consiglio federale e dal Parlamento, ma anche dalle cittadine e dai cittadini che possono esercitare la loro influenza e partecipare alle decisioni. È proprio questa partecipazione che crea vicinanza e fonda la nostra identità. Ed è proprio questo di cui abbiamo bisogno.
È sempre stato così e continua ad esserlo oggi più che mai, nell’era della globalizzazione.
Il nostro Paese nel ventunesimo secolo assomiglia a un mercato come questo, dove la globalizzazione già da tempo fa sentire i suoi effetti. Il tonno del pescivendolo non è stato pescato nel lago di Thun, il mango non è stato raccolto sulle rive dell’Aar.
Oggi, nei nostri mercati, la frutta esotica e altri prodotti da tutto il mondo sono venduti insieme alle mele e alle insalate delle nostre campagne.
E ciò nonostante – o forse proprio per questo – qui ci sentiamo a casa. Un mercato è un luogo aperto a tutti. Un luogo di scambio. Un luogo in cui tutto il mondo si ritrova. Un luogo dove proviamo un senso di vicinanza e dove abbiamo le nostre radici.
Care concittadine, cari concittadini, cosa rende particolare il nostro Paese? Cosa forma la nostra identità? La nostra tradizione, le nostre radici? Oppure la nostra apertura, i nostri legami con il mondo, la nostra solidarietà?
Non c’è una sola risposta, ma valgono entrambe: le nostre radici e i nostri legami con il mondo.
Care concittadine, cari concittadini, l’anno che sta per iniziare di certo non sarà facile. Ma sono convinta che può essere un buon anno.
Auguro di cuore a tutti voi e ai vostri cari forza, salute e ogni bene per il nuovo anno”.
di Paolo Michelotto
riporto qui un interessante articolo di Guglielmo Piombini apparso su http://www.libreriadelponte.com/ dove parla del libro Conoscere la Svizzera. Il segreto del suo successo” (Dadò editore). Il segreto è l’utilizzo sano ed ampio che i cittadini fanno degli strumenti di democrazia diretta che si sono conquistati passo dopo passo e con fatica nel corso degli ultimi 150 anni.
Così in tutte le scelte pubbliche l’ultima parola spetta sempre al Sovrano (si definiscono proprio così nella loro Costituzione Federale), il popolo svizzero.
di Guglielmo Piombini
La Svizzera sta vivendo un periodo di grande prosperità economica, soprattutto se confrontata con i paesi vicini. La disoccupazione, anche tra i giovani, è praticamente inesistente. Gli stipendi nel Canton Ticino sono mediamente il doppio di quelli italiani, mentre nella Svizzera tedesca sono il triplo. In particolare Zurigo vanta il primo posto al mondo per i salari più alti, davanti a New York, Tokio, Londra, Stoccolma e Parigi (a Zurigo si guadagna il doppio rispetto alla capitale francese). Gli svizzeri hanno di recente respinto con un referendum il salario minimo legale, ma di fatto non esistono impieghi pagati meno di 2000 franchi svizzeri al mese (1850 euro); il 96,3 per cento degli svizzeri, infatti, guadagna più di questa cifra. La tassazione è molto più bassa rispetto all’Italia e agli altri paesi europei, però il costo della vita è più alto del 30-40 per cento, e inoltre vi sono alcune spese obbligatorie abbastanza rilevanti, a partire dall’assicurazione sanitaria privata. Ad ogni modo, secondo l’Ufficio Federale di Statistica nel 2011 il reddito disponibile medio per famiglia, una volta dedotte tutte le imposte e le assicurazioni obbligatorie, è stato di 6750 franchi al mese, ossia 5500 euro. Rispetto al 2006 il reddito medio mensile di ogni famiglia svizzera è cresciuto di 650 franchi (533 euro).
La Svizzera: un drago dell’economia
Come ha fatto questo paese di soli otto milioni di abitanti, stretti in un territorio inospitale e montagnoso al 65 per cento, senza sbocchi al mare e senza risorse naturali, a parte le acque delle sue dighe idrauliche, a raggiungere questi risultati economici? A dispetto degli stereotipi, la Svizzera non è soltanto un paradiso fiscale, e del resto lo sarà sempre meno vista la progressiva abolizione del segreto bancario. La Svizzera è prima di tutto una potenza economica, tecnologica e scientifica. Solo il 5,6 per cento della popolazione attiva lavora nel settore bancario e assicurativo, generando però il 15 per cento del pil, a conferma della loro forte produttività. Per il resto la Svizzera ha una industria estremamente competitiva in molti settori ad alto valore aggiunto, come la farmaceutica, la chimica e l’alta tecnologia. La sua forza sono le numerosissime piccole e medie imprese che commerciano con il mondo intero: 138.000 entità che danno lavoro a 2,2 milioni di persone, ossia un’impresa ogni 55 abitanti. I patetici lamenti italici o francesi contro la globalizzazione qui non hanno attecchito. Gli svizzeri si sono inseriti con entusiasmo nell’economia globalizzata, hanno respinto ogni tentazione protezionista e si sono specializzati nei settori dove erano già forti, continuando a guadagnare fette di mercato in un ambiente globale altamente concorrenziale. All’opposto dell’Italia, la Svizzera si è reindustrializzata proprio grazie alla globalizzazione.
Gli abitanti della Confederazione Elvetica dimostrano con i fatti che l’inventiva e il lavoro sono la fonte della prosperità. Questi saggi e indefessi lavoratori hanno sempre bocciato con referendum tutte le reiterate proposte di ridurre per legge l’orario di lavoro. Nel marzo 2012 hanno respinto in maniera massiccia l’iniziativa lanciata dai sindacati per “sei settimane di congedo per tutti”, e hanno continuato a lavorare più degli omologhi europei. Hanno in media solo 29 giorni di riposo all’anno contro, ad esempio, i 40 dei francesi. Inoltre, grazie a regole del mercato del lavoro molto liberali, in Svizzera lavorano tutti, giovani e anziani. La Svizzera conta infatti il 68 per cento di popolazione attiva nella fascia di età tra i 55 anni e i 64 anni: un record europeo. Secondo una recente inchiesta il 96 per cento delle persone sopra i 55 anni si sono dichiarate soddisfatte delle loro condizioni di lavoro.
Il segreto del successo: la concorrenza fiscale
Mentre nell’inferno fiscale e burocratico italiano dal 2007 a oggi gli investimenti esteri sono crollati del 58 per cento, la Svizzera continua ad attirarli come un magnete. Il 59 per cento delle società straniere che hanno insediato il loro quartier generale in Europa, come Hewlett-Packard, Gillette, Procter & Gamble, Ralph Laure, Colgate Palmolive, Cisco o General Motors, hanno scelto la Svizzera. Anche Microsoft e Google hanno stabilito a Zurigo il loro centro di ricerca europeo. Questo fatto fa infuriare i politici europei, che si vedono sfuggire di mano miliardi di imposte a causa della “sleale” concorrenza fiscale svizzera. Nel 2007 un politico socialista francese, Arnaud Montebourg, ebbe un breve periodo di notorietà quando si lanciò in una durissima accusa contro la “mancanza di civismo e la fuga” dei contribuenti francesi più ricchi “nei paradisi fiscali alle porte dell’Europa”. «Fin dove può giungere la nostra tolleranza nei confronti della Svizzera? – tuonò Montebourg – Non sarebbe forse meglio assumere il confronto inevitabile con questi territori, come fece il generale De Gaulle nel 1963 quando decretò il blocco contro il Principato di Monaco, che dovette così piegare la schiena di fronte alle esigenze fiscali francesi?». Il giorno seguente il quotidiano Liberation uscì con questo titolo a grandi caratteri in prima pagina: “Evasione fiscale. Bisogna invadere la Svizzera?”
La risposta degli svizzeri a questo novello Robespierre è stata secca e definitiva: «Non c’è nulla da trattare. Montebourg non conosce il sistema fiscale elvetico». Il governo svizzero non poteva trattare su questioni fiscali con il governo francese neanche se l’avesse voluto, perché la Svizzera è una Confederazione nella quale ciascuno dei 26 cantoni è padrone della propria fiscalità. Non solo: all’interno di ogni singolo cantone la competizione fiscale tra i comuni è ancor più accanita. Al deputato francese sfuggiva inoltre un altro dato fondamentale: la partecipazione decisiva dei contribuenti alla determinazione dei tassi d’imposta. In Svizzera, infatti, sono i cittadini che votano la maggior parte delle aliquote fiscali attraverso la democrazia diretta e i referendum. Per realizzare il suo obiettivo Montebourg avrebbe quindi dovuto fare il giro di tutti i comuni e di tutti i cantoni elvetici, e perorare la sua richiesta di “armonizzazione fiscale” con la Francia davanti ai cittadini riuniti per le votazioni a Obvaldo, Nidvaldo, Glarona o Appenzello. Molto difficilmente però sarebbe riuscito a ottenere il loro consenso, dato che, come spiega l’economista svizzero Beat Kappeler, le istituzioni locali elvetiche «producono un tipo particolare di politico dell’esecutivo, investito della delicata missione di mantenere uno Stato minimale: egli è il delegato del popolo, incaricato di sorvegliare il mostro e non certo di renderlo potente, splendido, seducente».
Gli elvetici, infatti, non hanno nessuna intenzione di rinunciare al loro sistema perché, come spiega l’ex ministro delle finanze della Confederazione Hans-Rudolf Merz, la concorrenza fiscale interna è garanzia di efficienza e di innovazione. Ogni cantone è libero di sperimentare soluzioni inedite e poi, a seconda dei risultati, le soluzioni migliori vengono adottate, mantenute e eventualmente imitate. Nel 2007 il Canton Obvaldo, vero e proprio laboratorio fiscale della Svizzera, fu il primo ad adottare una tassa piatta con aliquota bassissima all’1,8 per cento per tutti i redditi, con esenzione totale sotto i 10.000 franchi. Visti i buoni risultati, questa innovazione fiscale venne copiata l’anno successivo dal Canton Turgovia. Generalmente sono i comuni e i cantoni più depressi o svantaggiati che giocano la carta delle riduzioni fiscali per recuperare un po’ di terreno nei confronti dei comuni o dei cantoni più sviluppati e meglio serviti, che possono permettersi di chiedere aliquote più alte ai propri cittadini. Ad esempio, nel 2007 il comune di Saanen nelle Alpi bernesi concesse degli sgravi fiscali ai residenti con un patrimonio particolarmente elevato. Il cittadino svizzero più ricco, l’imprenditore miliardario Ernesto Bertarelli, proprietario di Alinghi (il team svizzero vincitore di due edizione della Coppa America di vela), decise allora di trasferirsi lì dal Canton Vaud, il quale subì una forte perdita di gettito. Nel 2008, bersagliato dalla concorrenza dei cantoni vicini, anche Zurigo si piegò alla competizione fiscale abbassando le aliquote.
Un modello per l’Europa
La Svizzera appare come un paese ben gestito, ma lo stesso non può dirsi per molti altri paesi europei come l’Italia, la Grecia, la Spagna, il Portogallo o la Francia, che hanno accumulato dei debiti pubblici drammatici. Questi bilanci statali disastrati non meritano nessuna compassione. Secondo il professor François Garçon, autore del libro “Conoscere la Svizzera. Il segreto del suo successo” (Dadò editore), gli sperperi enormi che hanno generato questi debiti sono rivelatori della mancanza di civismo della massa di cittadini, per la loro rinuncia al dovere di vigilanza sui propri eletti. Il popolo che scambia i propri eletti per Babbo Natale, ironizza Garçon, viene sempre gabbato. La crisi del debito riflette la noncuranza del popolo sovrano, incapace di prevedere le inevitabili derive cleptomani dei propri dirigenti, e di impedirle. La spiegazione della passività di tanti popoli europei di fronte allo sperpero pubblico e della facilità con la quale gli eletti di qualsivoglia colore politico li hanno raggirati risiede nel fatto che in questo debito, in questa gigantesca depredazione, molti hanno trovato il proprio sporco tornaconto: finti impieghi nell’amministrazione statale, pensioni senza aver versato contributi, e così via. L’accumulo di burocrazia parassitaria e costosa, scrive Garçon, non è la causa, bensì il sintomo del generale putridume.
Mentre gli italiani, i greci, gli spagnoli o i francesi hanno concesso ogni libertà ai loro eletti trasformatisi in predatori, gli svizzeri sono stati vigilanti. Lo sono stati a maggior ragione poiché le istituzioni di cui si sono dotati permettono loro di sorvegliare i propri eletti e di tenerli al guinzaglio. Gli svizzeri in effetti si sono muniti di istituzioni che consentono ai cittadini di far valere in maniera pacifica e civile la loro voce, senza passare dalle violenze di piazza, dai cortei che bloccano le strade, dagli scioperi continui o dalle risse televisive. Da oltre un secolo e mezzo gli svizzeri hanno forgiato degli strumenti politici la cui utilità specifica è quella di ricordare agli eletti che, a differenza di quanto avviene nella pratica di molti paesi a “democrazia rappresentativa” come l’Italia, il mandato di cui dispongono non è assimilabile a un permesso di saccheggio concesso per un periodo di quattro o cinque anni.
La Svizzera ci mostra quindi le virtù di un sistema basato sullo stato leggero, la decentralizzazione nelle decisioni di spesa per evitare gli sperperi, il federalismo concorrenziale, la sorveglianza degli eletti, i referendum su questioni fiscali, e il diritto d’iniziativa, che permette alla popolazione di intromettersi in ogni momento in ciò che la riguarda, canalizzando i malcontenti e dando responsabilità ai cittadini. I popoli europei dovrebbero trarre importanti lezioni da questo superiore modello di organizzazione politica.
di Paolo Michelotto
ho avuto la fortuna di leggere la bozza provvisoria del libro completo “La democrazia diretta vista da vicino” e l’ho trovato entusiasmante. È scritto con linguaggio semplice il funzionamento della democrazia Svizzera, vista con gli occhi di un cittadino italiano, Leo Zaquini che vive e lavora da tanti anni in un piccolo comune svizzero, lotta per avere il diritto di voto per gli stranieri e lo ottiene, lotta per avere il diritto di poter fare il consigliere nel comune che lo ospita ed ottiene anche questo diritto.
Entrambe le cose utilizzando gli strumenti di democrazia diretta disponibili e quindi appellandosi al voto dei cittadini svizzeri. Alla fine diviene consigliere comunale del suo comune e vede dall’interno come ragionano i rappresentanti svizzeri, come si rapportano con gli strumenti di democrazia diretta estremamente forti in mano ai cittadini, e la sana paura di fondo che se agiscono in maniera non consona a quanto i cittadini desiderano venga attivato un referendum contro le loro decisioni.
Stupisce la naturalezza con cui tutto ciò sembra funzionare, come appartenesse alle normali leggi di natura. Tutti trovano assolutamente normale che l’ultima decisione fondamentale spetti al popolo SOVRANO. Ho trovato la lettura appassionante dalla prima all’ultima pagina, perchè io invece conosco la realtà italiana, so come i rappresentanti agiscono e si comportano nei comuni in cui ho vissuto. Sembrano realtà lontane anni luce, invece ci separano solo poche decine di km.
Ma anche in Svizzera fino a 2 secoli le cose funzionavano come da noi e questo fornisce la speranza di poter cambiare. In fondo è quello che sta accadendo per esempio in questi giorni a Parma con “La Giornata della Democrazia”.
Nell’attesa di poter avere disponibile l’intero testo (cartaceo o digitale) che è in valutazione presso un editore e quindi per ora non divulgabile, l’autore ha deciso di farne una sintesi digitale, di qualche decina di pagine, come contributo alla crescita della consapevolezza di come funziona la democrazia dove il popolo ha reale potere decisionale.
Chi è interessato a sapere quando uscirà il volume completo gli scriva mettendo come oggetto “Democrazia Diretta” a leozaquini@bluewin.ch e quando disponibile sarà informato dall’autore.
Scarica qui gli estratti del libro in formato pdf
Il documento si trova originariamente a questo link (l’ho inserito anche in questo blog, nel caso il link esterno in futuro si scolleghi per qualche motivo)
http://files.meetup.com/1091850/DD-vista_da-vicino-vs8-ESTRATTI.pdf
di Paolo Michelotto
ricevo dall’amico Thomas Benedikter, condivido integralmente e molto volentieri pubblico.
Una finanza pubblica più sana dando più potere ai cittadini
L’argomento che attualmente domina il dibattito politico è la crisi di alcuni membri dell’Eurozona, dovuto ad un debito pubblico eccessivo, che mette in ballo la stabilità e la sostenibilità stessa della moneta unica europea. L’Italia è tornata a quota 120% di debito pubblico totale sul PIL, quasi uguagliando la quota della fine del 1994, dopo il breve primo governo Berlusconi (122%). Forse la storia si sta ripetendo. La politica dell’indebitamento è iniziata con la 1a Repubblica, che fino al 1992 aveva accumulato già il 98% di debito sul PIL. È poi allegramente proseguita con la 2a Repubblica, frenata dai governi Prodi, accelerata dai governi Berlusconi. Questa corsa all’indebitamento si consuma con il consenso tacito dei cittadini, che eleggono i partiti di loro fiducia. D’altronde, dalla politica economica e soprattutto dalla finanza pubblica i cittadini sono esclusi da ogni coinvolgimento diretto, tant’è vero che la Costituzione non consente referendum in materia tributaria. Alla luce degli ultimi sviluppi un provvedimento giustificato?
L’indebitamento pubblico è un dato di fondo che pesa sulla nostra economia e incide nel portafoglio dei contribuenti. Benché fossero i contribuenti – o quelli odierni o quelli futuri – a pagare il conto finale, non sono ammessi ad esprimere la loro opinione specifica sulle decisioni di finanza pubblica. Anzi è uno degli spauracchi principali sbandierato quando si discute di rafforzare i diritti referendari dei cittadini, e cioè che i cittadini non debbano essere coinvolti nelle decisioni finanziarie e tributarie. In generale si paventa il rischio che più democrazia ridurrebbe la governabilità, e i cittadini, a differenza dei politici responsabili del bene comune, sarebbero sempre tentati a tagliarsi le imposte. I fatti confermano l’opposto: in Italia la materia fiscale e tributaria è totalmente esclusa dai referendum, i cittadini non hanno voce in capitolo di bilancio pubblico a nessun livello di governo. Lo Stato oggi è superindebitato perché lo hanno voluto i partiti di governo. Anche negli altri paese dell’UE, in cui l’Euro oggi è a rischio a causa del debito pubblico – la Spagna, il Portogallo, la Grecia – non si sono mai svolti referendum nazionali su questi argomenti e sulla spesa pubblica in generale. È l’esclusione dei cittadini da tutte le decisioni sulla politica finanziaria ad avere favorito il superindebitamento. Anziché chiedere il parere dei cittadini per via di un plebiscito – un referendum deciso dall’alto – sul programma di risparmio imposto dall’UE, quindi con la pistola puntata alla tempia, il governo Papandreou e i governi greci precedenti avrebbero fatto meglio di coinvolgere i cittadini già prima sulle grandi decisioni di politica economica, che dopo si sono trasformati in gravissime ipoteche per il bilancio nazionale e l’economia greca.
Dall’altra parte ci sono paesi in cui i cittadini sono titolari del diritto di intervenire anche nella politica finanziaria e fiscale. In Svizzera i cittadini col referendum confermativo hanno il diritto di veto quando ritengono che i politici esagerano col prelievo fiscale o con la spesa pubblica, addossando troppi debiti sui bilanci pubblici, e quindi addossando troppi oneri sulle spalle dei futuri contribuenti, delle generazioni giovani. Con l’iniziativa popolare – in Italia di solito definito referendum propositivo – possono portare a votazione le loro proposte per un fisco più equo, per limitare i debiti, per indurre i politici ad una spesa più equa e equilibrata. Quindi da una parte uno strumento di veto, un freno di emergenza; dall’altra parte lo strumento propositivo, cioè l’acceleratore quando la classe politica, i partiti non si muovono. Infine in tanti Cantoni e tantissimi Comuni svizzeri esiste il referendum finanziario. Quando un progetto pubblico supera una predeterminata soglia di spesa obbligatoriamente i cittadini vengono chiamati ad esprimersi per via referendaria.
Non solo questi diritti popolari, ma anche questi diritti e meccanismi hanno fatto della Svizzera uno dei paesi con minor indebitamento pubblico, con un livello impositivo più basso, con una maggior efficienza dell’amministrazione pubblica e stabilità dell’economia. Ci sono tutta una serie di ricerche non solo in Svizzera, ma anche in California e altri stati federati degli USA che comprovano questa dinamica; cioè dove funzionano bene i meccanismi di democrazia diretta ci sono:
meno spese pro capite per l’amministrazione pubblica e un livello contributivo minore
una distribuzione dei redditi più equa
più responsabilità dei cittadini per il fisco.
In effetti si registra anche un effetto positivo nella lotta contro l’evasione fiscale. Nei Cantoni dove (continua…)
una obienzione che qualcuno fa è che se fossero introdotti gli strumenti di democrazia diretta, poi i primi a subirne le conseguenze sarebbero le minoranze.
Per sfatare questo mito “Iniziativa Più Democrazia” di Bolzano ha organizzato il 21 agosto 2010 una gita a Poschiavo, nel Cantone Grigioni, dove vive la minoranza di lingua italiana del cantone. Ed hanno chiesto loro la situzione reale che vivono. Ecco la newsletter inviata dagli amici di Bolzano sull’esito del viaggio.
Bolzano 27 agosto 2010
La minoranza italiana che ha nella democrazia diretta il suo punto di forza
Il direttivo e membri dell’Iniziativa per più democrazia di lingua italiana sono di ritorno da un viaggio di studio a Poschiavo. La Valposchiavo è una della quattro valli nelle quali si concentra la minoranza di lingua italiana del cantone dei Grigioni, cantone di nascita della Svizzera stessa, adiacente alla nostra provincia, e in particolare luogo di nascita del concetto di democrazia diretta.
Il gruppo di quindici persone si è messo in viaggio per conoscere come questa minoranza vive e valuta la presenza di forti e effettivi strumenti di democrazia diretta a livello cantonale (voto referendario istitutivo e di controllo su nuove leggi e delibere senza quorum) e come essi si riflettono sulle sue condizioni. A tal fine sono stati programmati due incontri con rappresentanti politici cantonali e comunali della valle. Questo interesse ovviamente è scaturito dallo scetticismo di gran parte della popolazione italiana altoatesina che si è espresso in occasione del primo voto referendario propositivo provinciale. Al vaglio è stato innanzitutto un ordinamento della democrazia diretta simile a quello in vigore in Svizzera. (continua…)
gli amici di Mehr Demokratie di Bozen stanno organizzando un viaggio-studio-confronto con la realtà della democrazia diretta svizzera per 20-21 agosto in Val Poschiavo. Riporto il loro comunicato per chi fosse interessato a partecipare.
Pronti per il viaggio di studio in Val Poschiavo
per conoscere il significato della democrazia diretta per una minoranza etnica.
Con e-mail del 12 maggio 2010 Vi abbiamo proposto di fare un viaggio in una delle tre valli del Cantone dei Grigioni nelle quali vive una minoranza linguistica italiana.
Abbiamo ricevuto la disponibilità del signor Livio Mengotti, membro del Gran Consiglio cantonale e rappresentante della Val Poschiavo, di informarci, come ci scrive, “sui nostri strumenti di democrazia diretta, che ci permettono quale minoranza all’interno del Cantone dei Grigioni di difendere i nostri diritti.”
Il viaggio ora è fissato per venerdì/sabato 20/21 agosto utilizzando i mezzi pubblici: treno per Malles, autobus per Zernez in valle Engadina e da lì fino a Poschiavo con la Rhätische Bahn. L’incontro con il signor Livio Mengotti si svolgerà venerdì pomeriggio/sera.
Il pernottamento è possibile sia in un albergo a Poschiavo nonché a Le Prese che dista qualche chilometro da Poschiavo sul lago. Ci saranno a disposizione anche un numero limitato di stanze singole. Preghiamo di comunicarci subito chi volesse usufruirne con una maggiorazione dei costi. Il numero di partecipanti per motivi logistici non potrà superare le 15-20 persone. I costi dipendono dalla possibilità o meno di ricevere un contributo da parte della Regione e si agireranno tra un minimo di 70 euro e un massimo di 150 euro per il viaggio e il pernottamento.
Chi vuole mettersi in viaggio con noi ora è pregato di comunicarcelo in modo definitivo (anche coloro che ci avevano già comunicato di essere interessati) entro e non oltre il 10 luglio. Le prenotazioni saranno accettate fino ad arrivare al numero massimo possibile di partecipanti.
Vi saluto cordialmente
Stephan Lausch
per contatti:
Initiative fur Mehr Demokratie
Via Argentieri 15 – 39100 Bolzano tel 0471 324987
info@dirdemdi.org
abbiamo organizzato a Rovereto un incontro estremamente interessante per conoscere un esempio dove i cittadini decidono e contano davvero, la Svizzera. E avremo con noi un deputato del parlamento svizzero che ci racconterà in che modo i suoi concittadini vivono la democrazia e gli strumenti utilizzati, che noi vogliamo da anni far applicare anche nella nostra città, Rovereto. Senza stravolgimenti o rivoluzioni, ma applicando norme di buon senso comune. Un grande grazie a Monia Benini di “Per il bene comune” che ha contattato Zisyadis, e a Maria, che ha realizzato graficamente il volantino della serata.
Se vuoi conoscere meglio Josef Zisyadis e la sua grande carica di umanità, dai un’occhiata al suo piacevole blog:
Martedì 11 maggio 2010
Centro Civico di Lizzana
Via Panizza 17 ore 20,30
I cittadini decidono
Incontro con il deputato svizzero Josef Zisyadis che ci racconterà come funziona la democrazia nel suo paese, dove i cittadini possono davvero decidere su tutto e quando lo ritengono opportuno.
Ingresso libero
cosa voterebbero gli europei se avessero la possibilità di fare un referendum sui minareti come in Svizzera? Ecco i risultati dei sondaggi fatti in europa e riportati nell’articolo di Domenico Bonvegna. Lo posto qui come ulteriore spunto di riflessione.
LA POPOLAZIONE EUROPEA DICE NO AI MINARETI
Società(21/12/2009) – Il 29 novembre scorso il 57,5% degli svizzeri ha approvato la messa al bando di nuovi minareti sul suolo della Svizzera. Un “Si” massiccio, appena quattro dei 26 cantoni del Paese di 7,7 milioni di abitanti hanno bocciato l’iniziativa anti-minareti: Ginevra, Basilea città, Neuchatel e Vaud. Altrove ha ovunque vinto i sì all’iniziativa con percentuali significative, come in Ticino (68,09%), e punte oltre il 70% ad Appenzello interno. Il “no” ai minareti non è un “no” al diritto di preghiera per i musulmani, ha esplicitamente affermato il parlamentare Oskar Freysinger dell’Unione democratica di centro, tra i promotori del referendum. «Il divieto dei minareti rappresenta un messaggio. La società civile vuole mettere un freno agli aspetti politico-giuridici dell’islam», ha detto Freysinger. Il risultato del referendum è stato criticato da molti, il premier turco Recep Tayyip Erdogan, a capo dell’AKP, partito islamico-moderato Giustizia e Sviluppo, ha pronunciato parole dure contro il referendum, definendo il risultato “il riflesso di un’ondata di razzismo e di estrema destra in Europa”. Ma anche il governo elvetico e la conferenza episcopale elvetica che imbarazzata per il “no” ai minareti, esprime delusione e crede che questo risultato aumenta i problemi della coabitazione tra religioni e culture. Mons. Felix Gmur, segretario della Conferenza Episcopale svizzera, ha affermato che i vescovi elvetici non sono “per niente contenti” del voto dei loro concittadini e che «il Concilio Vaticano II dice chiaramente che è lecita per tutte le religioni la costruzione di edifici religiosi, e anche il minareto è un edificio religioso». Ancora una volta in Europa troviamo: da una parte i leader “illuminati”, dall’altra il popolo “bue” egoista e che pensa solo alla pancia. L’establishment da una parte, gli svizzeri dall’altra, scrive Paolo Del Debbio su Il Giornale. Ma gli svizzeri non sono contro i musulmani. Si affretta a scrivere Andrea Holzer su L’Occidentale del 11.12.09. Loro, infatti, raramente si mettono contro qualcosa o qualcuno e il caso del referendum non fa eccezione. Hanno scoperto che i minareti di mezza Europa stanno diventando simboli politici in cui gli Imam radicali predicano la supremazia morale e politica della loro religione. Gli Svizzeri sono contro la segregazione sociale dei gay, la condanna morale degli ebrei e l’annichilimento di ogni altra religione. Sono contro le bombe umane, l’infibulazione, la lapidazione e la limitazione dei diritti e della libertà delle donne, in una parola: sono contro la Sharia. L’indizione del referendum sembrava una scampagnata di qualche esaltato, di una ristretta minoranza di scalmanati che, a detta dei più, non sarebbe andata da nessuna parte. Invece da nessuna parte è andato tutto quell’establishment che era contro coloro che non volevano più minareti in Svizzera. (Paolo Del Debbio, E’ una lezione, la gente non ascolta i salotti ma la propria paura, 30.11.09 Il Giornale). Una vittoria significativa per Vittorio Messori, su un territorio dove i campanili delle chiese cattoliche come quelli dei templi protestanti hanno sempre contrassegnato gli scenari urbani come i romantici paesaggi montani(…) una sorta di compendio, di sintesi della storia e della cultura europea, piantata nel cuore del Continente, dove fa convivere le due grandi radici, la latinità e il germanesimo, ha detto no. No alla convivenza esplicita, avvertibile già a colpo d’occhio, della croce con la mezzaluna, del campanile con il minareto. Le bianche montagne, le verdi vallate, i laghi azzurri non hanno nulla a che fare con i deserti e le steppe da cui spuntarono i maomettani, tante volte contenuti a suon di spada (e le milizie elvetiche fecero la loro parte) e che ora muovono silenziosamente ma implacabilmente a una nuova conquista, varcando le frontiere spesso in modo abusivo. (Vittorio Messori, Così si scoprono le radici cristiane e la nostra cultura, 30.11.09 Corriere della Sera) Nel no ai minareti c’è qualcosa di positivo per Messori, nonostante la delusione dei vescovi, innanzitutto, la riscoperta della nostra civiltà e cultura, abbandonando quell’«inspiegabile odio di sé che caratterizza da tempo l’Occidente», per usare le parole di Joseph Ratzinger quando ancora era cardinale e ricordava agli europei che nella loro storia le luci, malgrado tutto, prevalgono sulle ombre. Ma il no ai minareti riguarda solo gli svizzeri? E’ stato pubblicato un sondaggio su alcuni giornali europei dove emerge chiaramente che i cittadini europei non ne vogliono sapere di fare concessioni agli islamici. In Francia, il giornale Le Monde ha fatto un’inchiesta: “Organizzare un referendum come quello della Svizzera è un segno di democrazia o di irresponsabilità? Il 61,5% ha detto che è democrazia; 33,2% ha detto che è irresponsabilità; il 5,3% senza opinione. Le Figaro, che è di destra: 77% sì al divieto; 23% no. L’Express ha fatto un’altra domanda: Se si facesse lo stesso referendum in Francia che cosa rispondeste? L’86% risponde sì, è contro i minareti; 11% no; 2% non risponde. Radio Montecarlo 83% sì; 17% no; e Soir in Belgio 63,2% si; 34% no; 2,8 senza parere.
In Spagna “Venti minutos” dà 94% di sì; 6% di no. El Mundo 79% sì; 21% no (con 25 mila intervenuti) In Germania, Die Welt online: 87% sì; 12% no; 2% non so. In Austria, Die Presse : 54% sì; 46% no. È la più bassa di tutte le inchieste. In Olanda Elzevier ha dato 86% sì; 16% no. In Italia (continua…)
pubblico qui volentieri una lettera di Thomas Benedikter sui recenti referendum in Svizzera, tra cui quello sui minareti.
Non spaccare lo specchio se l’immagine non ci gradisce
Premetto subito che mi dispiace assai il SI degli svizzeri al divieto di costruire nuovi minareti. È un colpo duro alla convivenza delle comunità religiose in Svizzera ed un messaggio ostile al mondo islamico. Ne saranno più delusi ancora milioni di cristiani, che vivono nei paesi islamici, dotati di migliaia di chiese con campanili. Anche per motivi più generali le chiese svizzere si erano tutte espresse contro questo divieto. Va comunque aggiunto che in Svizzera ci sono già centinaia di moschee e nulla vieta la costruzione di altre senza campanile. Referendum di stampo xenofobo del resto in Svizzera non sono una novità: è dal 1964 che regolarmente vengono promosse iniziative popolari sulla politica dell’immigrazione, sui rifugiati, sull’asilo politico e l’acquisizione della cittadinanza. Fino a ieri l’elettorato elvetico ha sempre dimostrato di voler essere una società accogliente. Ma esiste anche quella parte della Svizzera che la pensa come milioni di italiani, opposta alla presenza visibile di altre religioni, specie nel caso dell’Islam, che fatica ad accettare i nuovi concittadini con i loro diritti e bisogni. Nonostante tutto, l’accoglienza e l’integrazione è un processo lento, figurarsi quanto durerà da noi. (continua…)
ridicole le reazioni dei media italiani e del mondo politico antidemocratico che governa l’Italia. Proiettano la politica italiana su fatti di un paese davvero democratico.
In Svizzera c’è stata una votazione popolare, i cittadini hanno espresso il loro parere. Ciò ha portato ad un risultato che probabilmente dovrà essere invalidato per la prima volta della storia democratica svizzera per decisione della corte suprema europea e probabilmente verranno fatte delle correzioni sugli strumenti democratici svizzeri. Che però come tutte le leggi, dovranno essere approvate dai cittadini. Questo testimonia solo della vivacità, della democraticità e della dinamicità del sistema di governo della Svizzera. Al contrario dell’Italia, ingessata su discussioni su temi che non interessano ai cittadini e che riguardano solo i problemi giudiziari del suo premier.
Comunque interessante sentire le voci del dibattito che sta avvenendo in Svizzera a causa di questa votazione.
Qui l’intervista che Radio Radicale ha fatto ad un esperto svizzero, Andreas Auer (Centro di Ricerca sulla Democrazia diretta) sul referendum svizzero sui minareti
Qui alcuni articoli interessanti tratti dal sito www.swissinfo.ch
«Il popolo svizzero è stato ingannato» (continua…)
altra normale, ma eccezionale per noi italiani, prova di democrazia che ci viene dalla Svizzera. Il 29 novembre 2009 in uno dei consueti 3-4 appuntamenti referendari annuali, i cittadini svizzeri potranno esprimersi su 3 temi. Temi proposti dal parlamento, da un raggruppamento di associazioni, chiese e partiti e da un partito di estrema destra. E’ bello vedere che i referendum non sono un patrimonio di uno schieramento, ma di tutti i cittadini svizzeri.
Il primo è una modifica alla costituzione, proposta dal parlamento svizzero, per permettere di dirottare parte delle imposte sui carburanti per coprire costi del traffico aereo. Sembra una cosa tecnica, e lo è, ma ogni modifica della costituzione svizzera deve essere sempre approvata dai cittadini tramite referendum, come in questo caso.
Il secondo quesito, proposto da decine di organizzazioni pacifiste, partiti, associazioni e chiese, chiede il divieto di esportare materiale bellico fuori dalla Svizzera.Vedi www.materialebellico.ch
Il terzo quesito, proposto da un partito di estrema destra il Partito del Popolo (SVP) chiede di impedire la costruzione di nuovi minareti oltre ai 4 già esistenti in territorio elvetico. Attenzione non chiede di impedire luoghi di culto, ci sono già circa 200 moschee, il 5% degli abitanti svizzeri è mussulmano, ma la costruzione dei minareti. Vedi il www.minareti.ch
Per avere maggiori informazioni, materiali e sapere cosa consigliano di votare tutti i partiti, i sindacati, le associazioni economiche e quelle giovanili, basta andare qui.
Trasparenza e completezza di informazioni straordinarie per noi italiani, a pochi km dal nostro confine. Ricordo che ovviamente i referendum in Svizzera (come in gran parte del mondo democratico, Spagna, Gran Bretagna, Francia, Irlanda, USA) non hanno quorum.
Quando anche noi?
Ecco l’opuscolo informativo che è stato stampato in milioni di copie e che viene mandato a tutti i cittadini svizzeri. C’è l’opinione del comitato proponente, dei contrari, del governo e del parlamento e diventa una piacevole lettura e un sogno del futuro anche per noi italiani:
di Paolo Michelotto
ecco uno splendido video realizzato dagli amici di Vicenza. Per rinfrescare la memoria a chi ha perso qualche passaggio della vicenda Dal Molin, riporto una breve storia della mancanza di democrazia a Vicenza, che Michele Boato ha scritto sul trimestrale Gaia.
La lotta contro la nuova, enorme, base militare USA a Vicenza è ancora in corso, anche se sono iniziati i lavori, autorizzati dai governi Prodi e Berlusconi e diretti dal commissario (di Prodi e Berlusconi) Paolo Costa.
Città e movimento hanno fatto di tutto per impedirlo: una manifestazione come quella del 17 febbraio 2007 con 100mila persone non si era mai vista prima a Vicenza, rovinata però dalla doccia fredda di Prodi, nei telegiornali della sera: “manifestare è un diritto, ma dobbiamo rispettare i patti (quali? ndr) e la base verrà raddoppiata”.
C’è poi, in luglio 2007, il ricorso al Tar Veneto di Codacons ed Ecoistituto del Veneto contro l’illeggittimità del progetto Dal Molin dal punto di vista urbanistico (un abuso edilizio) e costituzionale (non è un’opera di difesa nazionale); accolto dal Tar il 18 giugno 2008, e, quasi immediatamente (il 29 luglio) annullato dal Consiglio di Stato, cui si era appellato il governo.
In primavera 2008 la città elegge sindaco, pur con una maggioranza risicatissima, Achille Variati del PD, che si presenta su una netta posizione anti-base (isolato dal resto del PD veneto e nazionale).
Variati conferma ciò che aveva promesso in campagna elettorale: in autunno la città verrà chiamata a pronunciarsi sulla nuova basa attraverso un Referendum Comunale. Si fissa la data del 5 ottobre e il quesito, strettamente legato alle competenze urbanistiche del Comune. Con una lettera pubblica Berlusconi invita pressantemente il sindaco a “non indire il referendum, essendo già stata consegnata, il 30 luglio, l’area agli Stati Uniti” e ricorre al Tar perchè dichiari inammissibile la consultazione. Il Tar non si lascia intimidire e respinge il ricorso: “Nessun danno dalla consultazione esplorativa”. Ci pesna però poi il solito Consiglio di Stato che, il 1 ottobre (a 3 giorni dal referendum!), annulla la sentenza del Tar e lo dichiara inammissibile.
La sera stessa oltre 10mila persone riempiono Piazza dei Signori e il sindaco annuncia “Se non ci permettono di votare nelle nostre scuole, domenica voteremo davanti alle nostre scuole, sotto i nostri gazebo”. Così avviene. In meno di 3 giorni centinaia di volontari organizzano 32 seggi e il 5 ottobre vanno ordinatamente a votare 24.094 elettori di Vicenza: 23.050 hanno votato SI alla proposta di smilitarizzare l’area. 906 NO, 92 schede bianche e 46 nulle. LA città esprime tutta la sua dignità, ma viene calpestata.
Nell’estate 2009 iniziano i lavori di sbancamento nell’area Dal Molin.
di Paolo Michelotto
il 21 febbraio 2010 a Cesena è stato organizzato un incontro “Dal Signoraggio bancario alla Democrazia Diretta – Proposta per una Metamorfosi Sociale”.
Io mi occuperò del tema “Democrazia Diretta” e realizzerò un esperimento de “La Parola ai Cittadini”
-Relatori: Antonio Miclavez, Marco Della Luna, Paolo Michelotto, Eugenio Benetazzo, Argo Fedrigo
-Data: Domenica 21 Febbraio 2010
-Luogo: Piazza Aldo Moro, 90 – Cesena (FC)
Il convegno si svolgerà presso l’Aula Magna della facoltà di Psicologia a Cesena (di fronte alla stazione).
Orari
• Check- in ore 09:00
• Inizio ore 09:30
• Termine ore 18:30
- prevista pausa pranzo con buffet su prenotazione.
Prezzi
€ 7,00 in prevendita
€ 12,00 con pagamento all’ingresso.
Riporto una mail dell’amico Stephan Lausch di Bolzano
Care amiche, cari amici della democrazia diretta !
Per sabato 19 settembre 2009 Viinvitiamo tutti a un incontro del tutto particolare che sarà anche l’avvio vero e proprio e già uno dei momenti di spicco nella nostra campagna verso la votazione referendaria per una legge migliore sulla democrazia diretta.
Probabilmente non esiste altra persona che possa raccontare con altrettanta esperienza alle spalle come
Hans-Urs Wili,
direttore della Sezione diritti politici della Cancelleria Federale svizzera.
Sabato, 19 settembre, dalle ore 9 alle 12, presso il Filmclub, Bolzano, via Dr. Streiter
ci parlerà sul tema
“L’ABC della democrazia diretta
e le esperienze di un paese che l’ha imparato bene.”
e risponderà alle Vostre domande in un’audizione pubblica.
Presentiamo così un’occasione unica di informazione sul funzionamento della democrazia diretta e del sistema politico svizzero da parte di una persona che ha tutti i titoli per informare oggettivamente: Hans-Urs Wili è il funzionario di più alto rango del Governo svizzero per i diritti politici. Data la divulgazione di informazioni distorte questo incontro ci sembra più che mai importante. (continua…)
di Paolo Michelotto
grazie ad un amico svizzero ho ricevuto una copia di un giornale domenicale locale del Cantone Ticino. Sull’ultima pagina del giornale c’era stampato il modulo per raccogliere firme per un referendum. Al di là del quesito referendario che potrà non piacere a molti italiani e al partito che lo propone, la Lega dei Ticinesi, ho creato questo post per mostrare a noi italiani quanto facili sono le procedure in Svizzera per raccogliere firme per i referendum. Il giornale si trova qui:
Da noi occorrono fogli di una certa misura, di un certo colore, vidimati dal segretario comunale, con le firme autenticate da un notaio o un rappresentante eletto.
In Svizzera, ma la stessa cosa accade anche negli USA, le firme si raccolgono su fogli di qualsiasi formato, stampati sui giornali, disponibili su internet, senza vidimazioni, senza autenticatori. Ma seguendo le leggi riguardanti i referendum. E una di questa dice che “chiunque si rende colpevole di corruzione attiva o passiva oppure altera il risulato della raccolta delle firme è punibile secondo l’articolo 281 e rispettivamente 282 del Codice penale”.
Ossia la raccolta è resa molto facile, ma chi imbroglia e viene scoperto subisce conseguenze penali.
La democrazia dovrebbe essere così anche in Italia, facilitata al massimo per chi inizia gli strumenti di democrazia diretta, molto rigorosa per chi sgarra e tenta di imbrogliare.
Funziona così in Svizzera e negli USA. Mentre per la Svizzera qualcuno poteva dire “eh sono svizzeri!”, per gli USA questa affermazione non vale più. Per esempio la revoca del Governatore della California Davis nel 2003 è iniziata raccogliendo firme (ne servivano 800.000) su fogli simili a questi, fatti circolare per internet e a mano nelle varie città.
di Paolo Michelotto
la prima parte della presentazione con proiettore sulla Democrazia Diretta, fatta a Rovereto durante la serata in cui Marco Boschini presentava il suo libro “L’Anticasta”
E’ la prima parte, fino alla descrizione dell’esperienza svizzera, statunitense e bavarese.
di Paolo Michelotto
riporto qui un interessante articolo che mi ha inviato Paolo Fabbri (che ha vissuto e insegnato 20 anni in quel paese) sulle caratteristiche della scuola Svizzera. Interessanti le conseguenze della democrazia diretta e del forte federalismo.
Svizzera: caratteristiche del sistema scolastico
di PaoloFabbri
Nella Confederazione elvetica l’istruzione pubblica è caratterizzata da un deciso decentramento amministrativo e finanziario. A livello centrale vengono definiti i principi generali, mentre le linee guida sono stabilite dalle Conferenza dei Direttori scolastici cantonali. Ognuno dei 26 cantoni ha la piena autonomia nella gestione del sistema scolastico. Così succede, ad esempio, che, mentre l’obbligo scolastico è di 9 anni per tutta la Confederazione, ci sono cantoni dove si va a scuola a 7 anni, altri a 5, alcuni in cui la scuola elementare dura 5 anni, altri in cui dura 6 anni. In alcuni cantoni è previsto l’obbligo di frequenza della scuola materna (+2 anni). Anche per quanto riguarda le ferie, mentre è generale il principio di distribuire le vacanze durante tutto l’anno (praticamente in ogni stagione dell’anno c’è un periodo di vacanze), ogni cantone predispone un suo proprio calendario scolastico.
Soprattutto per eliminare i disagi di chi cambia cantone, il 21 maggio 2006 si è svolto un referendum, in base al quale gli Svizzeri si sono pronunciati a favore della progressiva armonizzazione dei sistemi scolastici cantonali.
I singoli Comuni gestiscono il funzionamento delle scuole dell’obbligo, mentre le scuole secondarie sono amministrate direttamente dai Cantoni. Nel settore postobbligatorio (ginnasi, formazione professionale e scuole universitarie) le competenze del sistema educativo pubblico sono invece ripartite tra Confederazione e Cantoni.
La scuola è completamente gratuita, ciò vuol dire che libri, quaderni e materiale vario sono messi a disposizione dall’ente locale di riferimento. Tutte le spese scolastiche, compresi gli stipendi dei docenti, dipendono da Comuni e Cantoni; sono perciò sotto il controllo dei cittadini che, attraverso le consultazioni popolari, decidono di volta in volta gli interventi da effettuare per i miglioramenti strutturali proposti. C’è da dire, a questo proposito, che la quasi totalità delle imposte dirette va ai Cantoni e ai Comuni.
Dato che oltre il 95% della popolazione scolastica frequenta il sistema di istruzione pubblica, si può ben dire che la scuola svolge un importante ruolo di integrazione fra alunni che provengono da background sociali, culturali, linguistici molto diversi, in un paese dove gli stranieri sono il 22% degli abitanti! (continua…)
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