• Archivio della categoria "Democrazia Diretta Verhulst" .

    Ecco il libro “Democrazia Diretta” di Verhulst Nijeboer in Italiano, versione finale

    10 Marzo 2010 // Nessun commento »

    democrazia_diretta_cop piccoladi Paolo Michelotto

    è ora finalmente disponibile il libro Democrazia Diretta di Verhulst Nijeboer in Italiano impaginato nella sua versione definitiva.

    Un grande grazie ai traduttori Emilio, Annamaria, Leonardo, Daniel per il lavoro gratuito prestato per diffondere questi contenuti anche in Italia e un grande grazie agli autori che hanno pubblicato il libro con licenza Creative Commons, ossia tutti sono liberi di diffonderlo.

    Nel file che trovi qui compresso (2MB) trovi il libro completo e i singoli capitoli separati.

    Scaricalo, leggilo, diffondilo.

    Download Democrazia Diretta - Verhulst Nijeboer - Impaginazione definitiva

    Postato in Democrazia Diretta Verhulst, documenti recensiti

    Finalmente disponibile in italiano il libro “Democrazia Diretta – di Verhulst Nijeboer”

    11 Dicembre 2009 // Nessun commento »

    direct-democracy-verhulstdi Paolo Michelotto

    finalmente un libro fondamentale sulla democrazia diretta, gratuito,  il “Direct Democracy di Verhulst Nijeboer” è disponibile anche in lingua italiana. Questo libro è stato tradotto in questi ultimi due anni in tutte le lingue maggiori europee, ed è disponibile gratuitamente qui

    http://www.democracy-international.org/

    Un grande libro, gratuito, ma che vale un capitale. Dati, fatti, storie, esempi sulla Democrazia Diretta, sui Referendum e sulle Iniziative. Risponde a moltissime domande con fatti, non con teorie. Disponibile in 6 lingue europee, qui in Inglese.

    Da oggi grazie all’impegno di traduzione e coordinamento di Emilio Piccoli, con l’aiuto di Annamaria Macripò, Edoardo Gentile e Daniel Kmiecik, il libro è disponibile gratuitamente in italiano. Qui il testo finale, appena pronto da parte degli autori belgi anche la versione impaginata graficamente, la inserirò nel blog.

    Download Democrazia Diretta - Verhulst Nijeboer Version solo testo, non impaginato


    Postato in Democrazia Diretta Verhulst, democrazia diretta, documenti recensiti

    031 Democrazia Diretta cap 3 Federalismo, sussidiarietà e capitale sociale – 3-4: L’Unione Europea

    25 Agosto 2009 // 3 Commenti »

    direct-democracy-verhulst

    direct-democracy-verhulst

    di Paolo Michelotto

    traduzione di Edoardo

    3-4: L’Unione Europea

    L’Unione Europea si è estesa in tutte le direzioni nei recenti decenni. Ha avocato a sé maggiori poteri ad ogni modifica di trattato e quasi tutti i governi in Europa hanno deciso in favore dell’adesione, che i cittadini fossero d’accordo o meno. Nella maggior parte dei casi la decisione su queste adesioni è stata fatta senza referendum.

    Oggi, il 50% circa della legislazione nazionale ha origine a Bruxelles. Questa legislazione di Bruxelles ammonta in totale a circa 100.000 pagine. Il budget dell’Unione Europea oltre i 100 miliardi di euro all’anno è più grande di quello di molti stati membri dell’UE. “Le istituzioni europee esercitano attualmente giorno per giorno un maggior potere rispetto a quanto ne esercitino ognuno degli stati membri al proprio interno”, questa è l’opinione del giudice costituzionale tedesco Udo di Fabrio. Al tempo stesso l’UE è così poco democratica che il Commissario Europeo Gunther Verheugen, responsabile dell’espansione della UE, una volta disse: “Se la UE stessa dovesse presentare domanda per entrare tra i membri, dovremmo rispondere “democraticamente insufficiente”.” (Oldag e Tillack, 2003, pagine dalla 17 alla 19; vedi anche Booker e North, 2005).

    Ad un osservatore superficiale l’UE sembra aver risolto molti problemi moderni. In accordo con i suoi sostenitori, dopo le due guerre mondiali si può dare all’UE il merito di aver prevenuto una nuova guerra in Europa. Ma così si ignora completamente come cominciarono la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. Furono causate dalle élite che si comportarono in modo antidemocratico, svilupparono i loro piani in segreto e generalmente iniziarono la guerra contro il volere della maggioranza, come mostrano indagini su quei tempi. Ciò che l’UE ha fatto è porre un’élite ancora più potente sopra queste vecchie potenti élite e adesso deve cercare di mantenere sotto controllo.

    L’esempio della Svizzera dimostra un approccio completamente diverso: da quando iniziò come (continua…)

    Postato in Democrazia Diretta Verhulst

    030 Democrazia Diretta cap 3 Federalismo, sussidiarietà e capitale sociale – 3-3: A proposito di Jorwerd

    24 Agosto 2009 // Nessun commento »

    direct-democracy-verhulst

    direct-democracy-verhulst

    di Paolo Michelotto

    traduzione di Edoardo

    3-3: A proposito di Jorwerd

    Sono stati scritti innumerevoli libri a proposito del cambiamento della vita di paese. Ma la storia di come “le forze del mercato iniziarono ad usurpare ed a schiacciare la società civile da parte del settore privato” (Barber) forse non è così chiaramente rappresentata da nessun’altra parte come nel libro di Geert Mak, che è già diventato un classico: “Hoe God verdween uit Jorwerd” (Come Dio sparì da Jorwerd, 1996).

    Jorwerd è un piccolo paese agricolo nel nord dell’Olanda nella provincia di Friesland. Fino a quaranta o cinquanta anni fa i contadini avevano sotto il loro controllo gli elementi fondamentali dell’economia agricola, anche se quella economia non produceva molto. “Per la maggior parte del tempo non era facile per le tipiche famiglie rurali con molti figli, ma avevano sempre un vantaggio rispetto alle famiglie delle città: normalmente avevano le proprie verdure, la propria carne, latte, burro, formaggio, uova e patate, così erano più o meno autosufficienti.” (p. 22).

    Ciò che doveva essere comprato (caffè, tè, zucchero, sapone, etc.) non rappresentava una grossa spesa. Ma il punto è che loro decidevano di cosa avevano bisogno e se, e quando comprarlo. Tuttavia questo cambiò: “Fino agli anni ‘60 molti contadini raramente andavano in un negozio. I negozianti andavano dalle persone a casa.” Un’anziana signora che viveva nel paese disse all’autore: “Scrivevamo ciò di cui avevamo bisogno su di un piccolo libro degli ordini e niente più. Il caffè era caffè, il te era tè e il sapone era sapone. Una spesa settimanale per l’intera famiglia non mi costava mai più di venti fiorini” ( p.22). Questo sistema scomparve irrevocabilmente negli anni ‘70. La gente cominciò a spostarsi, i negozianti di Jorwerd morirono, la pubblicità e i prezzi bassi nei grandi magazzini in città, che iniziavano ad essere accessibili grazie alle automobili, cambiarono completamente il loro comportamento d’acquisto. (continua…)

    Postato in Democrazia Diretta Verhulst

    029 Democrazia Diretta cap 3 Federalismo, sussidiarietà e capitale sociale – 3-2: Donazione di sangue – a pagamento e volontaria

    23 Agosto 2009 // Nessun commento »

    direct-democracy-verhulst

    direct-democracy-verhulst

    di Paolo Michelotto

    traduzione di Edoardo

    3-2: Donazione di sangue – a pagamento e volontaria

    Il capitale sociale è presente quando le persone fanno qualcosa – perorano una causa per esempio – per ragioni profonde ed intrinseche. Se le persone fanno qualcosa con riluttanza e solo per ragioni estrinseche – solo perché sono pagate, per esempio – ciò intacca la motivazione intrinseca. La spinta interiore a far qualcosa è indebolita e si perde il capitale sociale. In questo senso il commercio diminuisce il capitale sociale. [vedi anche 3-1]

    L’economista olandese Arjo Klamer (1995) descrisse così questo fenomeno: “Alcuni anni fa mi presi cura part-time dei miei due bambini uno di cinque e l’altro di sette anni. Decisi di applicare i principi dell’economia e di assegnare un certo valore alle buone e alle cattive azioni – cinquanta centesimi per aiutare a mettere in ordine, venticinque centesimi per portare fuori il cane senza sbuffare; un fiorino se si iniziava un litigio, trenta centesimi se la stanza era in disordine, e così via. Tutto veniva deciso preventivamente insieme ai bambini. Contro il giudizio migliore di mia moglie ero convinto del valore del mio approccio. Con questo sistema economico non avevo bisogno di essere continuamente l’orco; la responsabilità era passata ai bambini. Esattamente come doveva essere.”
    L’approccio all’inizio sembrava un successo. Il numero di litigi diminuì e i bambini davano una mano. Tuttavia Klamer presto scoprì un’inaspettata “perdita di autorità”. I suoi bambini diventarono meno sensibili a considerazioni morali. “Quando sgridai il più giovane a proposito delle lamentele della sua maestra sul fatto che spesso gridava in classe, rispose in un modo perfettamente in linea con il mio approccio economico. Mi propose un accordo: due fiorini per il diritto di gridare in classe. In completo contrasto con i principi che io stesso avevo proposto, mi trovai a rispondergli: ‘Non se ne parla neanche. Voglio che tu smetta di farlo. Se continui a farlo, te la vedrai con me.’ L’approccio economico aveva fallito.”

    Nel 1970 apparve il libro Il dono Relazione, nel quale Titmuss descrisse gli effetti della commercializzazione della donazione di sangue. Durante gli anni sessanta si diffuse gradualmente negli USA un sistema commerciale di donazione del sangue (tra il 1965 e il 1967 l’80% del sangue veniva da donatori pagati), mentre il sistema di donazione del sangue rimase volontario in Gran Bretagna. Titmuss notò che il sistema volontario era molto meno costoso e meno afflitto da problemi dovuti a sangue contaminato.

    Titmuss chiese ai donatori volontari del sangue di esprimere le loro motivazioni e giunse alla conclusione che la maggioranza dei donatori non sapevano spiegare le loro motivazioni senza ricorrere in un modo o in un altro a concetti morali.
    Infatti sembra che non si possa spiegare la donazione di sangue volontaria in nessun altro modo se non come qualcosa che nasce da senso intrinseco di dovere civico o senso di comunità di coloro che lo fanno. Fenomeni come quello della donazione volontaria di sangue dimostrano che, contrariamente a quanto alcuni dicono, “il cittadino” esiste realmente.

    La ricerca di Titmuss produsse diversi altri risultati importanti. Sembrava che l’introduzione della donazione commerciale di sangue avesse un effetto iniziale molto negativo sulla donazione volontaria. La motivazione dei donatori volontari fu apparentemente danneggiata dal fatto che altrove nella società delle persone venissero pagate per un servizio che loro stavano fornendo gratis. Questo fenomeno è anche conosciuto come “effetto straripamento”. Se una persona scopre che qualcun altro viene pagato per fare qualcosa, diventa meno incline a fornire lo stesso servizio volontariamente.

    Nel sistema a pagamento era messa a repentaglio la qualità del sangue raccolto, specialmente perché persone provenienti da tutti i gruppi sociali ad alto rischio andavano a donare sangue in cambio di soldi. Ecco perché il sistema di donazione di sangue a pagamento venne nuovamente ridotto negli USA. Tra il 1971 e il 1980 il volume di sangue a pagamento diminuì del 76%. Nello stesso periodo il volume del sangue donato volontariamente aumentò del 39%. La capacità di donare per ragioni intrinseche può perciò essere ripristinata. Tuttavia il recupero può richiedere inizialmente del tempo.

    Crediamo di sapere perché l’approccio pedagogico di Arjo Klamer fallì. Forse capiamo anche perché è meglio che la donazione di sangue rimanga volontaria. Tuttavia non è possibile che per molti aspetti noi ora ci troviamo in una situazione simile a quella in cui si sarebbero trovati i figli di Klamer se avesse continuato con il suo disastroso progetto educativo? Perché non è per niente chiaro il motivo per cui ciò che si può applicare alla donazione del sangue non si possa applicarlo alla disponibilità di donare del lavoro e dell’ impegno sociale per il bene collettivo.

    Questa è la pubblicazione a puntate della traduzione in Italiano del libro Democrazia Diretta di Verhulst Nijeboer. Puoi aiutare Edoardo e Emilio Piccoli che stanno effettuando gratuitamente la traduzione in Italiano effettuando le eventuali correzioni e inviandole a piccoliemilio@gmail.com

    La versione in inglese che stanno traducendo si trova qui:

    http://www.paolomichelotto.it/blog/2008/11/04/democrazia-diretta-un-testo-fondamentale/

    Postato in Democrazia Diretta Verhulst

    028 Democrazia Diretta cap 3 Federalismo, sussidiarietà e capitale sociale – 3-1: NIMBY – o cittadinanza e democrazia

    22 Agosto 2009 // Nessun commento »

    direct-democracy-verhulst

    direct-democracy-verhulst

    di Paolo Michelotto

    traduzione di Edoardo

    3-1: NIMBY – o cittadinanza e democrazia

    I problemi “Not In My Back Yard” (NIMBY) (”Non nel mio cortile”) sono all’ordine del giorno. La maggior parte delle persone sono d’accordo sul bisogno di aeroporti, inceneritori, siti per asili e per lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi. Solo che le persone non vogliono questo tipo di servizi nel proprio cortile. Un servizio che in teoria tutti vogliono, ma che nessuno tollererebbe nelle proprie vicinanze, è considerato come un problema NIMBY.

    Normalmente il sito per tali servizi è imposto dal governo alla comunità locale, possibilmente accompagnato da una compensazione finanziaria o di altro tipo. In Svizzera esiste una situazione interessante dove le comunità locali hanno diritto di veto sulla scelta dei siti di tali servizi (attraverso una locale iniziativa referendaria dei cittadini locali o un’assemblea pubblica). Nel 1993 venne chiesto ai cittadini di quattro villaggi quale sarebbe stata la loro reazione se fosse stato costruito un magazzino di stoccaggio di rifiuti radioattivi nel loro comune. Le quattro comunità sono state selezionate come i siti più adatti dal servizio geologico svizzero. Le risposte date non erano senza significato, perché bisognava prendere una decisione sui siti – e il risultato dell’indagine doveva essere pubblicata prima che la decisione fosse annunciata.

    Il risultato fu che il 50.8% delle persone interpellate avrebbero accettato il magazzino, mentre il 44.9% si sarebbe opposto. Ciò che è da sottolineare è che, non appena fu proposto di offrire un compenso finanziario, il consenso crollò. Con una proposta di compenso annuale tra 2.500 e 7.500 Franchi Svizzeri (circa 1500-4.500 Euro o 1.110-3.300 Sterline) il consenso per il sito nucleare cadde dal 50,8% al 24,6%. La percentuale rimase invariata anche quando il compenso venne aumentato.

    La ricerca dimostrò che la correttezza della procedura del processo decisionale svolgeva un ruolo cruciale nella potenziale accettabilità del sito. Le persone sembravano accettare il risultato molto più facilmente se accettavano anche il modo in cui la decisione era stata presa. Offrire un compenso finanziario cambiava radicalmente il modo in cui la decisione era presa. Quando c’è un processo decisionale con diritto di veto democratico-diretto c’è un forte ricorso all’obiettività e all’animosità pubblica da parte delle persone. Se la questione viene legata ad un compenso economico le persone cominciano a sospettare di essere raggirate. L’appello non è più verso il loro senso civico e il messaggio implicito è che vengono viste come “amorali e centrati sulla famiglia” che devono essere convinte da un incentivo finanziario esterno. Questo tipo di spostamento da una motivazione intrinseca ad una estrinseca determina una grave perdita di capitale sociale (Oberholzer – Gee et al, 1995).

    Questa è la pubblicazione a puntate della traduzione in Italiano del libro Democrazia Diretta di Verhulst Nijeboer. Puoi aiutare Edoardo e Emilio Piccoli che stanno effettuando gratuitamente la traduzione in Italiano effettuando le eventuali correzioni e inviandole a piccoliemilio@gmail.com

    La versione in inglese che stanno traducendo si trova qui:

    http://www.paolomichelotto.it/blog/2008/11/04/democrazia-diretta-un-testo-fondamentale/

    Postato in Democrazia Diretta Verhulst

    027 Democrazia Diretta cap 3 Federalismo, sussidiarietà e capitale sociale – Il dominio della Jihad e del Mc World

    21 Agosto 2009 // Nessun commento »

    direct-democracy-verhulst

    direct-democracy-verhulst

    di Paolo Michelotto

    traduzione di Edoardo

    Il dominio della Jihad e del Mc World

    Tuttavia Barber non sviluppò quest’ultimo passo nel suo discorso. Questa è la debolezza del suo libro, per il resto splendido. Barber deduce dalla immagine di cui sopra che il pensiero bipolare di “Stato contro settore privato” deve essere abbandonato ed al suo posto bisogna adottare una struttura tripartita in cui la società civile possa di nuovo prendere il suo posto tra lo Stato ed il settore privato.

    Il ragionamento di Barber evita di portare la sua analisi delle conseguenze anti-democratiche della Jihad e del Mc World alla sua logica conclusione. Dopo tutto, perché il capitale sociale è stato schiacciato tra il mercato e lo Stato negli USA? Perché il Mc World estende i suoi tentacoli oltre il mercato, oltre la sfera economica, fino allo Stato costituzionale, con un simultaneo effetto devastante sulla cultura. Ma anche perché – un punto molto più sottile – la Jihad si sforza di assoggettare lo Stato ad una particolare cultura o a una particolare religione. Al centro della Jihad c’è sempre l’obiettivo di una dominanza ideologica, una tendenza predatoria che cerca di spogliare i cittadini della loro indipendenza e maturità e vuole ridurli ad esseri dipendenti da uno Stato che si occupa del loro benessere. La Jihad è la negazione della separazione tra ideologia e Stato. La mescolanza di religione e Stato, come si vede, per esempio, in Iran o in Arabia Saudita, è la più evidente forma di questa associazione tra Jihad e Stato. La “dittatura del proletariato”, lo scopo dei regimi comunisti, è un altro esempio estremo.

    Molto meno evidente, ma anche il più potente nei suoi effetti, è ciò che capita nei paesi dell’Occidente – la fusione dello Stato con l’ideologia del libero mercato, accompagnata dall’infantilizzazione della popolazione sotto il vessillo della “democrazia rappresentativa”. Il Mc World non è interessato allo Stato nazione – ma la Jihad lo è. La Jihad e il Mc World cooperano nella sfera in cui sono in accordo: la soppressione della democrazia. La Jihad ha sopraffatto lo Stato, ideologicamente difendendo il dominio del Mc World in combinazione con le forme più varie di tribalismo. Il nazionalismo combinato con la difesa del Mc World: questo è il modo più efficiente per la Jihad di mantenere la sua presa sulla popolazione con l’aiuto dello Stato. Questo può portare alle situazioni più strane – come in Arabia Saudita, dove una stretta collaborazione economica esterna con l’Occidente va a braccetto con il trattamento più reazionario possibile nei confronti della donne e dei non mussulmani: il Mc World mano nella mano con la Jihad.
    Barber aveva ragione nell’asserire che la società civile deve riguadagnare la “terra di mezzo”. Tuttavia non è giusto porre questa “terra di mezzo” tra il governo e il settore privato. In una società democratica il governo non dovrebbe creare un centro di potere autonomo in contrasto con i propri cittadini: non dovrebbe essere niente di più della espressione democratica dei desideri del popolo. Infatti la creazione di un’autentica società civile dovrebbe spingere la Jihad fuori dal governo e riportarla nell’arena in cui essa svolge il suo legittimo ruolo – la sfera della cultura in tutti i suoi aspetti: il crearsi democratico delle percezioni e il libero scontro di concetti, tra i quali una “guerra santa” può e deve essere combattuta. E il Mc World deve anche essere riportato all’interno del suo dominio originale – quello dell’economia. Come Barber sottolinea nell’epilogo del suo libro la Jihad e il Mc World non sono negativi in senso assoluto. Non è contro la Jihad e il Mc World di per sé stessi che bisogna opporsi ma contro la loro tendenza a sopraffare la società civile. Ci deve essere una separazione fondamentale tra la Jihad (il mondo della cultura e dell’individualità culturale), il Mc World (il mondo economico) e lo Stato democratico costituzionale (vedi anche Steiner, 1919, 1999). E ciò può essere ottenuto solo con un radicale federalismo democratico.

    Questa è la pubblicazione a puntate della traduzione in Italiano del libro Democrazia Diretta di Verhulst Nijeboer. Puoi aiutare Edoardo e Emilio Piccoli che stanno effettuando gratuitamente la traduzione in Italiano effettuando le eventuali correzioni e inviandole a piccoliemilio@gmail.com

    La versione in inglese che stanno traducendo si trova qui:

    http://www.paolomichelotto.it/blog/2008/11/04/democrazia-diretta-un-testo-fondamentale/

    Postato in Democrazia Diretta Verhulst

    026 Democrazia Diretta cap 3 Federalismo, sussidiarietà e capitale sociale – L’autonomia del centro democratico

    20 Agosto 2009 // Nessun commento »

    direct-democracy-verhulst

    direct-democracy-verhulst

    di Paolo Michelotto

    traduzione di Edoardo

    L’autonomia del centro democratico

    Il Mc World minaccia di imporre un’economia a senso unico e un dominio sul mondo molto antidemocratico, un mondo dominato dall’ “ideologia Holliwoodiana”, un mondo pure senza giustizia. L’alternativa di Barber a ciò non è una società dominata da uno Stato monolitico, ma piuttosto un mondo “diviso” caratterizzato da un’ampia varietà di sfere autonome di vita: “Noi siamo governati al meglio quando viviamo in sfere diverse, ognuna con i suoi benefici e le sue regole, nessuna interamente dominata da un’altra. Il dominio politico è “sovrano” per essere sicuro, ma questo significa solo che regola i molti dominii di una libera società plurale in modo da preservare le loro rispettive autonomie. La dominazione usurpante del Mc World ha tuttavia spostato la sovranità nel dominio delle corporazioni globali e al mondo del mercato che esse controllano e ha minacciato l’autonomia della società civile e dei suoi dominii culturali e spirituali, così come quelli politici. L’alternativa (…) non è una società dominata dallo Stato al posto di una società dominata dal mercato, ma una società civile maggiormente settorializzata, in cui l’autonomia di ogni dominio distinto – mercato economico incluso – sia garantita dalla sovranità dello Stato democratico. Solo un sistema democratico ha l’interesse e il potere di preservare l’autonomia dei diversi regni. Quando altri domini strappano la sovranità allo Stato, che siano religiosi o economici, il risultato è una specie di coordinamento totalitario – nel Medio Evo era teocratico; in questa era del Mc World è economistico.” (Barber, 1995, p. 296)

    In accordo con Barber dobbiamo tendere ad una società svincolata e il primo passo verso (continua…)

    Postato in Democrazia Diretta Verhulst

    025 Democrazia Diretta cap 3 Federalismo, sussidiarietà e capitale sociale – Tra l’incudine e il martello: come viene distrutto il capitale sociale

    19 Agosto 2009 // Nessun commento »

    direct-democracy-verhulst

    direct-democracy-verhulst

    di Paolo Michelotto

    traduzione di Edoardo

    Tra l’incudine e il martello: come viene distrutto il capitale sociale

    Perché il capitale sociale diminuisce? Nel suo recente e controverso libro “La Jihad contro il McWorld”, Benjamin Barber descrive la battaglia tra due forze opposte, entrambi a modo loro minacciano lo Stato costituzionale e la democrazia. Formano l’incudine e il martello con i quali viene polverizzato il capitale sociale.

    La Jihad
    La prima forza è quella del particolarismo locale, nella misura in cui si sforza di raggiungere un proprio monolitico potere statale. Gruppi etnici o religiosi o tribù combattono per l’egemonia all’interno del loro proprio Stato. Barber amplia così l’originale significato del termine “Jihad” (la “guerra santa” dei Mussulmani) per descrivere un fenomeno che appare anche in tutte le parti del mondo. In Occidente Jihad può significare la lotta per l’identità regionale (Irlanda, i paesi Baschi, la Corsica). Non è la lotta per un’identità culturale o filosofica o religiosa, come è caratteristica della Jihad. Nella misura in cui tale lotta è contro uno Stato monolitico ed egemonicamente centralizzato, essa è un fenomeno positivo. La Jihad vuole in realtà introdurre proprio uno Stato centralizzato monolitico. La Jihad aspira ad un’egemonia filosofico-culturale nello Stato e attacca gli Stati borghesi esistenti che non mostrano l’egemonia desiderata. La Jihad aspira ad unire questi Stati in blocchi culturalmente e filosoficamente omogenei, organizzati secondo il principio della sussidiarietà. La Jihad vive della lotta contro la Jihad.

    La questione del Quebec illustra chiaramente la smisuratezza della frammentazione che è causata dalla Jihad: “La logica della Jihad non si ferma necessariamente al primo e primario strato di frammenti. Se il Quebec lascia il Canada i francofoni che non sono del Quebec possono perdere il loro spazio in New Brunswick. E se il Quebec lascia il Canada, perché il Cree non dovrebbe lasciare il Quebec? E allora perché i villaggi anglofoni non dovrebbero lasciare il Quebec o optare per creare una nazione Cree autodeterminata? E se alcuni francofoni risiedono nei villaggi prevalentemente inglesi nella regione prevalentemente Cree nel Quebec prevalentemente francese, quale sarà la loro sorte? (Barber, 1995, p. 179).

    In Bosnia, Sri Lanka, Ossezia e Ruanda, la Jihad raggiunge la sua logica conclusione. Visto che la frammentazione non può essere protratta indefinitamente, c’è il ricorso alle armi della “pulizia etnica” e al genocidio. La Jihad non riconosce le persone come liberi individui, ma solo come membri di un gruppo etnico o religioso. La Jihad riduce le persone a membri di una tribù: la Jihad è tribalismo. Per la Jihad, un “popolo”, una nazione, una comunità, un gruppo di persone unite da una comune origine, lingua, cultura, politica o da una leadership comune [Dizionario Chambers] non è una forma di vivere che liberi individui hanno dato alla loro comunità. Per la Jihad il “popolo” è un’entità mitica alla quale gli individui devono sottomettersi. La Jihad non è ovviamente interessata alla democrazia, perché pone la tribù, il popolo e la religione sopra l’individuo. La Jihad non ha come scopo la liberazione, ma la mummificazione del “popolo”. La Jihad non è interessata ai diritti umani.
    Il Mc World

    L’altra forza è quella del mercato globale. Funziona attraverso la standardizzazione. Riduce l’individuo a consumatore. Barber chiama questa forza il Mc World. (continua…)

    Postato in Democrazia Diretta Verhulst

    024 Democrazia Diretta cap 3 Federalismo, sussidiarietà e capitale sociale – Capitale sociale, democrazia e federalismo

    18 Agosto 2009 // Nessun commento »

    direct-democracy-verhulst

    direct-democracy-verhulst

    di Paolo Michelotto

    traduzione di Edoardo

    Capitale sociale, democrazia e federalismo

    Nella prima metà del,’Ottocento l’autore francese Alexis de Tocqueville fece un viaggio attraverso gli Stati Uniti d’America. Il resoconto di questo viaggio è stato pubblicato in due parti: nel 1835 e nel 1840. Ancora oggi i principali leader d’America citano de Tocqueville quando vogliono descrivere l’essenza del “Sogno Americano”.

    De Tocqueville notò due aspetti della società americana che a prima vista apparivano contraddittori. Prima di tutto era sorpreso dalla schietta autonomia dei cittadini americani: “Essi non devono nulla a nessuno, non si aspettano nulla da nessuno; si sono abituati a considerarsi sempre soli e a immaginare che il loro destino è totalmente nelle loro mani”. Ma al tempo stesso egli ha notato che la vita sociale nei novelli Stati Uniti era inusitatamente vivace: “Nelle città è impossibile impedire alle persone di riunirsi, eccitarsi a vicenda e generare decisioni improvvise e appassionate. Le città sono come grandi luoghi di assemblea con tutti gli abitanti come membri. Le persone hanno in mano un’immensa influenza sui magistrati e spesso esaudiscono i loro desideri senza intermediari (…) gli Americani di tutte le età, di qualunque posizione nella vita e di qualunque indole sono sempre impegnati a creare associazioni. Non ci sono solo associazioni commerciali ed industriali a cui tutti prendono parte ma oltre un migliaio di tipi diversi – religiose, morali, serie, futili, molto generali o molto specializzate, immensamente grandi e molto piccole.”

    Nelle righe citate sopra Alexis de Tocqueville descrive niente di meno che la combinazione tra democrazia diretta e federalismo spontaneo. Questa situazione, in cui persone indipendenti si mettono liberamente insieme e assumono decisioni condivise, fornisce un surplus sociale per il quale è stato successivamente coniato il termine “capitale sociale”.

    La creazione del “capitale sociale” – la “madre di tutte le arti” – ha ottenuto una grandissima attenzione negli anni recenti. Il libro di Putnam “Making democracy work” (1993) fu una pietra miliare. Questa pubblicazione riassume i risultati di 20 anni di lavoro sociologico in Italia. L’intenzione originale del gruppo di Putnam era di studiare i risultati della regionalizzazione in Italia. A partire dagli anni 70, in Italia si mise in moto un processo di decentralizzazione e vennero trasferiti poteri significativi alle Regioni. Negli anni i ricercatori raccolsero un’impressionante quantità di informazioni: vennero fatti sondaggi, condotte centinaia di interviste e vennero elaborati montagne di dati statistici.

    Putnam scoprì una consistente e rimarchevole differenza tra le Regioni del Nord e del Sud d’Italia. Le Regioni settentrionali erano economicamente più sane e amministrate molto più efficientemente. Il gruppo di Putnam condusse anche un esperimento. Vennero presentate tre richieste di informazioni alle amministrazioni di diverse Regioni. Le amministrazioni dell’Emilia Romagna e della Valle d’Aosta furono le più rapide a rispondere: i ricercatori ricevettero le risposte complete entro due settimane. Malgrado diverse richieste, le amministrazioni della Calabria e della Sardegna non fornirono mai una completa risposta alle stesse tre domande.

    Putnam testò l’ipotesi che alla base della diversità tra Nord e Sud, ci fosse una differenza di “senso civico”. (continua…)

    Postato in Democrazia Diretta Verhulst

    023 Democrazia Diretta cap 3 Federalismo, sussidiarietà e capitale sociale – Federalismo svincolato

    17 Agosto 2009 // Nessun commento »

    direct-democracy-verhulst

    direct-democracy-verhulst

    di Paolo Michelotto

    traduzione di Edoardo

    Federalismo ’svincolato’

    La democrazia significa che le persone possono plasmare le proprie comunità discutendo tra loro. Le persone devono avere l’opportunità di scegliere i modi migliori per lavorare insieme. Solo un federalismo coerente da a loro questi spazi. Perciò la democrazia diretta e il federalismo sono inseparabilmente insieme. Sono due aspetti dello stesso ideale: piena e robusta democrazia. (Barber, 1984).

    L’importanza della libera formazione delle comunità è ben illustrata dall’esempio della Svizzera. La Svizzera non è solo il paese con la più ampia democrazia diretta del mondo. È anche il paese con un federalismo pienamente e fortemente sviluppato.
    I livelli amministrativi più bassi in Svizzera, come i Cantoni e i Comuni, spesso hanno maggiori poteri (rispetto alla tasse, per esempio; guarda paragrafo 4-3 e capitolo 5).

    Nel 1847 in Svizzera si ebbe una specie di guerra di secessione nella quale l’unione dei Cantoni cattolici separatisti, che voleva dissociarsi dallo stato federato, venne sconfitta. Oggi la combinazione della democrazia diretta con le strutture federaliste rende possibile che questo tipo di conflitti si risolvano pacificamente. Per esempio, la regione dello Jura decise nel 1978 di formare il proprio Cantone. Ciò avvenne attraverso un referendum nazionale che approvò la nuova struttura federale con un Cantone in più. Nel 1993 molti comuni dell’area del Laufental decisero di trasferirsi dal Cantone di Berna al Cantone di Basel-Land. Anche questo spostamento di confine venne deciso pacificamente attraverso un referendum nazionale.

    Frey e Eichenberger (1996 e 1999) auspicano un federalismo radicale nel quale le unità politiche più basse possano federarsi come desiderano. I cittadini devono avere il diritto di decidere quali legami federativi creare tramite referendum. Un comune, per esempio, potrebbe decidere di trasferirsi da una provincia ad un’altra che i cittadini ritengono sia meglio amministrata. (continua…)

    Postato in Democrazia Diretta Verhulst

    022 Democrazia Diretta cap 3 Federalismo, sussidiarietà e capitale sociale – Federalismo e democrazia diretta

    16 Agosto 2009 // Nessun commento »

    direct-democracy-verhulst

    direct-democracy-verhulst

    di Paolo Michelotto

    traduzione di Edoardo

    Federalismo e democrazia diretta

    Per il federalista coerente l’individuo rappresenta il livello più alto. Presentiamo due tesi a sostegno di questo punto di vista.

    Primo, lo scopo dei politici è quello di minimizzare sofferenza e disordine, nella misura in cui questi siano attribuibili a circostanze sociali. Dato che la sofferenza è sempre esperita dagli individui e mai dai gruppi o da intere popolazioni come tali, è logico che l’individuo appaia come l’autorità politica più elevata.

    Secondo, le decisioni politiche sono essenzialmente sempre scelte morali o giudizi di valore. Solo gli individui hanno una coscienza e la capacità di formulare un giudizio morale. I gruppi o le popolazioni come tali non hanno una coscienza. È quindi logico, anche da questa prospettiva, che l’individuo appaia come l’autorità più elevata.

    Ciononostante i federalisti non sono egocentrici. Sanno che gli individui possono solo essere esseri umani reali, individui reali, dentro l’edificio della società. Le persone si uniscono ad altre persone proprio perché sono creature sociali.

    Gli individui formano delle piccole comunità di giustizia, all’interno delle quali vari problemi possono essere regolati democraticamente. Alcuni problemi non possono essere affrontati a livello di villaggio, di città, di valle o di regione. In questi casi le comunità più piccole si possono federare: si uniscono per formare una nuova, più grande comunità che è autorizzata ad affrontare questi problemi. Questo processo di federazione può essere ripetuto finché si sono affrontati tutti i problemi a livello appropriato.

    Federalismo è il nome che diamo alla struttura che emerge quando, per affrontare alcuni problemi, le comunità più piccole si accordano reciprocamente per formare una comunità più grande e per delegare ad essa certi poteri. Poiché la delega avviene dal più piccolo al più grande e poiché il delegare ad un livello più grande è una libera scelta del livello più piccolo, la delega dal più piccolo al più grande è, per principio, rescindibile in qualsiasi momento. Il livello più piccolo è al tempo stesso il livello più elevato. L’individuo è il più piccolo e anche il più elevato livello. In questo contesto, “più elevato” e “più basso” devono essere intesi nel senso di una gerarchia amministrativa. Quando le comunità trasferiscono il potere ad un distretto o ad una regione, allora questi ultimi sono “più elevati” delle comunità in termini tecnici amministrativi. Tuttavia sono le comunità – o l’elevato livello dei cittadini – che hanno trasferito questo potere e che possono in linea di principio anche rescinderlo.

    Se pensiamo all’idea federalista fino alla sua conclusione logica, arriviamo all’individuo autonomo come la più piccola e al tempo stesso la più basilare delle comunità. La persona individuale è così l’ultimo corpo delegante. Questo è anche logico perché una buona misura si distingue sempre da una meno buona dalla maggiore efficienza con cui elimina la sofferenza o il disordine e, come abbiamo visto, la sofferenza o il disordine sono sperimentati solo dagli individui – mai dalle comunità. Il fatto che l’individuo sia l’autorità più elevata dovrebbe logicamente riflettersi sul processo decisionale democratico-diretto a tutti i livelli.

    Questa è la pubblicazione a puntate della traduzione in Italiano del libro Democrazia Diretta di Verhulst Nijeboer. Puoi aiutare Edoardo e Emilio Piccoli che stanno effettuando gratuitamente la traduzione in Italiano effettuando le eventuali correzioni e inviandole a piccoliemilio@gmail.com

    La versione in inglese che stanno traducendo si trova qui:

    http://www.paolomichelotto.it/blog/2008/11/04/democrazia-diretta-un-testo-fondamentale/

    Postato in Democrazia Diretta Verhulst

    021 Democrazia Diretta cap 3 Federalismo, sussidiarietà e capitale sociale – Sussidiaretà e federalismo

    15 Agosto 2009 // Nessun commento »

    direct-democracy-verhulst

    direct-democracy-verhulst

    di Paolo Michelotto

    traduzione di Edoardo

    Sussidiarietà e federalismo

    “Federalismo” è l’opposto di “sussidiarietà”. In una società federalista la delega arriva dagli stessi singoli cittadini. Anche i federalisti sostengono che vi è ingiustizia se i compiti non vengono delegati, in quanto gli uomini sono animali sociali e dipendono l’uno dall’altro. Nondimeno la sussidiarietà differisce fondamentalmente nello spirito dal principio del federalismo. Il federalismo comincia dall’individuo, perché non solo coscienza e giudizio morale ma anche l’esperienza di gioie e dolori della vita sono caratteristiche individuali. I gruppi in sé non soffrono e ancor più importante, non hanno coscienza. La sussidiarietà d’altra parte emana dal potere che si trova al di sopra degli individui e che “benevolmente” crea lo spazio per le attività dei livelli più bassi e degli individui stessi.

    L’idea federalista può essere facilmente legata all’ideale democratico. Ma la connessione è anche più stretta di così: la democrazia diretta e il federalismo sono i due lati inseparabili della stessa medaglia totalmente democratica. Il concetto di sussidiarietà d’altra parte è del tutto inconciliabile con la piena democrazia, perché è basato su di un’autorità data a priori. Nella teoria della sussidiarietà il modello della Chiesa strutturato gerarchicamente viene trasposto nello Stato secolare. Nel concetto federalista sono gli individui ad essere al livello più alto, cosicché sono gli individui che decidono che cosa è delegato e a quale livello. Per i fautori della sussidiarietà questo diritto di decidere è prerogativa dello Stato (che dal punto di vista della Chiesa è ancora subordinato ad un potere “divino”) e gli individui si ritrovano al livello più basso.

    La Chiesa Cattolica probabilmente non ha inventato il termine “sussidiarietà”, ma l’ha preso e propagato con grande successo. L’ideologia della sussidiarietà ha messo radici profonde per esempio all’interno dei circoli europei. In questi circoli ci sono spesso dei ragionamenti molto ambigui sulla direzione (dall’individuo alla società o viceversa) che la delega deve prendere, cosicché è nata una disastrosa confusione tra i termini “federalismo” e “sussidiarietà”. Molte persone attualmente usano il termine “sussidiarietà” quando in realtà hanno ideali federalisti. Anche i federalisti devoti confondono i termini spesso con conseguenze pesanti. Spesso dimenticano che una struttura federalista deve logicamente cominciare con gli individui. Permettono che il discorso federalista cominci solo ad un livello molto più alto, come quello di un comunità o anche dell’intera nazione. Per i livelli più bassi e per l’individuo adottano inconsapevolmente la vecchia idea di sussidiarietà del Papa e della Chiesa Cattolica. Ciò priva il discorso federalista di gran parte della sua attrattiva e della sua coerenza intrinseca e viene perso il legame logico tra federalismo e democrazia diretta.

    Questa è la pubblicazione a puntate della traduzione in Italiano del libro Democrazia Diretta di Verhulst Nijeboer. Puoi aiutare Edoardo e Emilio Piccoli che stanno effettuando gratuitamente la traduzione in Italiano effettuando le eventuali correzioni e inviandole a piccoliemilio@gmail.com

    La versione in inglese che stanno traducendo si trova qui:

    http://www.paolomichelotto.it/blog/2008/11/04/democrazia-diretta-un-testo-fondamentale/

    Postato in Democrazia Diretta Verhulst

    020 Democrazia Diretta cap 3 Federalismo, sussidiarietà e capitale sociale – La Chiesa e la democrazia: il principio di sussidiarietà

    14 Agosto 2009 // Nessun commento »

    direct-democracy-verhulst

    direct-democracy-verhulst

    di Paolo Michelotto

    traduzione di Edoardo

    La Chiesa e la democrazia: il principio di sussidiarietà

    La Chiesa Cattolica non ha mai amato la democrazia. Fino al ventesimo secolo inoltrato, i leader cattolici difesero il concetto che lo stato divino della Chiesa le desse il diritto e l’obbligo di essere coinvolta nel plasmare l’attività politica. In particolare, ci si aspettava che i politici democratici cristiani si attenessero alle direttive di Roma. Per esempio, Papa Pio X in “Fin dalla prima nostra enciclica” nel 1903, scrisse: “Nel rispondere alle proprie responsabilità la democrazia Cristiana ha il più profondo dovere di dipendenza dall’autorità religiosa ed è soggetta e deve obbedienza ai vescovi e a chiunque li rappresenti. Non è né diligenza encomiabile né sincera devozione intraprendere qualcosa che è veramente bello e buono, ma che non è stato approvato da un rappresentante autorizzato della Chiesa”.

    Comunque la Chiesa domandava obbedienza alla società intera. Nella lettera enciclica “Immortale Dei” (1885) Papa Leone XIII affermò che era sbagliato porre le varie forme di culto divino sullo stesso piano della vera religione. La Chiesa è sempre stata molto determinata su questo punto. Come si era auto nominata guardiana della verità assoluta, era molto difficile fare altro. L’esperienza ha dimostrato in Polonia, in Irlanda e in Italia che la Chiesa prova anche ad imporre i suoi punti di vista all’intera società attraverso i governi, se sente di essere nella posizione per farlo. Fino al 1944, con la lettera enciclica “Già per la Sesta Volta” (Pio XII), la Chiesa non prese una posizione di principio favorevole alla democrazia (Woldring, 1996). L’avversione della Chiesa agli ideali democratici spiega perché i politici cattolici hanno così strenuamente resistito all’introduzione del suffragio universale (contro il quale, casualmente, usarono più o meno gli stessi argomenti che sono attualmente usati contro la democrazia diretta).

    Dovremmo quindi avere qualche cautela nel considerare l’affermazione che anche la Chiesa Cattolica abbia formulato una teoria di governo basata sul concetto di sussidiarietà. L’enciclica “Quadragesimo Anno” (1931) formulava ciò come segue: “…È vero certamente e ben dimostrato dalla storia, che, per la mutazione delle circostanze, molte cose non si possono più compiere se non da grandi associazioni, laddove prima si eseguivano anche delle piccole. Ma deve tuttavia restare saldo il principio importantissimo nella filosofa sociale: che siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. (…)Perciò è necessario che l’autorità suprema dello stato, rimetta ad associazioni minori e inferiori il disbrigo degli affari e delle cure di minor momento, dalle quali essa del resto sarebbe più che mai distratta ; e allora essa potrà eseguire con più libertà, con più forza ed efficacia le parti che a lei solo spettano, perché essa sola può compierle; di direzione cioè, di vigilanza di incitamento, di repressione, a seconda dei casi e delle necessità. Si persuadano dunque fermamente gli uomini di governo, che quanto più perfettamente sarà mantenuto l’ordine gerarchico tra le diverse associazioni, conforme al principio della funzione suppletiva dell’attività sociale, tanto più forte riuscirà l’autorità e la potenza sociale, e perciò anche più felice e più prospera la condizione dello Stato stesso.”

    “Sussidiarietà” è un concetto chiave nell’ideologia cristiano-democratica. L’idea di base è che i livelli “più alti” deleghino il maggior numero possibile di compiti ai livelli “più bassi” in modo da sollevare se stessi dal lavoro meno importante, che per lo più può essere fatto più efficientemente dai livelli più bassi. Un’ulteriore assunto è che i livelli più bassi, giù fino ai singoli individui, sono trattati ingiustamente se non c’è delega. Comunque l’iniziativa di delega è di tipo alto-basso. E’ il livello più alto che decide quanto spazio di manovra riceveranno i livelli più bassi e quando e se la loro libertà d’azione sarà annullata. Ciò è espresso anche dal termine stesso. “Sussidiario” significa “riserva” o “ausiliario” (come per i militari); i livelli più bassi sono effettivamente i soldati ausiliari dei livelli più alti.

    Questa è la pubblicazione a puntate della traduzione in Italiano del libro Democrazia Diretta di Verhulst Nijeboer. Puoi aiutare Edoardo e Emilio Piccoli che stanno effettuando gratuitamente la traduzione in Italiano effettuando le eventuali correzioni e inviandole a piccoliemilio@gmail.com

    La versione in inglese che stanno traducendo si trova qui:

    http://www.paolomichelotto.it/blog/2008/11/04/democrazia-diretta-un-testo-fondamentale/

    Postato in Democrazia Diretta Verhulst

    019 Democrazia Diretta cap 2 Cos’è la democrazia? – 2-3: Frans van den Enden

    23 Luglio 2009 // Nessun commento »

    direct-democracy-verhulst

    direct-democracy-verhulst

    di Paolo Michelotto

    traduzione di Emilio Piccoli

    2-3: Frans van den Enden
    Per molto tempo il filosofo olandese Spinoza venne ritenuto quello che aveva posto le prime basi filosofiche della democrazia – sovranità popolare e una radicale libertà di parola. Questo fa di lui un tipico rappresentante di quello che lo storico Jonathan Israel (2002) chiama illuminismo radicale. Alcune delle persone famose che sono considerate le rappresentanti classiche dell’Età della Ragione – Newton, Locke e Montesquieu, per esempio – sono infatti rappresentanti dell’Età moderata della Ragione. I credo di Locke sono rappresentativi di questa Età moderata della Ragione.Egli sosteneva la tolleranza e la libertà di credo religioso per tutti i tipi di convinzioni cristiane, ma non per gli atei – perché questo avrebbe significato respingere la base della moralità – e neanche per i cattolici, perché essi riconoscevano un’autorità straniera: il Papa. I sostenitori della Età moderata della Ragione lottarono contro l’ Illuminismo radicale e quest’ultimo sovente doveva operare clandestinamente.
    Nel 1990 però l’esperto di Spinoza Wim Klever scoprì che Spinoza in realtà mutuò le sue idee dal suo precettore Franciscus van den Enden (1602-1674). Van den Enden era di Anversa, ma poi fuggì ad Amsterdam, dove fondò una piccola scuola privata nella quale insegnò anche Spinoza. Klever scoprì che Van den Enden era autore di due rivoluzionari, anonimi libri pubblicati: Kort Verhael Van Nieuw Nederlants ( un breve resoconto dei Nuovi Paesi Bassi, 1662) e Vrije politijke Stellingen (Libere proposte politiche, 1665 , ripubblicato da Klever nel 1992).
    Van den Enden fu il primo a sostenere l’uguaglianza politica “tra persone più e meno intelligenti e persone più e meno benestanti, di sesso maschile e femminile, governanti e sudditi, ecc.”. Van den Enden dichiarò esplicitamente che l’uguaglianza politica non significa mettere allo stesso livello. Egli sostiene che ogni essere umano è un individuo unico con talenti e caratteristiche specifiche e che l’uguaglianza politica non deve fare nulla per cambiare questo stato di cose. L’uguaglianza prevede la libertà. Le leggi devono fornire a tutti lo spazio per svilupparsi, parlare e pensare in eguale maniera – per cui Van den Enden utilizza il termine “pari libertà”. Egli formulò il principio di sovranità popolare con i termini più forti possibili. Egli mise in guardia – correttamente come adesso possiamo vedere – contro la creazione di una classe politica che avrebbe servito i suoi propri interessi. Van den Enden sosteneva che era meglio che le persone prendessero le decisioni politiche da sé e credeva che le assemblee pubbliche fossero il miglior strumento per raggiungere questo obiettivo. Van den Enden notava che, a seguito della deliberazione comune e del processo decisionale in tali assemblee, le conoscenze della gente e le competenze politiche sarebbero aumentate considerevolmente. In questo contesto egli aveva un concetto limitato di “popolo”: solo gli uomini che potevano provvedere a sé stessi avevano diritto di voto. Gli uomini che non erano in grado di farlo, e anche le donne, non avrebbero dovuto essere autorizzati ad accedere alla pubblica assemblea (in questo senso la sua teoria dell’uguaglianza era incoerente). In occasione della prima assemblea pubblica – egli affermava – i cittadini dovrebbero fare uno spettacolo bruciando tutte le leggi e i regolamenti che concedevano poteri speciali o privilegi alla nobiltà e al clero. Egli riteneva che tali comunità autenticamente diretto-democratiche (allora ancora città) potessero stabilire reciproci legami federativi. Tutto questo lo rende forse il primo teorico della democrazia diretta. Van den Enden sosteneva anche il libero porto d’armi da parte dei cittadini, in modo che altri governanti non fossero in grado di sottrarre con l’inganno i loro diritti democratici.
    Van den Enden riteneva che la democrazia era indissolubilmente legata a una vita culturale libera. “La cosa più dannosa in uno Stato è che non è lasciata alle persone la libertà di proclamare tutte le cose che ritengono essere di maggior interesse pubblico …”. Non dovrebbero essere messi ostacoli sulla strada di nessuno, nemmeno degli stranieri, concernenti le opinioni personali o le questioni religiose. Van den Enden sosteneva anche il principio di mutua solidarietà, in relazione alle necessità materiali delle persone. Centrale nelle sue idee era il diritto al lavoro. Lo Stato impone di fatto l’appartenenza allo Stato stesso a tutti coloro che sono nati all’interno dei suoi confini; ciò è giustificato solo se lo Stato fornisce anche uguali livelli di beneficio per tutti i suoi membri. Egli inoltre sosteneva l’introduzione di strutture sociali e mediche e respingeva decisamente “l’umiliante elargizione di elemosina” da parte della gente ricca e delle chiese.
    Quasi 125 anni prima della Rivoluzione Francese Frans Van den Enden aveva già abbracciato la sua celebrata trinità di ideali: libertà, uguaglianza e fraternità. Ma considerando che i rivoluzionari francesi produssero questa parola d’ordine in una forma del tutto indifferenziata, Van den Enden portò in essa molto maggiore differenziazione: egli collega la libertà con la vita culturale (la libertà di parola e di religione), l’uguaglianza con il sistema politico e giuridico, e la solidarietà con le necessità materiali delle persone (vedi anche il capitolo 3).
    Van den Enden successivamente si trasferì a Parigi dove fu arrestato per essere stato coinvolto in un complotto contro Luigi XIV. Il 27 novembre 1674 fu giustiziato per impiccagione nel Palazzo della Bastiglia. Se si confronta il contenuto di “Libere proposte politiche” con la situazione odierna, è chiaro che, la maggior parte degli obiettivi formulati da Van den Enden quasi tre secoli e mezzo fa, sono ancora in attesa di essere realizzati.

    Questa è la pubblicazione a puntate della traduzione in Italiano del libro Democrazia Diretta di Verhulst Nijeboer. Puoi aiutare il Emilio effettuando le eventuali correzioni e inviandole a piccoliemilio@gmail.com

    La versione in inglese che sta traducendo si trova qui:

    http://www.paolomichelotto.it/blog/2008/11/04/democrazia-diretta-un-testo-fondamentale/

    Postato in Democrazia Diretta Verhulst

    018 Democrazia Diretta cap 2 Cos’è la democrazia? – 2-2 Boicottaggio con quorum di partecipazione

    22 Luglio 2009 // Nessun commento »

    direct-democracy-verhulst

    direct-democracy-verhulst

    di Paolo Michelotto

    traduzione di Emilio Piccoli

    2-2 Boicottaggio con quorum di partecipazione
    I referendum comunali in Germania illustrano abbondantemente l’opera distruttiva dei quorum di partecipazione.
    Nel Baden-Württemberg il referendum comunale fu introdotto già nel 1956 (negli altri Stati tedeschi fu introdotto non prima del 1990). Però la legislazione del Baden è molto restrittiva. Una delle più gravi restrizioni è la regola del quorum: almeno il 30% degli elettori devono votare a favore della proposta dei cittadini, altrimenti il voto è nullo.
    Questa norma dà più peso ai voti degli oppositori dell’iniziativa dei cittadini che ai voti dei suoi sostenitori, in quanto il non voto degli astenuti vengono aggiunti al voto no di coloro che si oppongono a questa iniziativa.
    Il referendum di Reutlingen (1986) sulla costruzione di un rifugio antiraid aereo illustra questo effetto in modo sorprendente. Il 20 marzo 1986 il Consiglio comunale (maggioranza CDU) ha deciso di costruire un bunker per la protezione civile. Venne rapidamente allestita una iniziativa dei cittadini contro ciò, con sostenitori comprendenti Spd e Verdi, e il 18 aprile le firme necessarie furono presentate per tenere un referendum comunale sulla questione.
    Il Consiglio comunale e la CDU inscenarono un deliberato boicottaggio nei confronti di questa iniziativa. Qualsiasi partecipazione a serate di dibattito e iniziative similari furono sistematicamente respinte. Nella ultimissima settimana prima della votazione la CDU ruppe improvvisamente il suo silenzio con un annuncio e un opuscolo che fu distribuito come supplemento di un giornale ed era tra l’altro firmato dal Sindaco. Questo conteneva uno sfacciato incoraggiamento a boicottare il voto: “… teste professionali e fredde devono ora agire ragionevolmente, non con un comportamento di voto emotivo ma intelligente. Quindi potete proprio stare a casa Domenica prossima; dopo tutto, viene solo chiesto di votare contro la costruzione del bunker. Anche se non votate verrà espressa la vostra approvazione alla decisione presa dal Consiglio comunale. Avete riposto largamente la vostra fiducia nella CDU per molti anni in occasione delle elezioni. Potete affidarvi a noi anche su questa questione “.
    Il risultato fu che solo 16.784 dei 69.932 elettori registrati presero parte al voto, ma solo 2.126 votarono a favore del bunker. L’iniziativa dei cittadini naufragò causa il 30% del quorum, nonostante il fatto che solo il 3,4% degli elettori si espressero a favore del bunker. Il quorum consentì in ultima analisi a una piccola minoranza della popolazione di prevalere contro una larga maggioranza. Vari altri Comuni nel Baden-Württemberg tennero referendum comunali su simili progetti di rifugi. Nel complesso vi è stata una larga maggioranza contro la costruzione di tali impianti, che le persone hanno ritenuto essere inutili. (Un sondaggio ha mostrato che il 70% dei residenti nel Baden-Württemberg si sono opposti ai bunker). Anche a Nürtingen, un Comune vicino a Reutlingen, ci fu una iniziativa dei cittadini contro un bunker simile. La CDU locale non invitò qui a un boicottaggio. Il risultato fu che il 57% degli elettori partecipò al referendum e il 90% dei votanti respinse la costruzione del bunker. L’iniziativa dei cittadini ebbe quindi successo in questo caso. In un altro Comune, Schramberg, l’iniziativa dei cittadini contro il il progetto del bunker locale ebbe anch’essa successo, nonostante un invito a boicottarla della CDU. In questa occasione il testo della CDU per l’invito a un boicottaggio trapelò prematuramente, cosicché gli oppositori del bunker ebbero ancora il tempo per rispondere e contrastare la manovra. Inoltre i giornali locali pubblicarono critiche all’invito al boicottaggio della CDU. Alla fine il 49,25% degli elettori di Schramberg partecipò al referendum, il minimo del 30% di affluenza per il quorum fu raggiunto e l’88,5% degli elettori si dichiararono contrari al bunker.
    Un boicottaggio può essere condotto anche per linee organizzative. Un esempio ben noto proviene dalla città di Neuss, in cui il primo referendum comunale nel Nordrhein-Westfalen ebbe luogo il 3 settembre 1995. L’argomento era la costruzione di un hotel, vicino al municipio, che avrebbe distrutto un po’ di cintura verde del centro città. La maggioranza CDU riuscì ad ottenere il fallimento del voto pubblico a causa del quorum di partecipazione del 25%. È generalmente noto che quando i referendum in grandi città riguardano progetti di edifici in un singolo specifico distretto, voteranno relativamente poche persone, perché non si sentono personalmente toccate dal problema o hanno l’impressione che la scarsa conoscenza della situazione specifica non permetta loro di giudicare correttamente (ad Anversa un referendum sul progetto della piazza municipale ad Ekeren, per esempio, attirerà pochissimi elettori provenienti da altri quartieri, come il Sud o Hoboken, in cui la maggior parte dei residenti non si sono mai recati di persona a Ekeren). Il Consiglio comunale di Neuss utilizzò una serie di misure volte a scoraggiare gli elettori. Il voto postale non venne consentito (anche se per le elezioni del Consiglio il 15% dei voti furono inoltrati per posta). Invece dei 100 seggi elettorali che furono allestiti per le elezioni del Consiglio, solo 30 seggi furono aperti per questa votazione. Risultato: solo il 18,5% degli elettori partecipò al referendum. E’ vero che quasi l’80% di questi erano contro il progetto dell’hotel del Consiglio comunale, ma poiché il quorum non fu raggiunto l’iniziativa dei cittadini fu dichiarata nulla.
    In Belgio, il 10 aprile 1995, fu istituita una legge che prevede referendum a livello locale non vincolanti e non obbligatori. Venne fissato un quorum di partecipazione del 40% dell’elettorato. Se meno del 40% degli elettori partecipano al referendum le schede devono essere distrutte senza spoglio.
    Sebbene il referendum fosse non-obbligatorio e non-vincolante e, inoltre fosse imposto una altissima soglia del 10% di firme, questo ha indotto ad iniziative in numerose città. Nel 1996 nei Comuni di Genk e As in Limburg i cittadini chiesero un referendum sulla costruzione di un complesso commerciale nel sito di una miniera abbandonata. Nella municipalità di As il Consiglio comunale decise di rifiutare il referendum, ma la votazione a Genk si svolse, il 13 ottobre 1996. Solo 37,47% degli elettori affluirono al voto e, in nome della democrazia belga, le schede non furono contate ma furono distrutte. Le organizzazioni della classe media e i partiti di estrema sinistra aveva invitato la gente a non votare. Il primo referendum tenuto con la nuova legge fu subito una vittima di una riuscito invito al boicottaggio.
    A Gand, il 14 dicembre 1997, si è tenuto un referendum di iniziativa dei cittadini sul progetto del Consiglio comunale per la costruzione del cosiddetto “Belfort car-parking garage” nel centro della città. Il Consiglio comunale aveva deciso in anticipo che avrebbe considerato il risultato vincolante, ma la SP e la VLD, che costituiscono la maggioranza della coalizione a Gand, ha invitato gli elettori a boicottare le elezioni. In questa occasione il boicottaggio fallì con uno stretto margine, perché 41,12% degli elettori affluirono al voto e di questi il 95% votarono contro il parcheggio.
    A Sint-Niklaas, il 28 giugno 1998, si è tenuto un referendum sulla costruzione di un parcheggio sotterraneo. Come a Gand il quorum fu raggiunto a riseco: 40,28% degli elettori affluirono. Di questi il 92% votarono contro il parcheggio. Il voto fu una vicenda incerta perché il più grande partito di Sint-Niklaas, il cristiano-democratico CVP e la locale NCMV (organizzazione dei commercianti), aveva invitato la gente a non votare. Secondo il presidente della locale CVP Julien Vergeylen: “il referendum è una pessima formula. Chiunque voti ’sì’ garantisce solo che quelli che votano ‘no’ raggiungano il 40% necessario. Il votante ’sì’ farebbe meglio a rimanere a casa ” (giornale Gazet van Antwerpen, 17 giugno 1998). Il leader socialista, Freddy Willockx, dichiarò: “Il problema è che, a causa dell’invito al boicottaggio della CVP non abbiamo un quadro obiettivo di ciò che la gente vuole veramente. Ci sono probabilmente circa dal 70% al 80% dei votanti di Sint-Niklaas effettivamente contro il parcheggio, ma non lo potremo mai sapere con certezza” (Gazet van Antwerpen, 29 giugno 1998).
    Sebbene il quorum di partecipazione venne in seguito abbassato (e alzata la soglia di firme), dopo queste e altre dubbie esperienze ci sono state da allora poche iniziative.
    L’Italia ha fornito i più recenti esempi perversi. Il 18 aprile 1999 si è tenuto un referendum per riformare il sistema elettorale. Le riforme erano sostenute dalla maggior parte dei partiti politici; il 49,6% dell’elettorato affluì alle urne e di questi il 91% votò per le riforme. Ma gli elettori si affannarono per niente: perché il quorum di partecipazione del 50% non venne raggiunto per un pelo e le riforme non andarono avanti. Un fatto interessante: nel sud d’Italia la mafia sollecitò attivamente il boicottaggio e a sud di Napoli ci fu un’affluenza del 40%, molto al di sotto della media nazionale. La mafia decise che i loro candidati venivano eletti più facilmente utilizzando l’attuale sistema elettorale e giocò sul quorum di partecipazione, cosicché la mafia vinse contro una maggioranza pubblica superiore al 90%.
    Purtroppo tali campagne di boicottaggio si verificano regolarmente in Italia. L’esempio più recente è il referendum del 12 e 13 giugno 2005, in cui furono votate quattro proposte per la liberalizzazione della legge altamente restrittiva sulla procreazione assistita per le donne. Con l’appoggio del Papa Benedetto XVI il presidente della Conferenza episcopale, il Cardinale Ruini, nominato per competenza in questo caso, invitò attivamente al boicottaggio. “Il Cardinale Ruini trova che non votare sia il modo migliore per respingere le proposte. Dopo tutto un referendum è valido solo nel caso in cui almeno la metà degli elettori vota. Considerato il fatto che era già provato che coloro che voterebbero ’sì’ sarebbero nettamente in maggioranza, votando ‘no’ cattolici aiuterebbero solo a raggiungere il quorum e quindi involontariamente a rafforzare il campo del ’sì’; questo è il ragionamento “, come riferito dal sito web di notizie KatholiekNederland.nl (www.katholieknederland.nl/actualiteit/ 2005/5/nieuws_568842.html). E la strategia di Ruini ebbe successo: l’affluenza alle urne fu inferiore al quorum di partecipazione, cosicché il referendum fallì.
    Questo genere di esempi portano ad una semplice conclusione: i quorum di partecipazione sono fondamentalmente sbagliati. Essi non conferiscono un ugual peso al voto dei sostenitori e degli oppositori di una iniziativa, causano chiamate a boicottaggi e contraddicono il ruolo del mandato nel processo decisionale diretto.

    Postato in Democrazia Diretta Verhulst

    017 Democrazia Diretta cap 2 Cos’è la democrazia? – 2-1: L’assemblea pubblica

    21 Luglio 2009 // Nessun commento »

    direct-democracy-verhulst

    direct-democracy-verhulst

    di Paolo Michelotto

    traduzione di Emilio Piccoli

    2-1: L’assemblea pubblica
    L’assemblea pubblica è la più antica e la più semplice manifestazione di democrazia.
    Nell’Atene di Pericle (450-430 a. C) l’assemblea pubblica (ekklesia) era l’autorità suprema, che approvava leggi e prendeva decisioni di guerra e pace. L’assemblea pubblica ateniese non permetteva rappresentanze che acquisissero il suo ruolo o la sua autorità. Il principio di uguaglianza non era ancora apparso. Solo i “cittadini” (nel significato della parola di quell’epoca) erano ammessi all’assemblea pubblica; gli schiavi ne erano esclusi. All’epoca di Pericle c’erano circa 30 000 cittadini a fronte di 100-250.000 schiavi. Non tutti i cittadini avevano voti uguali: i possidenti avevano un ruolo maggiore.
    Assemblee pubbliche similari emersero in molti luoghi in Europa nel tardo Medioevo. Lecomte (1995, 2003) ad esempio descrive le consuetudini nella piccola città belga di Fosses-la-Ville, quando questa apparteneva alla diocesi del principato di Liegi. Conosciamo l’esatta organizzazione dell’amministrazione locale a Fosses-la-Ville da un documento del 11 dicembre 1447. La gestione quotidiana della città era svolta da un Consiglio Comunale che veniva eletto una volta all’anno.
    I capofamiglia della città si riunivano a questo scopo alla torre bassa porta di Fosses e designavano i membri del Consiglio Comunale con un voto a maggioranza semplice. Dopo il quindicesimo secolo, queste assemblee pubbliche venivano tenute in ogni quartiere, ma il sistema è rimasto comunque lo stesso. Non solo votavano i cittadini della città stessa, ma votavano pure gli “borghesi ambulanti”(non residenti che non godevano per nulla dei diritti di cittadinanza) che venivano dalla campagna circostante. L’adunata di cittadini in assemblea veniva chiamata “Généralité”. Essi non solo nominavano il Consiglio comunale ma avevano anche il potere di occuparsi di tutte le questioni importanti. Il Consiglio comunale non poteva prendere decisioni per conto proprio ma era tenuto a convocare una assemblea pubblica. Lecomte riassume i seguenti poteri che appartenevano intrinsecamente alle prerogative della “Généralité’:
    - emettere nuovi regolamenti e statuti
    - vendere o ipotecare beni e proprietà Comunali
    - importanti lavori pubblici
    - approvazioni dei conti di fine anno
    - imposizione di imposte
    Era compito del sindaco convocare la “généralité” ogni volta che era necessaria una decisione su uno di questi campi. Il compito del Consiglio comunale era essenzialmente esecutivo: era responsabile di curare le attività correnti, ma le nuove regole e le decisioni importanti dovevano essere sempre approvate direttamente dai cittadini. Lecomte correttamente sottolinea la differenza qualitativa tra il regime democratico-diretto di Fosses e il sistema attuale, in cui non sono i cittadini ma piuttosto i Consiglieri comunali a prendere le grandi decisioni: “… C’è una differenza essenziale tra il Consiglio della comunità medievale di Fosses e lo stesso Consiglio di oggi. Oggigiorno il Consiglio adotta regolamenti locali e stabilisce imposte comunali. Nulla di tutto ciò esisteva nel 15 ° secolo. Il potere di fare le leggi locali apparteneva essenzialmente alla “Généralité”, vale a dire all’assemblea generale dei cittadini chiamati a esprimere le loro opinioni su tutte le questioni che colpivano gli interessi della comunità cittadina non rientranti nell’ordinaria amministrazione. “(Lecomte, 2003, p. 154).
    Almeno l’85% dei Comuni svizzeri sono ancora oggi gestiti con l’assemblea pubblica (Kriesi 1992, p. 113). A livello cantonale l’assemblea pubblica (Landsgemeinde) ora esiste solo nell’Appenzell e nel Glarus. Queste assemblee datano a partire dalla fine del Medioevo (il più antico documento che contiene le decisioni prese da un Landsgemeinde risale al 1294) e forse sono storicamente legate all’antica tradizione germanica o scandinava del “Thing”.
    Il Landsgemeinde del cantone Appenzell Innerhoden si riunisce una volta l’anno nella piazza del mercato centrale nell’ultima domenica di aprile. Tutti i cittadini sopra i 18 anni possono partecipare (fino al 1992, l’età minima era 20). In genere si presentano tra il 25% e il 35% dei cittadini aventi diritto di voto che sono circa 3.000 persone. Se ci sono questioni controverse all’ordine del giorno questo numero di solito aumenta. Il voto è per alzata di mano, per cui l’abmehren (verifica di chi ha la maggioranza) a volte incappa in problemi.
    Oltre l’elezione del Standeskommission (consiglio direttivo), il Landamman (una specie di presidente del consiglio) e il Kantonsgericht (giudice cantonale), i punti obbligatori all’ordine del giorno del Landsgemeinde sono i seguenti:
    una eventuale modifica della Costituzione cantonale
    tutte le leggi o gli emendamenti allo Statuto che sono stati preparati dal Grosser Rat (letteralmente il ‘grande consiglio’)
    tutte le proposte per le nuove spese pubbliche sopra i 500.000 franchi svizzeri o spese rinnovabili di almeno 100.000 franchi l’anno per un periodo di almeno cinque anni (finanziamento referendum, dal 1976)
    leggi o emendamenti alla Costituzione cantonale proposti dai cittadini per i quali è sufficiente una firma
    se almeno un cittadino lo richiede: un voto su qualsiasi decisione di spendere almeno 250.000 franchi svizzeri o di almeno 50.000 franchi l’anno per un periodo di almeno cinque anni
    Pertanto, nessuna legge può entrare in vigore nell’ Appenzell Innerhoden senza che prima venga approvata dall’assemblea pubblica. Ogni cittadino ha diritto di parlare all’assemblea pubblica. Non vi sono restrizioni sul numero di oratori o sul tempo di parola. Nella prassi questo non causa alcun problema perché gli oratori sono concisi e arrivano al punto e non si ripetono uno con l’altro. (Hutter, 2001; Carlen, 1996).
    In diversi Stati nel nord-est degli Stati Uniti, esiste anche una tradizione amministrativa che si basa sulla cosiddetta “Open Town Meetings” (OTMs), che può essere fatta risalire direttamente ai Padri Pellegrini (Zimmerman, 1999). Il più alto organo amministrativo nella comunità non è un Consiglio comunale eletto ma una pubblica assemblea. L’ OTM fondamentalmente si riunisce una volta l’anno. Tutti gli elettori iscritti dalla comunità possono parlare e votare in assemblea. L’assemblea è convocata dal Board of Selectmen. Questo è un comitato i cui membri sono stati nominati in occasione della precedente seduta del OTM, e che opera come una sorta di esecutivo del OTM.
    I cittadini possono inserire punti all’ordine del giorno per la OTM. Ciò richiede: un centinaio di firme di elettori registrati, o (nei piccoli comuni) le firme di un decimo del numero di elettori iscritti. Il Selectmen stesso può inserire punti all’ordine del giorno, e includere voci che sono incubate dall’Amministrazione della città e da altri comitati e commissioni.
    Ai partecipanti all’OTM vengono fornite numerose informazioni. In alcuni Comuni l’OTM effettivo è inoltre preceduto da un pre-Town Meeting informativo, durante il quale i cittadini possono chiedere ulteriori informazioni riguardo ai temi all’ordine del giorno. Nel documento stesso si possono trovare consigli di varie commissioni su molti dei temi su cui deve essere espresso il voto. Il town consel, un avvocato specializzato in legislazione comunale, svolge un importante ruolo di consulenza nello stesso OTM.
    Si vota per alzata di mano oppure alzandosi in piedi, ma per argomenti delicati si passa allo scrutinio segreto. Un problema con lo scrutinio segreto è l’impiego di tempo (di solito tre quarti d’ora per il voto e il conteggio). Tuttavia il ricorso alla votazione a scrutinio segreto è essenziale per evitare la pressione sociale su argomenti controversi.
    Le decisioni dell’OTM possono essere sempre abrogate tramite referendum. In Massachusetts sono richieste le firme di 300 elettori iscritti e la decisione del OTM verrà abrogata se lo decide una maggioranza di almeno il 20% degli elettori registrati. In circostanze speciali possono essere convocati OTMs supplementari.
    Quanti cittadini presenziano al Town Meeting? Negli Stati Uniti è necessario registrarsi come elettore. Le percentuali indicate sono per i quattro Stati con OTMs completi: Maine: 28,17%; Vermont: 26,03%; New Hampshire: 22,60%; Massachusetts:11,89%. In realtà tali percentuali dovrebbero essere incrementate del 10% circa, dato che un decimo dei nomi sulle liste elettorali sono quelli di elettori che si sono nel frattempo trasferiti. Secondo l’indagine di Zimmerman (1999), il livello di partecipazione sembra dipendere in larga misura dalla dimensione della comunità. Nei Comuni con meno di 500 abitanti di solito sono presenti più di un terzo. Nel Connecticut in città con più di 20.000 residenti la partecipazione è pari a circa l’1 per cento (Zimmerman, p. 165; dati per il 1996). Frequenze molto basse sono state notate anche nelle comunità dove i poteri del Town Meeting sono limitati.
    Zimmerman (p. 173-174) ha intervistato funzionari comunali sulla qualità del dibattito nel OTM. In Massachusetts, 82% ha valutato la qualità come eccellente o buona, il 16% come ragionevole e il 2% come dubbia. Zimmerman ha inoltre chiesto loro di valutare la qualità delle decisioni. In Massachusetts l’86% dei funzionari ha considerato le decisioni ottime o buone, il 14% ragionevoli e l’ 1% incerte. Le cifre sono simili in altri Stati.
    Nella città sud-brasiliana di Porto Alegre, un nuovo sistema per la preparazione diretto-democratico del bilancio della città è diventato operativo tramite assemblee pubbliche dal 1989 (Abers, 2000). Questo sistema è stato introdotto dal Partido dos Trabalhadores ( Partito del lavoro) di sinistra, che ha ottenuto una significativa vittoria elettorale nel 1988. Alle assemblee pubbliche i residenti del quartiere decidono loro le priorità per investimenti su servizi pubblici ed eleggono i rappresentanti che poi a un livello più elevato – di quartiere e di città – organizzano e danno seguito alle decisioni prese con i servizi comunali. Oltre alle assemblee pubbliche locali vi sono anche incontri a tema, per esempio, su istruzione oppure l’economia e le tasse.
    Le assemblee pubbliche forniscono una vivacissima forma di democrazia diretta e sono sicuramente molto praticabili a livello locale. Tuttavia l’assemblea pubblica ha anche qualche svantaggio rispetto al referendum. L’assenza della votazione a scrutinio segreto è la più importante e basilare obiezione. Inoltre l’assemblea pubblica richiede un contributo individuale che viene fornito in un lasso di tempo specifico e quindi esclude più facilmente alcuni elettori dalla partecipazione.

    Postato in Democrazia Diretta Verhulst

    016 Democrazia Diretta cap 2 Cos’è la democrazia? – In cerca dell’archetipo

    20 Luglio 2009 // Nessun commento »

    di Paolo Michelotto

    traduzione di Emilio Piccoli

    direct-democracy-verhulst

    direct-democracy-verhulst

    La sfera d’autorità del referendum

    Deve essere possibile tenere un referendum su tutte le questioni per le quali è pure possibile una decisione rappresentativa. È in conflitto con il diritto di iniziativa negare ai cittadini il diritto di indirizzare il processo decisionale su determinate questioni. Comunque il processo decisionale diretto deve essere soggetto alle restrizioni che si applicano anche al processo decisionale rappresentativo.
    Tre punti sono particolarmente importanti in questo contesto:
    - Il processo decisionale deve avvenire al livello adeguato. Ad esempio non si può riformare il sistema di sicurezza sociale a livello provinciale o abolire la produzione di energia nucleare a livello comunale.
    - Le proposte per essere votate devono essere in conformità con i diritti fondamentali e di libertà stabiliti nella Costituzione e dai trattati internazionali sui diritti umani.
    - Tuttavia il popolo deve avere il diritto di cambiare la Costituzione con un referendum e gli deve essere dato anche il controllo diretto-democratico sull’ingresso nei Trattati. I Trattati devono essere sempre soggetti a un limite di tempo e possono essere disdetti. In ogni altro caso la sovranità popolare sarebbe limitata in modo inaccettabile.
    L’élite politica ha una forte tendenza, ispirata dalla mancanza di fiducia, ad escludere il processo decisionale diretto-democratico per certi argomenti. Si trova questo atteggiamento non solo tra i leader politici ma anche tra docenti universitari e professori. Un esempio è la “Raccomandazione formulata dal comitato scientifico della Commissione per il rinnovamento politico” (2000) per il comitato dei parlamentari belgi che si occupano di rinnovamento politico. In questo possiamo leggere: “Le questioni fiscali sono escluse da una votazione popolare in molti paesi; il motivo si basa sul giustificato timore che con il referendum o il consenso popolare la gente opterà quasi sempre per una riduzione delle spese che sopporta, laddove al tempo stesso chiede che il governo fornisca gli stessi o anche migliori servizi”. In seguito a ciò i professori sostengono l’esclusione delle questioni che riguardano esclusivamente o principalmente temi fiscali o di bilancio. La loro argomentazione non è soltanto anti-democratica, ma è anche falsa nella misura in cui essi non menzionano espressamente l’esempio contraddicente della Svizzera. Qui non ci sono restrizioni ai referendum su questioni fiscali, senza che ciò arrechi pregiudizio al bilancio nazionale (si vedano anche i capitoli 5 e 6).
    Diritto di petizione
    I più piccoli gruppi di cittadini (ad esempio lo 0,1% dell’elettorato, circa 45.000 firme in Gran Bretagna) devono essere in grado di sottoporre qualcosa all’ordine del giorno del Parlamento (diritto di petizione), anche se sono state raccolte firme insufficienti per ottenere un referendum. Questa è una diretta conseguenza della natura stessa del Parlamento: è l’istituzione in cui vengono prese le decisioni su questioni di rilevanza sociale su cui gli stessi cittadini non vogliono decidere. Il fatto che diverse migliaia di cittadini presentino una petizione rende già l’oggetto un problema di rilevanza sociale.
    Il diritto di petizione e il referendum di iniziativa dei cittadini sono collegati in una procedura multi-fase diretto-democratica. Una iniziativa popolare incomincia come una petizione di gruppo. Se per esempio sono 43.800 le firme raccolte, la proposta dei cittadini è inoltrata al Parlamento come una petizione. Se il parlamento approva la proposta, l’iniziativa si conclude. Negli altri casi l’iniziativa popolare può costringere a un referendum, se si ha un maggior numero di firme (ad esempio il 2% degli elettori, circa 900.000 in Gran Bretagna). Gli elettori devono quindi anche essere informati delle raccomandazioni e considerazioni del Parlamento, che certamente costituiscono una parte significativa del dibattito sociale. Al Parlamento può anche essere concesso il diritto di presentare una proposta alternativa in aggiunta alla proposta popolare. Poi, in occasione del referendum, gli elettori hanno la possibilità di scegliere fra tre alternative: lo status quo, la proposta popolare, ovvero l’alternativa parlamentare (questo tipo di sistema è in vigore in Svizzera e Baviera). Questo tipo di provvedimento può garantire un legame più stretto tra il Parlamento e la gente (si veda anche il capitolo 6, lettera e).

    Questa è la pubblicazione a puntate della traduzione in Italiano del libro Democrazia Diretta di Verhulst Nijeboer. Puoi aiutare il Emilio effettuando le eventuali correzioni e inviandole a piccoliemilio@gmail.com

    La versione in inglese che sta traducendo si trova qui:

    http://www.paolomichelotto.it/blog/2008/11/04/democrazia-diretta-un-testo-fondamentale/

    Postato in Democrazia Diretta Verhulst

    015 Democrazia Diretta cap 2 Cos’è la democrazia? – Quorum di partecipazione

    19 Luglio 2009 // Nessun commento »

    direct-democracy-verhulst

    direct-democracy-verhulst

    di Paolo Michelotto

    traduzione di Emilio Piccoli

    Quorum di partecipazione
    Visto il principio di mandato è assurdo introdurre quorum di partecipazione al processo decisionale diretto. I cittadini che non prendono parte ad una votazione sono considerati come avessero dato un mandato a coloro che vi partecipano. Se si introducono quorum alla partecipazione si apre la porta ad azioni di boicottaggio da parte delle minoranze. Supponiamo per esempio che vi sia un quorum di partecipazione del 40% e che il 60% degli elettori voglia votare. All’interno del gruppo desideroso di votare, il 55% sostiene la proposta oggetto del voto e il 45% vi si oppone. Gli oppositori non possono vincere la consultazione se prenderanno parte al referendum. Ma se rimangono a casa però possono ‘vincere’, perché allora il quorum del 40% non verrà raggiunto e la proposta verrà respinta contro la volontà della maggioranza [v. 2-2].
    Abbiamo visto che il mandato parlamentare non è che una forma derivata del mandato ricevuto dagli elettori effettivi nel processo decisionale diretto-democratico. Un Parlamento contiene in media solo il 0,003% della popolazione eppure esso può ancora prendere decisioni. Quindi non ha senso introdurre all’improvviso quorum di partecipazione del 20% o 40% per il “Parlamento ad hoc” formatosi con il referendum. L’errore che viene fatto con i quorum di partecipazione è che le persone che rimangono a casa sono computate o come sostenitori o come oppositori (a seconda del referendum). In realtà essi hanno scelto di non esprimere le proprie opinioni. Questo deve essere rispettato.
    Infine possiamo anche notare che l’affluenza ad un referendum non deve essere confrontata con l’affluenza alle elezioni. Nelle elezioni le questioni di ogni tipo sono all’ordine del giorno o manifeste nei partiti: quelle correnti e anche tutti i nuovi argomenti che potrebbero presentarsi nei prossimi quattro o cinque anni. Un referendum ha una sola questione specifica all’ordine del giorno, quindi è logico che l’affluenza a questo sia inferiore a quella per le elezioni.
    Talvolta vengono addotti argomentazioni per un quorum basso, proprio per evitare possibili boicottaggi. Comunque questo punto di vista è illogico. Un quorum o è così basso che è destinato ad essere raggiunto: allora per essere sicuri il boicottaggio viene escluso ma al tempo stesso il quorum è inutile oppure il quorum è così alto che è improbabile che venga mai raggiunto: quindi è possibile il boicottaggio. Non c’è una terza possibilità.
    Si deve anche ricordare che il quorum partecipativo è essenzialmente impossibile per elezioni parlamentari o per elezioni dei Consigli comunali. Del resto se un tale quorum non venisse raggiunto il sistema legislativo e amministrativo si fermerebbe completamente. Non ci sono buone ragioni per non avere il quorum per questo tipo di elezioni e insistere per averne uno per i referendum. Se al gruppo che prende la decisione di indire un referendum è richiesto di essere ’sufficientemente rappresentativo’, poi lo stesso obbligo deve valere a maggior ragione (anche più rigorosamente) per le elezioni parlamentari. Supponiamo che un quorum di partecipazione del 25% venga stabilito per un referendum e, allo stesso tempo non venga fissato nessun quorum per le elezioni parlamentari. Un referendum a cui partecipa il 20% dell’elettorato verrà dichiarato non valido. Ma un Parlamento, che viene eletto solo dal 5% dell’elettorato può ancora prendere decisioni “legittime” – decisioni fondate sulla partecipazione indiretta del 5% dei cittadini – mentre il risultato del referendum annullato può vantare una partecipazione diretta dei cittadini del 20%. Ciò è illogico. Inoltre il mandato che viene dato al Parlamento è di portata molto più ampia rispetto al mandato conferito agli elettori da parte di coloro che rimangono a casa durante un referendum. Dopo tutto non si può dire nulla con certezza su quali decisioni di grande portata verranno prese da tutti i membri del parlamento. Nel corso di una seduta parlamentare nuovi argomenti e disegni di legge, che non potevano essere previsti, vengono costantemente messi all’ordine del giorno.
    Infine alcuni sostenitori del quorum di partecipazione si riferiscono al cosiddetto rischio di ‘compartimentazione’. Con ciò si intende che i cittadini voterebbero solo per le questioni per le quali è interessato il proprio gruppo. Ad esempio in un referendum su di un progetto per trattare il letame voterebbe solo quella piccola parte della popolazione che sono allevatori di bestiame.
    Questa obiezione si basa sulla falsa premessa che le persone votino solo per difendere i propri interessi di gruppo. La realtà è diversa (si veda il capitolo 6, punto b). Nei paesi o Stati senza quorum di partecipazione, come la Svizzera e la California, non c’è alcuna evidenza di ‘compartimentazione’. I progressi nella pratica delle votazioni democratiche dirette rende qualsiasi ‘effetto di compartimentazione’ improbabile a priori. Ad esempio in qualsiasi referendum-day in Svizzera vi sono quasi sempre diverse questioni referendarie da votare simultaneamente. Questi referendum sono tenuti sulle più diverse discipline e non riguardano solo il livello federale e cantonale ma anche il livello municipale. Pertanto la gente non è di norma chiamata alle urne per l’interesse su di un’unica questione specialistica.
    Al contrario è il sistema parlamentare ad essere altamente esposto alla tentazione della compartimentazione. Interessanti esempi di ciò sono appunto il sistema di trattamento del letame od il divieto della pubblicità a favore del tabacco in Belgio. Gruppi d’interesse economico, tramite i loro contatti con un ristretto gruppo di membri “specializzati” del Parlamento, possono esercitare una pressione inaudita sul processo decisionale. Il processo decisionale diretto-democratico renderebbe molto più difficile, per tali gruppi d’interessi, giocare vincendo a man bassa.

    Il quorum nel Parlamento
    Talvolta il quorum di partecipazione ai referendum viene difeso mettendolo a paragone con quello vigente in molti Parlamenti. Le votazioni in seno al Parlamento sono spesso valide solo a condizione che almeno il 50% dei membri del Parlamento esprimano il loro voto. Per analogia una votazione popolare potrebbe essere valida solo a condizione che almeno il 50% delle persone esprimano il loro voto.
    Tuttavia l’analogia è falsa. Abbiamo visto che il Parlamento è logicamente equivalente a quelli che votano in un referendum e non con al numero totale di persone aventi diritto al voto. Un membro del Parlamento ha un contratto in corso con i cittadini: lui o lei ha intavolato questo contratto per un determinato periodo di tempo per portare avanti il processo decisionale sociale nella misura in cui i cittadini stessi non vogliono decidere. Pertanto il Membro del Parlamento (MP) deve essere in teoria sempre presente alle votazioni in Parlamento. Se lui o lei si allontana intenzionalmente, ciò costituisce una rottura del contratto con gli elettori. Il quorum del 50% in Parlamento è un debole riflesso di tale obbligo. Non è un buon accordo, perché opera a favore della polarizzazione tra maggioranza e minoranza in Parlamento. A sua volta questa polarizzazione è in contrasto con il contratto che intercorre tra i membri di minoranza del Parlamento e i loro elettori. Se questi membri del Parlamento fanno parte della minoranza, si può legittimamente sostenere che la loro presenza in parlamento è inutile: non possono mai influire sulle decisioni. Pertanto questi membri del Parlamento non sono in grado di onorare i propri contratti con gli elettori, il che non è colpa loro ma un effetto del loro isolamento da parte dei loro colleghi della maggioranza. Sarebbe meglio sostituire il quorum del 50% in Parlamento con una regola in cui l’assenza di un membro del parlamento venisse sanzionata con la rimozione e la sostituzione con un candidato non eletto di un altro partito.

    Questa è la pubblicazione a puntate della traduzione in Italiano del libro Democrazia Diretta di Verhulst Nijeboer. Puoi aiutare il Emilio effettuando le eventuali correzioni e inviandole a piccoliemilio@gmail.com

    La versione in inglese che sta traducendo si trova qui:

    http://www.paolomichelotto.it/blog/2008/11/04/democrazia-diretta-un-testo-fondamentale/

    Postato in Democrazia Diretta Verhulst

    014 Democrazia Diretta cap 2 Cos’è la democrazia? – Parlamento e referendum

    18 Luglio 2009 // Nessun commento »

    direct-democracy-verhulst

    direct-democracy-verhulst

    di Paolo Michelotto

    traduzione di Emilio Piccoli

    Parlamento e referendum
    Perciò il sistema rappresentativo puro non può essere considerato come veramente democratico. Tale sistema necessita, a priori, l’impiego di un processo decisionale d’élite e apre la possibilità d’introdurre leggi contrarie alla volontà popolare.
    Ciò nonostante, il sistema rappresentativo può funzionare ragionevolmente bene in una situazione particolare. Quando la grande maggioranza degli elettori approva un sistema rappresentativo puro e se, inoltre, la maggioranza dei cittadini si identifica principalmente con uno dei partiti politici esistenti, il sistema rappresentativa puro è ragionevolmente legittimo (perché esso è desiderato dai cittadini). Questa situazione si è forse verificata in misura più o meno grande in molti paesi occidentali fino a al 1960 circa.
    Ma i tempi sono cambianti. La maggioranza dei cittadini vuole i referendum e la maggiore parte delle persone non si identifica più espressamente con un partito politico o l’altro (cfr. riquadro 1). Il sistema del processo decisionale politico resta invariato, ma il deficit democratico è ancora notevolmente in aumento, perché in questo sistema la capacità della gente di esprimere le proprie convinzioni sociali continua ad essere erosa.
    Ciò può essere risolto solo con l’introduzione del referendum obbligatorio di iniziativa dei cittadini. Insieme al sistema rappresentativo, il referendum obbligatorio di iniziativa dei cittadini è in grado di produrre un sistema che, da un lato, contiene le caratteristiche essenziali della pubblica assemblea (uguaglianza, diritto di iniziativa, regola maggioritaria, principio di mandato) e, dall’altro , è ancora utilizzabile in una società moderna. Però poi dobbiamo introdurre alcuni nuovi principi che stabiliscano come i processi decisionali rappresentativi e diretto-democratici interagiscono reciprocamene. In particolare, se vogliamo mantenere il vantaggio essenziale della democrazia rappresentativa (voto popolare non su ogni questione), i cittadini devono essere tenuti a dimostrare un interesse attivo nel processo decisionale diretto. Il Parlamento, o l’organo rappresentativo, verrebbe considerato in possesso di un mandato per tutte quelle questioni sulle quali i cittadini non rendono attivamente manifesto il loro desiderio per il processo decisionale diretto.
    Pertanto, se un gruppo di cittadini vuole ottenere un referendum su una certa questione, essi devono dimostrare che effettivamente esiste tra la gente un chiaro desiderio per il processo decisionale diretto. In pratica, questa prova è fornita mediante la raccolta di firme per richiedere un referendum. In Svizzera, per esempio, si tiene un referendum a livello federale se il 2% degli elettori ne fa richiesta.
    Gerarchia delle leggi
    Una legge che viene approvata con un referendum deve essere superiore nella gerarchia giuridica alle leggi approvate dal Parlamento. C’è una disposizione supplementare che una legge approvata direttamente dal popolo non può essere successivamente buttata via dal Parlamento. Dopo tutto, se si tiene un referendum, ciò significa che le persone vogliono esprimere le proprie opinioni in merito alla questione in esame. Con il referendum il mandato democratico è quindi posto nelle mani degli elettori e non in quelle dei membri del Parlamento.
    In Svizzera questa superiorità della legge del popolo è disciplinata a livello federale includendo la legge popolare come parte della Costituzione. Poiché la Costituzione svizzera può essere modificata solo attraverso un referendum, ciò significa che una decisione del popolo non può essere abolita che da un’altra decisione del popolo. C’è lo svantaggio però che la Costituzione svizzera si è sviluppata in uno strano miscuglio di disposizioni generali (come quelli che di solito tendono a comparire in una costituzione) e disposizioni molto specifiche (che sono normalmente regolate con leggi ordinarie).
    Che possano sorgere gravi problemi su questo punto è dimostrato con l’esempio dell’Oregon. In questo Stato USA esiste il referendum obbligatorio di iniziativa dei cittadini ma con maggioranza semplice il Parlamento statale può abolire le leggi che sono fatte con un referendum. Questo è accaduto realmente. Nel 1988, per esempio, fu portata un’iniziativa popolare che prevedeva una pena detentiva più lunga per i criminali violenti. Questa legge è stata successivamente abrogata dalle Camere legislative.
    Un iniziativa popolare è stata lanciata in seguito (misura 33), nel tentativo di prevenire questo genere di evento. Essa proponeva quanto segue:
    - le leggi create sulla base di una iniziativa popolare possono essere cambiate solo nei primi cinque anni da un’altra iniziativa popolare;
    - dopo cinque anni, un cambiamento può essere fatto solo se ottiene almeno il 60% dei voti in entrambe le Camere legislative (Senato e Camera dei Rappresentanti).
    Tuttavia la proposta venne respinta con un solo stretto margine nel novembre del 1996.

    Questa è la pubblicazione a puntate della traduzione in Italiano del libro Democrazia Diretta di Verhulst Nijeboer. Puoi aiutare il Emilio effettuando le eventuali correzioni e inviandole a piccoliemilio@gmail.com

    La versione in inglese che sta traducendo si trova qui:

    http://www.paolomichelotto.it/blog/2008/11/04/democrazia-diretta-un-testo-fondamentale/

    Postato in Democrazia Diretta Verhulst