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  • A Vicenza, la commissione che sta cambiano lo statuto sente il Comitato Più Democrazia e Partecipazione, che chiede quorum zero

    18 Luglio 2011

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    Postato in: democrazia diretta, esempi virtuosi, quorum, referendum

    di Paolo Michelotto

    oggi la commissione che sta modificando lo Statuto Comunale di Vicenza, ha sentito il Comitato Più Democrazia e Partecipazione. Questo comitato aveva promosso nel 2006 il referendum Più Democrazia in cui chiedeva di introdurre il ref. Propositivo e Abrogativo con quorum del 10% (inizialmente chiedeva quorum zero, ma il comitato dei garanti per approvare il quesito aveva “suggerito” di cambiare il testo in 10%).

    volantino-referendum21

    Annamaria Macripò, insieme ad altri del comitato che hanno partecipato alla riunione, ha letto il seguente testo che ben descrive perchè è necessario togliere il quorum e non innalzare troppo il numero delle firme.

    Qui lo metto sotto forma di documento allegato.

    Commissione_Statuto_report

    E qui per esteso. Il testo è molto bello e può essere sicuramente utile ad altri che stanno facendo un percorso simile in Italia.

    Relazione del Comitato Più Democrazia convocato dalla Commissione Statuto

    Vicenza, 18 luglio 2011

    Il Comitato Più Democrazia e Partecipazione ringrazia il Presidente e i membri della Commissione Statuto per questo incontro e si augura che possa essere il primo non di una lunga serie, perché chiaramente l’augurio principale è che il nuovo Statuto possa essere introdotto quanto prima, ma l’inizio di un confronto fra di noi e pubblico che porti i cittadini a conoscenza della bozza della nuova carta comunale vicentina in una forma condivisa e partecipata prima della sua approvazione definitiva.

    In quanto promotori del referendum comunale del 2006, abbiamo particolarmente a cuore le sorti dei nuovi strumenti di democrazia diretta che verranno introdotti nel nuovo Statuto e le caratteristiche che ne determineranno il reale utilizzo da parte della popolazione vicentina.

    Ricordiamo che il referendum del 2006 fu il primo referendum celebrato nella città di Vicenza e il primo in assoluto in Italia a richiedere dal basso strumenti di partecipazione più forti, quali il referendum propositivo e abrogativo. Da qui consegue il nostro impegno affinché sia rispettato il volere dei cittadini che si espressero a favore: 90,45% degli 11.701 vicentini che andarono a votare dissero sì all’introduzione del referendum propositivo, abrogativo e alla combinazione dei due con il 2% delle firme e il 10% di quorum.

    Qui entriamo nel vivo dell’argomento. Ma prima di esprimere la nostra posizione sui due elementi dal cui equilibrio dipende l’effettivo utilizzo di questi strumenti, è necessario soffermarsi sull’origine dell’impostazione del quesito referendario.

    A tal proposito è fondamentale ricordare che un quesito deve superare lo scoglio dell’ammissibilità da parte di un comitato di esperti (e questa è una delle cose che secondo noi andrebbe rivista, perché riteniamo che essendo di nomina politica, questo comitato non rispecchi quel ruolo di oggettività e terzietà che invece dovrebbe avere; potrebbe essere sostituito nel suo ruolo, ad esempio, dal segretario comunale). In sede di discussione del quesito, il Comitato, che ha da sempre sostenuto il quorum zero per i referendum, ha dovuto quindi raggiungere il compromesso del 10% di quorum per poter ottenere l’approvazione del quesito.

    Riteniamo doveroso distinguere perciò in questa sede la posizione del Comitato, che continua a sostenere l’azzeramento del quorum, e il risultato di una votazione ufficiale e il quesito referendario, che non rispecchiava in materia la nostra volontà.

    Il Comitato Più Democrazia ha già presentato a questa Commissione le proprie osservazioni in merito a una prima bozza di statuto che ci era stata consegnata brevi manu dal Presidente Meridio in occasione di un’assemblea pubblica sul tema del referendum svoltasi il 18 febbraio di quest’anno. Per questo non ci dilungheremo su quelle che sono le nostre proposte di modifica per alcuni articoli, ma cogliamo l’occasione di questo incontro per ribadire la nostra posizione sull’argomento principe degli istituti di partecipazione, il referendum nelle sue varie forme, per assicurarci che il risultato finale rispecchi una disciplina rispettosa del voto dei cittadini e dei principi della democrazia diretta.

    Perché il quorum zero. Le motivazioni sono molteplici e numerosi sono gli esempi che dimostrano come il quorum sia il principale nemico della partecipazione.

    Il quorum storicamente è stato giustificato con la necessità di assicurare alle decisioni referendarie una particolare legittimazione, e come per l’approvazione di ogni legge è richiesta la maggioranza dei membri del Parlamento, la votazione referendaria dovrebbe coinvolgere la maggioranza degli aventi diritto al voto. Tuttavia, per le elezioni non vale nessuna regola di quorum partecipativo: l’astensione dal voto elettorale non è rilevante ai fini della validità dell’elezione. Con il quorum, invece, la diserzione delle urne referendarie in effetti equivale a un NO.

    Negli ultimi decenni il quorum di partecipazione è stato utilizzato con forme di boicottaggio per unire i numeri dei contrari con quelli di coloro che per vari motivi avevano scelto di non votare, creando così una maggioranza fittizia e invalidando di fatto i referendum. In questo senso il quorum appare un meccanismo perverso che danneggia l’istituto del referendum stesso e il confronto aperto e democratico su una questione di interesse generale.

    Con il boicottaggio, è facile far scendere la partecipazione al di sotto della soglia di quorum prevista, così che gli oppositori non devono più sprecare energie e risorse per informare i cittadini con argomenti e proposte alternative, ma si limitano a invitarli a non andare a votare. Quindi viene meno il confronto democratico.

    Un altro risultato negativo è che i cittadini attivi che si impegnano a informarsi per andare poi a votare vengono di fatto puniti, nel caso in cui il referendum sia invalidato a causa del non raggiungimento del quorum, mentre i non interessati e i fautori del boicottaggio vengono premiati. Da questi risultati deriva poi la sfiducia del cittadino virtuoso negli strumenti di partecipazione.

    Al contrario, quanto non è previsto il quorum, tutti si attivano per informare la popolazione e i contrari devono mettersi in gioco.

    In Italia non è previsto quorum nel caso di referendum molto importanti quale il referendum confermativo facoltativo di leggi costituzionali e nel caso di leggi sulla forma di governo a livello regionale.

    In Svizzera e in 27 stati degli Stati Uniti, e in altri paesi europei non esiste il quorum di partecipazione.

    Va anche ricordato che la democrazia diretta deve promuovere e non scoraggiare la partecipazione dei cittadini (ribadita anche nella Costituzione con l’introduzione del principio di sussidiarietà), soprattutto quando viene riscontrato uno scollamento fra le istituzioni e gli elettori.

    Un alto livello di partecipazione non si ottiene imponendo l’obbligo legale di raggiungere una quota predeterminata e non è certo perché c’è il quorum che si convincono a votare i cittadini non interessati. Avviene invece il contrario: i cittadini interessati e motivati, dopo una serie di esperienze negative con referendum falliti a causa del mancato raggiungimento del quorum, si sentono frustrati e perdono fiducia in questo strumento.

    Infine non si può non rilevare che il quorum scaturisce da una mancanza di fiducia nei confronti dei cittadini. Siccome la democrazia diretta è sempre stata vista come uno strumento di difesa dei cittadini dalle istituzioni, all’epoca della Costituente si è ritenuto che la legittimità di tale “atto di difesa” andasse comprovato da una maggioranza di elettori. Oggi gli strumenti referendari sono strumenti di partecipazione attiva, una preziosa collaborazione fra istituzioni e cittadinanza, la necessaria integrazione della democrazia rappresentativa, perciò tali strumenti devono essere disegnati in modo tale da incoraggiare la comunicazione a tutti i livelli. In quest’ottica, abbiamo già visto come il quorum, con le relative campagne di boicottaggio, sia un ostacolo alla comunicazione.

    La Costituzione permette referendum locali senza quorum. Alcuni pensano che essendo previsto il quorum del 50% a livello nazionale per i referendum abrogativi, ciò sia un obbligo anche a livello locale. Vale invece richiamare la sentenza (2-12-2004 n.372) della Corte di Cassazione che ha stabilito che l’art. 75 della Costituzione non comporta l’obbligo del quorum per i referendum previsti negli statuti degli enti locali. Quindi, l’introduzione del quorum è sempre una scelta politica. Tanto è vero che negli ultimi anni si sta rilevando una tendenza all’abbassamento o all’azzeramento del quorum in alcuni comuni italiani. Sono già 11 i comuni virtuosi (di cui 10 in provincia di Bolzano e uno in provincia di Trento) che hanno abbassato (Cortaccia e S. Candido quorum 15%) o azzerato il quorum per i referendum comunali (Fiè, Lana, La Val, Ortisei, Varna, Verano, Dobbiaco, Terento, Villa Lagarina).

    Quando sono i cittadini a chiedere l’introduzione degli strumenti referendari, come in Svizzera all’inizio del 1800 e in California e in altri stati degli USA, il quorum non viene mai introdotto; viceversa, quando questi strumenti sono introdotti dagli amministratori, questi si premurano sempre di inserire il quorum come tutela al loro potere.

    Vale la pena di citare l’esempio della Baviera dove nel 1995 i cittadini riuscirono con un referendum a togliere il quorum a livello locale. Per 3 anni poterono indire referendum senza quorum, ma nel 1998 la Corte costituzionale bavarese, di nomina politica (si stima che l’80% dei giudici fosse simpatizzante o legato al partito che in Baviera aveva la maggioranza assoluta nel parlamento), reintrodusse il quorum, anche se in misura molto ridotta, dal 15% al 25% a seconda delle dimensioni delle città. Da allora, nelle città medio-piccole (10.000-50.000 abitanti) di questa regione, dove c’è il quorum del 20%, il 40% circa dei referendum viene invalidato.

    Interessante sarebbe anche analizzare i dati di afflusso alle urne con e senza quorum; per rimanere in Italia negli ultimi referendum nazionali senza quorum (2006), l’affluenza al voto è stata maggiore di quelli con il quorum dal 1995 al 2009).

    Traducendo in termini pratici: se gli amministratori vogliono realmente e concretamente fornire ai cittadini strumenti validi per la partecipazione, se vogliono incoraggiarli a essere parte attiva delle decisioni, allora ne introdurranno di flessibili e facilmente attivabili (ovvero referendum senza quorum), se invece la loro volontà è solo di facciata, se invece di stringere un patto di reciproca fiducia con la popolazione, continueranno a considerarla ‘incapace’ di gestire ‘il bene comune’ tranne che al momento del voto elettorale ogni cinque anni, allora introdurranno strumenti monchi, di difficile utilizzo (referendum con quorum).

    A questo punto, l’amministrazione vicentina può scegliere se diventare il 12° comune, nonché la prima città di una certa grandezza, fra i più virtuosi e all’avanguardia in Italia in fatto di partecipazione, oppure se rimanere nel limbo di un atteggiamento fintamente progressista con l’introduzione di referendum con quorum.

    Nel momento in cui si adottano strumenti referendari, vanno presi in considerazione, oltre al quorum, anche altri fattori importanti come il numero delle firme necessario per richiedere un referendum, i tempi e le modalità di raccolta e la restrizione delle materie sottoponibili a referendum.

    Nel caso delle firme, la bozza di febbraio presentava una proposta peggiorativa rispetto al quesito approvato nel 2006. Si passa dal 2% (che corrisponde a 1700 votanti circa) a 5000 firme (attualmente per il referendum consultivo ne sono previste 4000). È chiaro che questo numero deve essere calcolato in modo proporzionale al numero degli elettori di un territorio e in linea generale dovrebbe corrispondere ai voti occorrenti per essere eletti in un organo legislativo. Se si guarda alle diverse esperienze del mondo, il valore indicativo si situa intorno al 2% degli aventi diritto al voto (in Italia, le attuali 500 mila firme previste per il referendum abrogativo equivalgono all’1,5% degli aventi diritto al voto). Anche in questo caso, qualora il numero delle firme fosse eccessivamente alto (a fronte di tempi brevi per la raccolta), lo strumento sarebbe poco agevole per la cittadinanza.

    Per quanto riguarda gli altri fattori, suggerivamo un’agevolazione per la raccolta delle firme tramite l’autocertificazione (e successiva verifica dell’ufficio anagrafe) facendo valere il principio della responsabilità del cittadino.

    Infine, il catalogo di esclusione delle materie ‘referendabili’ dovrebbe essere il più breve possibile per mettere in pratica concretamente il principio di sovranità del cittadino. L’esperienza in altri paesi dimostra, ad esempio, che dove le materie di politica finanziaria non sono escluse, i cittadini hanno sempre scelto per costi più ragionevoli della politica rappresentativa e per una riduzione dell’indebitamento pubblico.

    Prima di concludere, vorremmo dare risposta a quei dubbi e a quelle obiezioni di varia natura espressi dai consiglieri in occasione delle interviste sul tema del referendum e della democrazia diretta condotte dal nostro comitato negli ultimi mesi.

    Ci rendiamo conto che in Paesi con una tradizione e un’esperienza ancora limitate in fatto di democrazia diretta, è normale che in una fase di rivendicazione e riforma degli istituti di partecipazione, le persone abbiano molte domande e dubbi e facciano obiezioni. Ma questo non implica che non vi siano altrettante risposte adeguate che facciano riferimento a esempi virtuosi o a esperienze funzionanti.

    È preoccupante però quando i dubbi formulati assumono invece la forma di preconcetti stabili e difficili da scalfire perché presentati sotto forma di paura nei confronti del ‘nuovo’ rappresentato dalla partecipazione attiva e decidente dei cittadini.

    Spesso viene paventato il fatto che la democrazia diretta possa esautorare gli organi rappresentativi. Ma noi non ci stanchiamo di ripetere che la democrazia diretta non vuole sostituire gli organi rappresentativi ma integrarli e con questo perfezionare la democrazia. Con le iniziative e i referendum il popolo interviene solo quando la politica rimane inerte oppure quando decisioni importanti sono contrarie agli interessi di consistenti fasce di popolazione.

    La metà degli Stati americani si è dotata di diritti referendari di una certa qualità ai quali i cittadini ricorrono regolarmente e anche in quegli stati il 99,9% delle leggi vengono comunque elaborate e approvate dai politici eletti.

    Spesso si obietta che con il referendum si esige troppo dai cittadini, continuando così a perpetrare il falso mito del cittadino incompetente.

    A questo si può rispondere che il voto ai candidati alle elezioni e la scelta tra i vari programmi di governo richiedono al cittadino uno sforzo di comprensione e informazione molto maggiori rispetto al voto su singole decisioni riguardanti temi concreti, dove i pro e i contro si possono distinguere con una certa facilità. Quindi o il cittadino è competente sempre, o non lo è mai. È importantissima anche la fase dell’informazione (anche in questo caso la presenza del quorum, come già detto svolge un ruolo dirimente, perché solo quando non c’è è possibile un vero confronto democratico sui temi affrontati). In Svizzera i cittadini prima del voto referendario ricevono a casa un opuscolo informativo compilato in modo oggettivo e imparziale.

    Inoltre, oggi, nel XXI secolo è quanto mai obsoleto, oltre che fuori luogo, continuare a utilizzare l’argomento della mancanza di competenza del cittadino medio in quanto il livello di istruzione della popolazione dei paesi europei e la crescita della domanda di maggiore partecipazione non lascia più spazio a valutazioni sulla mancanza di capacità intellettuali. Tali argomenti furono utilizzati contro il suffragio universale maschile, poi contro il diritto di voto dalle donne e in Sudafrica contro il diritto di voto alle persone di colore.

    E può dirsi senz’altro superata anche l’idea che ai rappresentanti, tramite il solo atto di elezione, venga attribuito un automatico salto di qualità di saggezza politica!

    Inoltre con l’introduzione di strumenti di democrazia diretta si instaura un rapporto diverso tra il cittadino e il politico in quanto potendo entrambi intervenire su decisioni politiche, seppur con azioni differenti, si incontrano su un piano di parità. I cittadini dotati di più diritti di partecipazione sono anche meglio informati riguardo alle questioni politiche: potendo partecipare attivamente alla gestione della cosa pubblica, si sentono più motivati a seguire i problemi politici. I politici, dal canto loro, sapendo che i cittadini possono intervenire sulle loro decisioni, saranno stimolati a conoscere la posizione della cittadinanza su determinate questioni e si muoveranno verso quello che è il bene comune. Quindi la democrazia diretta, negli paesi in cui è integrata, opera come un programma di formazione politica e civica per tutti.

    La macchina amministrativa viene bloccata con l’accesso facile ai referendum? Niente di più falso. Nei paesi in cui gli strumenti di democrazia vengono comunemente utilizzati nella prassi politica questo non avviene. La Svizzera non è certo un paese sull’orlo del collasso, bensì è uno dei paesi meglio governati d’Europa, con un’economia fiorente e servizi pubblici efficienti. Inoltre la soglia del numero di firme (che varia tra il 2% e il 4%) degli aventi diritto al voto costituisce una barriera non facile da superare e una garanzia per far giungere al voto solo iniziative che stanno a cuore a una fetta consistente della popolazione.

    Agli strumenti di democrazia diretta, in particolare ai referendum, viene imputato di pesare eccessivamente sui bilanci pubblici. Nell’eventualità di un’estensione dei diritti referendari, possibile causa di votazioni più frequenti, i rappresentanti politici amano paventare il pericolo di un “eccesso di costi’” dovuti ai referendum. In generale tuta la democrazia costa: il problema centrale in Italia non sta nel finanziamento di qualche giornata in più di votazione referendaria (soprattutto quando, potendo scegliere se associarla alle amministrative, per risparmiare, si sceglie altrimenti, sempre come tentativo malcelato di non far raggiugere il quorum) ma in quello più grave dei costi della politica rappresentativa. I costi di un referendum vanno raffrontati ai risultati che produce.

    Infine, vogliamo sottolineare come la paura che i referendum siano utilizzati in modo improprio da parte di lobby influenti sia da scartare in quanto in genere l’influenza di queste organizzazioni si fonda più sui rapporti con la classe politica che altro: le lobby politiche hanno già piazzato i propri rappresentanti nei posti di rilievo e in genere non corrono il rischio di mettersi alla prova con un referendum.

    La possibilità di indire un referendum viene invece sfruttata da quei gruppi che non hanno altre possibilità di influenza come ad esempio le associazioni di cittadini.

    Quanto alla tutela dei diritti delle minoranze da eventuali ‘assalti’ di gruppi razzisti o xenofobi, vogliamo tranquillizzare gli animi ricordando che ogni disegno di legge così come ogni quesito referendario è soggetto a verifica per controllare se è contrario ai diritti fondamentali o al divieto di discriminazione delle minoranze. Al di là di questa tutela, spetta poi alla sensibilità e responsabilità della popolazione trovare la soluzione.

    Ricordiamo che la democrazia diretta non è altro che uno specchio del livello culturale e sociale di un popolo. Inutile romperlo se l’immagine che riflette non ci piace.

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