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  • Anche sul Corriere si parla di Revoca…

    7 Gennaio 2012

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    Postato in: democrazia diretta, iniziativa di legge popolare, quorum, revoca degli eletti

    di Paolo Michelotto

    Michele Ainis, prof. di Diritto Costituzionale all’Univ. Roma 3, autore di libri ed editorialisti in vari quotidiani nazionali,  alcuni giorni fa ha scritto un articolo sul Corriere dove propone di introdurre la Revoca degli Eletti, il limite dei 2 mandati e il parlamento eletto con sorteggio. Riporto qui il suo testo e le risposte di Giovanni Sartori e poi la sua. E poi a seguire il mio invito ad aiutarci nel nostro percorso della Iniziativa Quorum Zero e Più Democrazia.

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    riforme

    Per una politica meno distante occorre una Camera dei cittadini

    L’istituto Usa del «recall» consente di destituire l’eletto immeritevole

    Il lascito del 2011? Un serbatoio di malumori e di rancori nel rapporto fra i cittadini e la politica. Una furia iconoclastica, che ha fatto precipitare al 5% la fiducia nei partiti. Faremmo male a liquidarla inarcando un sopracciglio, faremmo peggio a cavalcarla senza pronosticarne gli esiti, senza interrogarci sulle soluzioni.

    Perché c’è un timbro antiparlamentare, in quest’onda di sdegno collettivo; e infatti il Parlamento è la più impopolare fra le nostre istituzioni. Perché la storia si ripete: accadde già durante gli anni Venti e Trenta del Novecento, quando un’altra crisi economica mordeva alla gola i popoli europei. E perché allora l’Italia, come la Germania, se ne riparò cercando l’uomo forte. E trovandolo, ahimè.

    No, non è un califfo che ci potrà salvare. Non è nemmeno un presidenzialismo in salsa sudamericana, anche se il rafforzamento dell’esecutivo s’iscrive nell’agenda delle priorità. Serve anzitutto innervare gli istituti della rappresentanza, edificandoli su nuove fondamenta. Per adeguarli al nostro tempo rapido e cangiante, ma tuttora regolato da procedure di stampo ottocentesco. E in secondo luogo per incanalare un’istanza di partecipazione che gonfia le piazze a Occidente come a Oriente, e che in Italia si va sfogando attraverso i referendum. Basterà per questo correggere il bicameralismo paritario, diminuire i deputati, perfezionare la legge elettorale? Nel migliore dei casi, otterremmo rappresentanti più autorevoli; ma i cittadini resteranno senza voce, senza decidere né incidere sugli affari di governo.

    È questo sentimento d’impotenza che ha separato gli italiani dallo Stato italiano. Perché lassù abita un’élite, inamovibile, insindacabile, immarcescibile. Dunque per risanare la frattura tra società politica e società civile è necessario incivilire la prima, politicizzare la seconda. In altre parole, è necessario che la politica non sia più un mestiere, e che i cittadini non ne siano meri spettatori. Come? Non certo armandoli con un voto di preferenza in più, quando poi il preferito è sempre un uomo cooptato dai partiti. Armandoci piuttosto di coraggio, di fantasia costituzionale. In primo luogo segando il ramo su cui stanno inchiodati i professionisti del potere: due mandati e via col vento. Era la regola in vigore nella democrazia ateniese (cariche a rotazione, governanti provvisori), e dopotutto dalla Grecia antica abbiamo ancora molto da imparare.

    In secondo luogo, c’è un istituto di democrazia diretta che può rivitalizzare la democrazia rappresentativa. Si chiama recall, funziona in Canada come negli Stati Uniti, consiste nella revoca anticipata dell’eletto immeritevole. Se fosse codificato anche alle nostre latitudini, potremmo usarlo contro quel signore che ha consumato il 93% d’assenze in Parlamento, o contro quell’altro che vi è approdato in una lista antiberlusconiana, per poi diventare una fedele sentinella dell’ex presidente del Consiglio. Potremmo coniugare responsabilità e potere, giacché questo divorzio è alla radice di tutti i nostri mali.

    In terzo luogo, serve una sede di rappresentanza degli esclusi – i giovani, le donne, i disoccupati, ma in fondo siamo tutti esclusi da questo Parlamento. Ne ha parlato Carlo Calenda sul Foglio del 29 dicembre, proponendo che il Senato diventi una «Camera dei cittadini» formata per sorteggio, in modo da riflettere il profilo socio-demografico del Paese. Un’idea bislacca? Mica tanto. La demarchia – la democrazia del sorteggio – va prendendo piede in tutto il mondo, quantomeno nelle esperienze di governo municipale. Anche in Italia: per esempio a Capannori, nella provincia di Lucca. Mentre a novembre in Svizzera un ventottenne ha conquistato il Parlamento grazie ai favori della sorte (aveva preso lo stesso numero di voti di un’altra candidata). E vale pur sempre la lezione di Aristotele: lui diceva che l’elezione è tipica delle aristocrazie, il sorteggio delle democrazie.

    Pensiamoci a fondo, prima di gettare queste idee nel cestino dei rifiuti. Non è forse un’aristocrazia quella da cui siamo governati? Una Camera di cittadini sorteggiati, con funzioni di stimolo e controllo sulla Camera elettiva, aiuterebbe le nostre istituzioni a trasformarsi nello specchio della società italiana. Limiti e vincoli più rigidi nei confronti degli eletti azzopperebbero il potere delle segreterie politiche, restituendo la rappresentanza al suo più autentico valore. Se l’utopia è il motore della storia, adesso ne abbiamo più che mai bisogno per continuare la nostra storia collettiva.

    Michele Ainis

    Seguono le risposte di Giovanni Sartori, di Luciano Violante e la replica di Michele Ainis

    DIBATTITO SULLA COSTITUZIONE

    La Camera non è dei cittadini ma dei loro rappresentanti

    È nell’aria che oramai il regime berlusconiano è al tramonto, esattamente come all’inizio degli anni Novanta era evidente che il regime democristiano era agli sgoccioli. Ma come sarà il regime post Cavaliere? L’altro giorno (il 2 gennaio) il prof. Michele Ainis, costituzionalista della Università di Roma, scriveva sul Corriere un «futuribile» (il termine coniato da Bertrand de Jouvenel, una delle grandi menti del secolo scorso) che si rifà addirittura ad Aristotile con un articolo intitolato «Per una politica meno distante occorre una Camera dei cittadini».

    Camera dei cittadini? Si disse così, mi pare, nel corso della Rivoluzione francese; ma certo non è una dizione da costituzionalista. Se viviamo, come è, in democrazie rappresentative, le Camere sono e devono essere di rappresentanti. Che per l’appunto non sono sottoposti a vincoli di mandato, non debbono obbedire a istruzioni e sono anche liberi di cambiare partito; e questo per le buone ragioni che chi si intende di rappresentanza politica ben conosce.

    Ciò precisato, per risanare la frattura tra società politica e società civile «è necessario che la politica non sia più un mestiere e che i cittadini non siano più meri spettatori». Giusto. Ma come si fa? Per Ainis limitando i mandati parlamentari a due. Perché due? Qual è la logica, la ragion d’essere, di due invece che di tre, di quattro, oppure di uno? Secondo il Nostro questa (due?) era la regola nella democrazia ateniese. Ma la formula di Aristotile era che tutti governassero e fossero governati a turno in rapida rotazione. Una formula (con molte eccezioni) resa possibile dal fatto che l’Atene antica era una piccola città di poche migliaia di cittadini. Applicatela a New York e sarebbe il caos (il caos e basta).

    Ainis poi passa a sostenere, seguendo l’autorevole parere sul Foglio di Carlo Calenda, che il Senato dovrebbe diventare una «Camera dei cittadini formata per sorteggio». Magnifico. In un mondo che è diventato così complicato che nemmeno gli specialisti (a cominciare dagli economisti) riescono più a capirlo e controllarlo, il primitivismo di questa proposta mi lascia, confesso, di stucco. La democrazia del sorteggio? Atene durò due secoli. La democrazia del sorteggio, oggi, durerebbe lo spazio di un mattino. Il prof. Ainis sembra anche dimenticare che per Aristotile la democrazia fosse un regime degenerato e quindi da non imitare.

    Tornando alla Camera dei sorteggiati, Ainis si chiede: «Una idea bislacca?». Risponde: «Mica tanto… la democrazia del sorteggio va prendendo piede in tutto il mondo quantomeno nelle esperienze dei governi municipali». Appunto, qui il discorso precipita da 60 milioni di italiani al livello (numerico) di Capannori (provincia di Lucca). E il Nostro conclude così: «Una Camera di cittadini sorteggiati con funzioni di stimolo e di controllo sulla Camera elettiva aiuterebbe le nostre istituzioni a trasformarsi nello specchio della società italiana». Sarebbe davvero un bel risultato, visto che l’Italia viene assegnata da una ricerca al sessantesimo posto (uno più, uno meno) dei Paesi più corrotti del mondo. Il prof. Ainis aiutando, forse al prossimo giro saremo ancora peggiorati scendendo al settantesimo. S’intende, spero di sbagliarmi.

    DIBATTITO SULLA COSTITUZIONE

    Ripartire da regolamenti e referendum

    Caro Direttore, Michele Ainis su questo giornale ha ribadito la necessità di dare più potere ai cittadini nei confronti della politica. Condivido il richiamo, ma ho qualche dubbio sulle soluzioni proposte e sulla loro coerenza. Che rapporto c’è tra la partecipazione popolare e il sorteggio dei parlamentari? Come si fa a revocare il mandato a un parlamentare che sia tale per sorteggio e non per scelta degli elettori? Se non ho mal compreso, il sistema proposto avrebbe due Camere, una dei sorteggiati e l’altra degli eletti. La prima dovrebbe controllare la seconda, la quale, credo, dovrebbe a sua volta controllare il governo. E il Senato? La proposta è di un ordinamento tricamerale?

    I cittadini potrebbero avere più potere nei confronti della politica con due semplici riforme: introdurre nei regolamenti parlamentari l’obbligo per le Camere di pronunciarsi sulle proposte di legge di iniziativa popolare entro un termine definito, ad esempio novanta giorni. Oggi invece il Parlamento non ha alcun obbligo di esame e quelle proposte finiscono negli armadi.

    La seconda riforma riguarda il quorum di validità per il referendum. Oggi il quorum è costituito dalla maggioranza assoluta dei cittadini elettori. Uno sbarramento così alto favorisce i contrari al referendum che, avendo interesse a farlo fallire, non vanno a votare, sommandosi agli astenuti «naturali». Si potrebbe stabilire che il quorum è costituito dalla metà più uno degli elettori che hanno votato per la Camera nelle elezioni immediatamente precedenti il voto sul referendum. Il tetto sarebbe più basso e non ci sarebbero ingiusti vantaggi per nessuno.

    Ainis propone il limite dei due mandati per i parlamentari.

    Se il Parlamento, come tutti auspichiamo, restituirà ai cittadini il diritto di scegliere i propri rappresentanti, il limite automatico dei due mandati potrebbe costituire un ingiusto beneficio per i cattivi parlamentari e una penalizzazione altrettanto ingiusta per gli altri.

    L’esercizio del mandato parlamentare richiede studio e competenze. Il neoparlamentare deve acquisire conoscenze specialistiche complesse, da quelle finanziarie a quelle costituzionali, secondo la Commissione cui è assegnato. Deve costruire un proprio ruolo autorevole in Parlamento e nella interlocuzione con il governo e le organizzazioni sociali. Queste competenze richiedono anni di lavoro. I fannulloni non meritano di stare a Montecitorio o a Palazzo Madama neanche per due legislature. Ma «licenziare» automaticamente chi rappresenta bene i cittadini è un danno per la democrazia. Nei Parlamenti, inoltre, esistono responsabilità che richiedono esperienza e autorevolezza: presidente e vicepresidenti, presidenti delle Commissioni e dei gruppi parlamentari, questori. Una sola legislatura non è sufficiente per valutare le capacità a rivestire quei ruoli.

    In Parlamento, oggi, siedono anche donne e uomini fortemente impegnati, che proprio per questo non fanno notizia. Forse tra loro ci sono gli uomini e le donne di Stato del futuro. Farli decadere per legge dopo due legislature non sarebbe un vantaggio per la Repubblica. Se avessimo mandato a casa dopo due legislature uomini come Gaetano Martino o donne come Nilde Jotti, l’Italia sarebbe stata migliore? I cittadini potrebbero pesare in altro modo: stabilendo per legge che i candidati vanno scelti attraverso primarie di collegio, riservate agli iscritti ai partiti della coalizione.

    Luciano Violante

    LA REPLICA

    Rispondo con Voltaire: bruciate le vecchie leggi

    Una volta un vecchio professore, riferendosi alla monografia che gli era arrivata sotto il naso, se ne uscì con una battuta fulminante: «Su questo libro nessuno potrà mai dissentire. Non dice nulla!». Non so voi, ma io provo esattamente la stessa sensazione quando annego nel fiume di commenti sulla nuova legge elettorale o sul presidenzialismo prossimo venturo. Poi, certo, in Italia se azzardi un’idea fuori dal coro ricevi critiche taglienti come scudisciate. Pazienza, vorrà dire che domani indosserò un cilicio. Anche se le mail dei lettori erano di tutt’altro segno, ed erano tante da prosciugarmi la stampante. Va’ a vedere che gli italiani sono assai meno conservatori di chi parla a nome loro.

    Ciò nonostante, sono grato a Sartori e a Violante per le loro obiezioni. Perché mi aiutano a motivare meglio la proposta, a metterla un po’ a fuoco. E perché di questa discussione c’è bisogno come l’aria, per superare la crisi delle assemblee rappresentative. Cominciamo allora dal njet che li accomuna entrambi, rispetto al limite di due mandati per entrare in Parlamento. Dice Violante: il neoparlamentare non sa nulla, impara solo con qualche legislatura sul groppone. Bene, allora dovremmo dichiarare ineleggibile ogni neofita, stabilendo che alle Camere non ci si va per elezione, bensì per mummificazione. Senza contare che il limite già esiste per i presidenti regionali, per i sindaci, per i membri delle authority, per i giudici costituzionali, per i consiglieri del Csm. Aggiunge Sartori: ma perché due mandati, e non invece quattro o uno? Semplice: perché è la regola vigente per la più importante carica del mondo, la presidenza degli Stati Uniti. Fu introdotta nel 1951, e non a caso: accadde dopo i quattro mandati consecutivi d’un presidente che pure si chiamava Roosevelt.

    C’è poi l’idea di trasformare il Senato in una Camera dei cittadini designati per sorteggio. È un’idea eretica, lo so, benché sperimentata già nell’antica Atene, e secoli dopo anche a Venezia. Come funzionerebbe? Intanto con due Camere, non con tre né con trentatré. La Camera dei deputati resterebbe tale e quale: eletta, ma sottoposta a recall . Se la revoca anticipata vale per il governatore della California, può applicarsi pure a Scilipoti. A questa Camera spetterebbe il compito di scrivere le leggi e decidere la sorte dei governi; rispetto al nostro bicameralismo paritario, mi sembra una bella semplificazione. Quanto alle leggi d’iniziativa popolare, potrà approvarle o rifiutarle entro sei mesi; altrimenti la proposta diventa un referendum propositivo, istituto già previsto nella Costituzione di Weimar del 1919. E l’altra Camera? Propone, verifica, controlla. E decide sugli argomenti che pongono i deputati in conflitto d’interessi. Per esempio l’indennità parlamentare, la verifica delle elezioni, il finanziamento dei partiti. Io credo che otterremmo un grado di corruzione in meno, non uno in più. E comunque vale pur sempre la massima di Voltaire: «Volete buone leggi? Bruciate quelle che avete, e fatene di nuove».

    Michele Ainis

    Gentile Michele Ainis,

    la ringrazio per il recente articolo su il “Corriere” dove propone la revoca degli eletti, i due mandati e la Camera dei Cittadini estratti a sorte.

    Che ho riportato anche sul mio blog.

    Come le avevo già scritto alcuni mesi fa, a giugno 2011, con un gruppo di appassionati sostenitori dei temi della democrazia diretta di tutta Italia, stiamo scrivendo la legge di iniziativa popolare costituzionale “Quorum Zero e Più Democrazia”, dove proponiamo tra le altre cose di togliere il quorum, di permettere ai cittadini di scegliere l’indennità dei membri del parlamento, la revoca degli eletti, l’obbligatorietà della discussione delle iniziative di legge, il referendum propositivo, confermativo, il referendum costituzionale, l’obbligo per tutti gli enti locali di avere gli stessi strumenti con quorum zero…

    Le invio la bozza 022, che è l’ultima a cui siamo arrivati. Tra pochi giorni la depositeremo e inizieremo a raccogliere firme. Sarebbe estremamente utile per l’iniziativa, per la democrazia italiana, e per tutti i cittadini se lei ne potesse parlare nei giornali in cui scrive.

    Ovviamente sarebbe estremamente gradito un suo aiuto o un suo commento in questa fase finale redazionale, ma so che è estremamente impegnato, per cui mi accontento anche solo di metterla a conoscenza del nostro percorso.

    Cordiali saluti.

    Paolo Michelotto

  • Commenti recenti

    • Fela Winkelmolen ha scritto

      1

      A proposito di democrazia diretta e demarchia (democrazia del sorteggio) segnalo un sito che ho messo su che cerca di raccogliere informazioni a approfondimenti sulla demarchia:

      http://blog.demarchia.info

      Visto che lei sembra occuparsi molti di questi temi, sarei curioso di sapere, qual’è la suo opinione sull’uso del sorteggio per rappresentare i cittadini? A mio avviso un organo sorteggiato rimane rappresentativo dei cittadini e ne mantiene le volontà, per cui può quasi essere considerato una forma di democrazia diretta; il sorteggiato però avrà più tempo e più mezzi per informarsi correttamente, inoltre sarà più motivato perché ha la possibilità di fare una vera differenza.

      01/21/12 11:33 AM | Comment Link

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