di Paolo Michelotto
pubblico molto volentieri qui l’articolo di Thomas Benedikter sull’incontro sulla Democrazia in Islanda che si è tenuto a Bolzano alcuni giorni fa.
Conferenza a Bolzano con la presidente del Consiglio costituzionale
Due eventi marcano gli ultimi sviluppi della democrazia islandese: il 28 marzo, nella sua ultima seduta, l’Allthingi, il Parlamento uscente, approva una nuova procedura per modificare la Costituzione. In futuro, se il paese intende emendare la sua carta costituzionale avrà la scelta fra il modo tradizionale (maggioranza semplice del parlamento, poi elezioni, e conferma o meno della modifica da parte del nuovo parlamento) oppure un nuovo iter: una modifica della Costituzione potrà entrare in vigore se approvato dalla maggioranza di due terzi dell’Allthingi e successivamente approvato dal 40% degli elettori in un referendum. Senza dubbi questa regola renderà molto difficile ogni riforma alla Costituzione. Un metodo piuttosto lontano da quello svizzero, in cui la maggioranza dei votanti e del Consiglio dei Cantoni basta per modificare la Costituzione, naturalmente senza quorum.
Un secondo contraccolpo arriva il 27 aprile 2013. Alle elezioni del parlamento gli islandesi assegnano il 51% dei voti al partito di centro-destra (Partito dell’Indipendenza) e al Partito progressista (liberali), entrambi veri responsabili della politica neoliberista che aveva portato alla crisi finanziaria del 2008 nonché avversari del processo costituzionale partecipativo “crowd sourcing”, ammirato da movimenti per più democrazia europei. Sembra un risultato in contraddizione stridente con il referendum del 20-10-2012 in cui gli islandesi, con una maggioranza dei due terzi approvarono la Costituzione uscita dal Consiglio costituzionale eletto dal popolo. “In Islanda non è solo questo processo costituzionale a preoccupare la gente,” afferma Sölver Nordal, presidente del Consiglio costituzionale, in collegamento diretto in una conferenza sull’ “Islanda coraggiosa” a Bolzano il 31 maggio, organizzato dalla Fondazione per il coraggio civile e l’Iniziativa più democrazia, “pesano tanti altri fattori come la politica fiscale del governo rosso-verde, l’imminente domanda di adesione alla UE che tanti non vogliono. Cosí le vecchie cordate politiche hanno riguadagnato terreno.”
Ad un tratto la politica di questo piccolo popolo nordico appare molto più complesso e la sua scelta di cambiare pagina dandosi un sistema politico con forti diritti di controllo e iniziativa dei cittadini appare un mito quasi sfatato. Tanti giornalisti, ATTAC e movimenti per più democrazia furono entusiasti della “rivoluzione partecipativa” dell’Islanda, ma visto da vicino, il processo di democratizzazione è più lento e contraddittorio, afferma lo specialista Beat Kissling, il relatore della conferenza di Bolzano. In due referendum gli islandesi avevano respinto gli accordi del loro Governo per ripagare i debiti alle banche creditori in Gran Bretagna e Olanda. Poi nel 2011 avevano innescato un percorso molto innovativo per rifare la propria Costituzione. Dal giro di 522 candidati 25 furono eletti a comporre un Consiglio costituzionale, presieduto dalla signora Nordal, che con intenso coinvolgimento dei cittadini in soli 4 mesi elaborò una nuova Costituzione con un rafforzamento dei poteri dei cittadini.
Se questa nuova Costituzione, come afferma Sölver Nordal, poteva apparire molto “inclusiva” e “partecipativa”, a ben vedere non raggiunge uno standard esemplare a livello internazionale per quanto riguarda i diritti referendari. L’Islanda ha introdotto il referendum confermativo (art. 65) contro norme approvate dal Parlamento e il referendum propositivo (art.66). Il Parlamento in questo caso ha il diritto di presentare una controproposta alla votazione referendaria. Ma non solo il numero di firme è molto alto (10% degli aventi diritto al voto), ma spetta al Parlamento stesso decidere se il voto popolare sia vincolante o meno. Poi, stranamente, gli islandesi non si sono dati il diritto al referendum costituzionale, lasciando al Parlamento l’ultima parola sulla nuova Costituzione e sui futuri emendamenti. Una mancanza di coerenza?
Infatti, l’Islanda nel 2009 ha costretto la vecchia maggioranza conservatore-liberale e lasciare il governo, sostituendolo con un governo dei socialdemocratici insieme ai verdi. Dopo la “kitchenware-revolution” del 2009 nel 2010 e nel 2011 fu questo governo a chiamare alla riforma partecipativa della Costituzione (crowd-sourcing-reform), mentre fu il Presidente ad indire due referendum confermativi sui progetti governativi per l’ICESAVE, il salvataggio delle banche e il risanamento del debito pubblico. Proprio questi due partiti sono stati puniti nell’aprile del 2013, riportando alla carica i conservatori e liberali. Ora l’Islanda neanche sa se il nuovo Parlamento approverà la Costituzione voluta dal popolo nel referendum del 20 ottobre 2012, perché quel voto non fu vincolante e definitivo. Non a caso un noto politico a Reykjavik affermò: “Talvolta tanti europei ci considerano un paese molto più democratico di quanto riusciamo ad essere in realtà.”
Thomas Benedikter
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