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  • I diritti referendari nelle Regioni: a che punto stiamo?

    11 Ottobre 2010

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    Postato in: democrazia diretta, documenti recensiti

    Regionidi Paolo Michelotto

    pubblico con molto piacere un documento realizzato da Thomas Benedikter per l’occasione dell’incontro organizzativo per la settimana della democrazia diretta, organizzato da Roberto Brambilla, Dario Rinco, Lara Benazzi a Verona il venerdì 8 ottobre 2010.

    Descrive la situazione degli strumenti di democrazia diretta presenti in tutte le regioni italiane.

    Ecco l’allegato:

    I diritti referendari nelle Regioni: a che punto stiamo? (1641)

    I diritti referendari nelle Regioni: a che punto stiamo?

    Un prospetto sintetico di Thomas Benedikter1

    1. La prima generazione dei diritti referendari regionali

    La Costituzione all’art. 123 prevede strumenti di democrazia diretta a livello regionale. Partendo da questa norma tutti gli statuti delle Regioni a statuto speciale già sin dall’inizio consentivano a queste Regioni di dotarsi del referendum abrogativo. La Sardegna e la Regione Trentino-Alto Adige furono quindi anche le prime a disciplinare il referendum regionale nel 1957, mentre La Valle d’Aosta approvò una legge sulla democrazia diretta nel 1975, il Friuli-Venezia Giulia nel 1988 e la Sicilia solo nel 2000. Le Regioni ordinarie, invece, disponevano di una tipologia indeterminata di referendum.

    Le Regioni ordinarie – in assenza di una legge nazionale sui referendum – legiferavano sui diritti referendari durante un processo lento di applicazione di questa facoltà, a partire dal 1971. All’inizio degli anni 1980 quasi tutte le Regioni disponevano di una legge sui diritti referendari regionali, prevedendo di regola sei tipi di referendum (cinque nel caso delle Regioni speciali):

    1. la petizione popolare;

    2. l’iniziativa legislativa popolare (proposta di legge di iniziativa popolare),

    3. il referendum abrogativo (escludendo talvolta le materie dell’urbanistica e della tutela di minoranze linguistiche. Il giudizio di ammissibilità di regola spetta allo stesso Consiglio regionale),

    4. il referendum consultivo obbligatorio per l’istituzione di nuovi Comuni (interessa solo gli elettori dei Comuni in causa),

    5. e il referendum consultivo per questioni di particolare interesse regionale. (con facoltà di attivare la consultazione sempre affidata al Consiglio regionale)

    6. il referendum consultivo statutario (su modifiche dello statuto regionale)

    Il panorama attuativo è piuttosto deludente essendo l’esito e l’applicazione di questa prima generazione dei diritti referendari molto modesto. Nel 1992 i referendum regionali – analogamente al referendum abrogativo nazionale – soffrivano di una crisi, dato che

    • nei pochi casi di richiesta di referendum spesso il Consiglio regionale ne dichiarava l’inammissibilità;

    • quasi dappertutto esiste il quorum del 50%;

    • le modalità molto formali di raccolta delle firme rendono tutto molto macchinoso;

    • i poteri legislativi delle Regioni sono scarse;

    • gli atti amministrativi della Giunta non sono resi referendabili;

    • gli strumenti disponibili appaiono non adeguati (manca il referendum propositivo e il referendum confermativo facoltativo).

    2. La seconda generazione degli istituti regionali di democrazia diretta

    La Legge cost. n.1 del 22 novembre 1999 su „Elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e sull’autonomia statutaria delle Regioni“ trasferisce la competenza per le leggi statutarie alle Regioni stesse. Questa norma introduce ampie possibilità di disciplinare la democrazia diretta dando luogo ad un significativo miglioramento degli istituti di democrazia diretta.

    La Legge cost. n.2 del 31 gennaio 2001 sull’ „Elezione diretta dei Presidenti delle Regioni a statuto speciale e Province autonome consente anche alle Regioni speciali la disciplina autonoma del referendum abrogativo, propositivo e consultivo. Solo a questo gruppo di Regioni viene esplicitamente consentito l’introduzione del referendum propositivo. Un rapido esame degli aspetti più rilevanti di queste leggi:

    1) L’iniziativa legislativa popolare

    È previsto il diritto di presentare, con un numero minimo di firme di elettori, una proposta di legge regionale al Consiglio regionale, senza che ci sia la possibilità di ricorrere ad una votazione referendaria in caso di non accettazione da parte del Consiglio. In riguardo al giudizio di ammissibilità prevalgono organi di garanzia, come ad es. la „Commissione per i procedimenti referendari”. In alcune leggi regionali sono escluse varie materie, ispirandosi alla normativa nazionale. La maggior parte delle Regioni non prevede nessun tipo di rimborso delle spese per i promotori dei referendum. L’iniziativa legislativa popolare non è consentita per regolamenti e atti amministrativi, eccetto nelle Regioni Veneto, Lombardia e Toscana.

    1. Il referendum abrogativo

    L’iniziativa referendaria parte da un determinato numero o parte di elettori (300.000 in Lombardia, Calabria: 4%; Liguria: 3,5%, Abruzzo: 2% ecc.). L’art. 123 dell Costituzione consente di svolgere questo tipo di referendum anche per abrogate atti amministrativi. Le province aut. di Bolzano e Trento, la Valle d’Aosta e la Basilicata non prevedono questo possibilità.

    1. Il giudizio di ammissibilità e legittimità

    La delicatezza di questo aspetto è in generale sottovalutata e la distinzione dei ruoli fra chi valuta la regolarità della procedura e chi è chiamato ad esprimersi sull’ammissibilità non è sempre chiara. In generale il giudizio sulla compatibilità costituzionale di un quesito competerebbe solo alla Corte costituzionale.

    Alcune Regioni hanno anticipato il giudizio di ammissibilità al momento prima della raccolta delle firme. Altre Regioni attribuiscono questa facoltà al Consiglio regionale stesso. Il Piemonte, la Sardegna, la Sicilia, le due Province autonome, il Veneto e la Valle d’Aosta hanno istituito una „Commissione di garanzia“ composta di regola di magistrati.

    Di solito sono escluse le materie tributarie e del bilancio. Per le proposte di legge popolari valgono i criteri dell’omogeneità, della chiarezza e dell’univocità del quesito o contenuto posto.

    1. Il quorum di partecipazione

    La maggior parte delle Regioni prevede il quorum come applicato a livello nazionale, cioè il 50% del corpo elettorale. In Toscana, ai fini della validità di un referendum, deve partecipare la maggioranza dei votanti registrati alle ultime elezioni regionali. La Lombardia richiede un quorum dei 2/5 degli elettori.

    All’interno delle Regioni speciali c’è più varietà. La Sardegna prevede la metà degli elettori partecipanti alle ultime elezioni regionali (come la Toscana), Bolzano il 40%, la Valle d’Aosta il 45% e Trento il 50%.

    Solo poche Regioni prevedono un rimborso delle spese sostenute dai promotori per la raccolta delle firme.

    1. L’applicazione del referendum abrogativo regionale

    Sono molto esigui i casi di tali referendum regionali. Nelle Regioni ordinarie si sono registrate appena due referendum, in quattro Regioni speciali la popolazione ha potuto votare almeno una volta (esclusa la Sicilia). Se teniamo presente che nei cantoni svizzeri nei soli 30 anni fra il 1970 e 1999 sono state votate 450 proposte dei cittadini, di cui 132 approvate, il bilancio dell’esercizio dei diritti referendari nelle Regioni italiane e quindi la pratica di democrazia diretta è desolante. Quali furono queste votazioni?

    • Trentino: 4 proposte di referendum abrogativo

    9-4-1919: disciplina degli espropri (risultato: no)

    24-3-1980: scuole dell’infanzia (risultato: no)

    25-11-1984: restrizioni sulla caccia (no)

    30-7-2007: Finanziamento delle scuole private (quorum non raggiunto)

    • Valle d’Aosta: 3 proposte di referendum

    15-6-1992: partecipazione ai Giochi olimpici (si, abrogata)

    18-6-2000: lingua francese come materia obbligatoria all’esame di maturità (quorum mancato)

    18-11-2007: Referendum propositivo su 4 quesiti (quorum mancato)

    • Sardegna:

    13-6-2005: Trattamento rifiuti da fuori regione (quorum mancato)

    5-10-2008: servizio idrico – salvaguardia paesaggio (quorum mancato)

    • Friuli-Venezia Giulia

    30-6-1996: Legge elettorale, (partecipazione 35%, quorum mancato)

    • Emilia-Romagna: 28-1-1990: caccia (quorum non raggiunto)

    • Liguria: quorum non raggiunto in un referendum negli anni 1990.

    • Lombardia: un referendum in itinere, promosso da 100 Comuni, relativo al sistema idrico.

    Si registra quindi un astensionismo analogo al referendum nazionale dal 1997 in poi (6 tornate referendarie fallite a causa del quorum). Emerge inoltre che gli strumenti referendari a livello regionale sono disciplinate in modo troppo rigido non incoraggiando la partecipazione. Le Regioni in generale non sfruttano lo spazio di manovra giuridico concesso, e le stesse legge non sono veramente innovative perché troppo condizionate da una logica di dominio dei partiti.

    Per quanto riguarda il quorum dappertutto finora si è ripetuta la stessa storia: nella Valle d’Aosta nel 2007, nel Trentino nel 2007, in Sardegna nel 2005 e nel Sudtirolo nel 2009 partiti ed associazioni contrari qi quesiti posti lanciano delle campagne „per non andare a votare“. A Bolzano perfino tutta la Giunta provinciale si schiera ufficialmente contro le proposte provenienti dalla popolazione. La partecipazione invece di essere stimolata è sterilizzata da queste campagne. Tutto sommato si registrano gravi limiti delle leggi regionale sulla democrazia diretta. Al primo referendum propositivo in Provincia di Bolzano del 25 ottobre 2009 hanno partecipato il 38,1% degli elettori, circa 7.000 sono mancati per raggiungere il quorum del 40%. Il gruppo linguistico tedesco ha partecipato con un tasso del 45%, mentre del gruppo linguistico italiano, in preda di una forte campagna astensionista, ha votato solo il 15%.

    3. Il referendum propositivo

    A partire del 2003 sia nelle Regioni ordinarie sia in quelle speciali prende fisionomia un nuovo tipo di referendum. Si profilano tre modelli di applicazione del referendum propositivo:

    1. Il modello trentino (Legge prov. n.3 del 5 marzo 2003)

    8.000 elettori possono richiedere un tale referendum su specifiche questioni di particolare interesse provinciale, però senza effetto deliberante, siccome spetta alla Giunta e al Consiglio regionale di attuare il risultato dei referendum. Se la proposta di legge di iniziativa popolare viene esaminata entro 24 mesi dalla sua presentazione, il Consiglio evita il referendum. Quindi l’efficacia e l’incisività del referendum propositivo risulta nuovamente svuotato.

    1. Il modello friulano e sardo

    30.000 elettori oppure due Consigli provinciali possono presentare una proposta. Se su questa il Consiglio regionale non delibera entro un anno, viene indetto un referendum regionale. Il Consiglio regionale può comunque anche respingere la proposta popolare per evitare di andare alle urne. L’unico risultato per i promotori è quello di obbligare il Consiglio ad esaminare la proposta.

    Esiste un lungo elenco di materie escluse.

    Il Lazio si è dotato di una legge sul referendum propositivo simile a quella friulana.

    Tutto sommato con questo tipo di referendum propositivo si delinea solo un“Iniziativa popolare rafforzata“, potendo raccogliere firme e minacciare un referendum. Ma questo può essere evitato da parte del Consiglio regionale con un semplice esame ed espressione (anche di rifiuto e basta).

    1. Il modello di Bolzano e Aosta

    La Regione Valle d’Aosta si è dotata di una nuova legge sulla democrazia diretta nel 2003 (L.R. n.19 del 25 giungo 2003). Il 5% dell’elettorato è intitolato a presentare una richiesta. Se il Consiglio non recepisce i principi ispiratori della proposta, si passa al referendum con un quorum di partecipazione del 45%.

    La Prov. autonoma di Bolzano ha approvato la L.P. n.11 del 18 novembre 2005, attribuendo a 13.000 elettori la facoltà di richieder con la loro firma la votazione su una proposta redatta in articoli. Se il Consiglio provinciale non traduce in legge la proposta si va al referendum con un quorum del 40%.

    Queste due leggi introducono nell’ordinamento italiano il referendum propositivo (Volksinitiative in Svizzera, popular initiative in terminologia più generale) secondo il modello svizzero, ma applicano comunque dei limiti molto stretti. L’innovazione sul piano degli strumenti è rimasta a metà strada, sia perché manca il referendum confermativo facoltativo, sia perché le modalità di applicazione sono troppe restrittive.

    Nella Valle d’Aosta e in Provincia di Bolzano i cittadini hanno subito lanciato dei referendum propositivi. In Aosta 4 iniziative sul sistema elettorale, sulla costruzione di un ospedale e sulle tariffe energetiche. A Bolzano due sul miglioramento della democrazia diretta stessa, una rispettivamente sull’immigrazione, sull’urbanistica (seconde case), sulla riduzione del traffico aereo.

    In entrambe le Regioni/Province si è prodotto un contenzioso sull’ammissibilità di proposte di legge statutarie, cioè sulla democrazia diretta e sul sistema elettorale. In Aosta nel giungo 2007 la Commissione di magistrati si esprime positivamente, a Bolzano nel settembre 2010 in modo negativo, cioè che lo Statuto di autonomia non dia agli elettori la facoltà di lanciare referendum propositivi sulle materie statutarie. Il 18 novembre 2007 nella Valle d’Aosta si svolge il primo referendum propositivo in Italia. Tutti i partiti tranne gli ecologisti promotori si aggregano per una campagna astensionista. Partecipano solo il 27,6% (90% vota SI). Anche a Bolzano al primo referendum propositivo del 25 ottobre 2009 con 5 quesiti sottoposti agli elettori si registra una forte campagna astensionista che vede alleati il vertice della SVP, partito tedesco di maggioranza, e quasi tutti i partiti italiani. Alla fine il quorum del 40% è stato mancato di poco (38,1%).

    4. I referendum statutari

    Interessanti in questo riguardo sono i casi dei „Referendum statutari”, cioè referendum consultivi sulla modifica degli statuti regionali del Veneto e della Lombardia. Nel Veneto nel 2000 i promotori di un tale referendum puntano sul trasferimento di ulteriori competenze legislative alla Regione Veneto assegnandole una forma di specialità. La proposta fu impugnata dal Governo centrale. Su questa richiesta affermò la Corte costituzionale: „La legge impugnata per il ruolo che pretende di assegnare alla popolazione regionale in un procedimento teso a mutare l’ordine costituzionale, incrina le linee portanti del disegno costituzionale proprio in relazione al rapporto fra l’istituto del referendum e la Costituzione.“

    Diversa fu la pronuncia della Consulta su un referendum analogo promosso nel 2000 in Lombardia sul passaggio delle competenze sulla sanità, istruzione e polizia locale alla Regione. Il 15 settembre 2000 la Consulta si pronunciò positivamente.

    Le Regioni ordinarie in generale hanno il potere di approvare gli statuti regionali, con una particolare procedura di approvazione Una legge approvata dal Consiglio non viene promulgata subito, ma sussiste la possibilità di richiedere il referendum (come in vigore in Svizzera per tutte le leggi cantonali e federali).

    Nelle Regioni speciali lo statuto è approvato dal Parlamento con legge costituzionale. Queste Regioni possono disciplinare la forma di governo, il sistema elettorale, I diritti referendari ed altri aspetti. Le relative leggi, una volta approvate dal Consiglio regionale, sono sottoposte a referendum confermativo su richiesta di 1/50 degli elettori o una minoranza qualificata del Consiglio provinciale. Quasi tutte le Regioni nel 2000-2005 si sono dotate di leggi apposite sul referendum statutari, le quali sono quasi tutte uguali. La dottrina giuridica sembra sposare la tesi che le leggi statutarie (o sulla forma di governo) non possano essere oggetto di un referendum propositivo. Di questo parere è stata anche la Commissione di magistrati garanti per I referendum in provincia di Bolzano, quando nel settembre scorso hanno bloccato la nostra iniziativa sulla riforma minima della legge sulla democrazia diretta, dichiarandola non ammissibile perché sia lo Statuto di autonomia sia la legge in vigore attribuiscono tale materia esclusivamente al legislatore provinciale, lasciando all’elettorato la sola possibilità di intervenire col referendum abrogativo facoltativo.

    1. Nuovi strumenti di partecipazione

    Alcune Regioni si sono dotate di altre forme di partecipazione dei cittadini alla politica regionale, soprattutto legati alla necessità di garantire un’informazione migliore sull’attività amministrativa. Lo Statuto dell’Emilia-Romagna, ad esempio, all’art. 19 prevede forme di partecipazione codificate di tutte le associazioni. Inoltre, in una legge regionale del 2008 si prevede un’ “istruttoria pubblica” che si svolge in forma di pubblico contraddittorio a cui possono partecipare sia i politici sia comitati, associazioni, gruppi di cittadini portatori di interessi non individuali. Infine sono previste “altre forme di consultazione”.

    All’interno dello Statuto regionale della Toscana ci sono vari articoli sulla partecipazione dei cittadini. Nel 2007 è stata istituita, tra altro, l’ “Autorità regionale per la partecipazione” (L.r. Toscana del 27-12-2007, n.69). L’obiettivo di questa norma è di “contribuire a rinnovare la democrazia e le sue istituzioni integrandola con pratiche, processi e strumenti di democrazia partecipativa.

    Questo procedimento è attivato su tutti i grandi interventi con impatto ambientale, sociale, economico, urbanistico. Va richiesto dal 0,5% dei residenti con almeno 16 anni di età. Questa partecipazione si realizza attraverso un “dibattito pubblico”, al termine del quale si produce un rapporto sul processo adottato e sui risultati raggiunti. Questa forma ricorda il metodo della “mediazione politica” praticata in altri paesi. Comunque, la decisione finale rimane in capo agli organi politici che dovrà tener conto della partecipazione. Sotto il profilo del maggior coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali sicuramente un’innovazione interessante, che comunque non può rimpiazzare il ruolo deliberativo delle procedure referendarie (iniziativa e referendum).

    1. Conclusioni2

    Le due leggi costituzionali sull’elezione diretta dei presidenti delle Regioni del 1999 e del 2001 hanno fornito lo stimolo per riformare I diritti referendari nelle Regioni. I nuovi statuti regionali, in attuazione di dette leggi costituzionali, prevedono norme più avanzate e favorevoli alla partecipazione dei cittadini alla politica della loro Regione. “Quando tutte le Regioni avranno approvato I loro Statuti e saranno approvate le normative applicative dei principi statutari, sicuramente si delineerà un quadro degli strumenti di democrazia diretta ben più vivace e penetrante di quello esistente nella seconda metà del Novecento. Nello stesso tempo, però, già emergono fin dalle prime esperienze applicative di questa nuova fase, quelli che permangono I punti deboli della democrazia diretta in Italia anche a livello regionale.”3

    Dall’altra parte la seconda generazione dei diritti referendari regionali, in confronto con le forme di democrazia diretta praticata in altri paesi, presentano ancora forti limiti sia in riguardo agli istituti disponibili sia in riguardo ai regolamenti di questi istituti. Tant’è vero che anche laddove Regioni o Province autonome si sono spinte più avanti (Aosta e Bolzano), la popolazione ha già espresso un forte interesse di superare le leggi sulla democrazia diretta approvati nel 2003 e nel 2005. Nella Provincia di Bolzano è stato soprattutto il quorum in concomitanza col difficile rapporto fra maggioranza e minoranza etnica a far naufragare il tentativo di introdurre un sistema di democrazia diretta paragonabile a quello dei cantoni svizzeri.4

    La principale novità della “seconda generazione di diritti referendari regionali” è quella che in tutte le Regioni eccetto la Sicilia I cittadini ora possono ricorrer al referendum propositivo. Non solo è stato disciplinato nella Valle d’Aosta e in Provincia di Bolzano con un certo potenziale di incisività, ma anche la Campania ed il Lazio hanno istituito il “Referendum approvativo”.

    Numerose Regioni per la funzione del controllo di ammissibilità di iniziative popolari hanno rimpiazzato il Consiglio regionale con organi indipendenti di garanzia (Commissioni per I procedimenti referendari, perlopiù composti da magistrati). Inoltre il momento della verifica dell’ammissibilità è stato spostato a prima dell’inizio della raccolta delle firme.

    Quasi tutte le Regioni hanno introdotto il referendum consultivo su “materie o questioni di rilevante interesse regionale”, che in qualche caso può essere richiesto anche da un numero minimo di elettori.

    Alcune Regioni hanno previsto nei loro statuti anche strumenti originali di partecipazione, come l’ “istruttoria pubblica”, il “dibattito pubblico”, “le forme di consultazione” dei cittadini nel corso dei procedimenti decisionali, l’ “albo delle associazioni” da consultare nel corso del procedimento legislativo e della definizione degli indirizzi programmatici. Talvolta sono state tracciati anche principi volti ad indirizzare I partiti politici all’utilizzo di procedure partecipate anche nella scelta dei candidati (“primarie”). Esperienze e tentativi ci sono anche nella redazione di “Bilanci partecipativi”.5

    Anche senza un’analisi più approfondita della normativa regionale sulla democrazia diretta – da elaborare in un secondo momento – vanno sottolineati soprattutto tre fra gli aspetti più negativi delle nuove leggi regionali sui diritti referendari:

    • Il quorum di partecipazione, benché non obbligatorio in termini costituzionali, continua ad “inquinare” l’atteggiamento della stragrande maggioranza dei politici regionali di ogni estrazione verso la democrazia diretta. Solo 5 Regioni sono riuscite a staccarsi leggermente dal quorum del 50% (Lombardia 2/5, Sardegna e Toscana 50% dei votanti alle elezioni regionali, Aosta 45% e Bolzano 40%). Ma anche un quorum del 35% è ancora sufficientemente alto per consentire campagne astensioniste. “Sull’abolizione del quorum di partecipazione nei referendum (in conformità, del resto, con il modello dei Cantoni svizzeri e degli Stati americani) si giocherà una partita decisiva per rendere finalmente compiuta la democrazia nelle Regioni italiane affiancando alla robusta gamba della democrazia rappresentativa una altrettanto robusta della democrazia diretta.”6

    • Non si prevede né un diritto di iniziativa statutaria né il referendum confermativo facoltativo sia su leggi regionali sia su atti amministrativi appena approvati dai rispettivi organi, prima della loro entrata in vigore.

    • Si prevedono troppe materie escluse dalle votazioni popolari, soprattutto le materie fiscali-tributarie, fatto grave in presenza di un potere impositivo regionale appena rafforzato per via dei decreti sul federalismo fiscale.

    Anche i regolamenti delle procedure di avviamento e svolgimento delle votazioni sono ancora decisamente limitative (diritti di informazione istituzionale, rimborsi spese mancanti, modalità di raccolta firme troppo formali, voto postale e elettronico assente ecc.).

    Certo, come afferma ottimisticamente A. Riccarand, il quadro degli istituti di democrazia diretta delle Regioni da qualche anno si presenta più vivace e molte Regioni ora offrono esempi che potrebbero essere recepiti anche a livello nazionale: referendum propositivo, giudizio preventivo di ammissibilità, maggiore informazione e nuovi strumenti di consultazione, e si auspica che possa nascere un nuovo dibattito sulla riforma dei diritti referendari a livello nazionale. Ma siamo ancora lontani da un approccio effettivamente aperto e costruttivo delle élites politiche regionali nei confronti della partecipazione dei cittadini alle decisioni politiche, in termini deliberativi e senza quorum. Quindi si auspica che, sulla falsariga di quanto già proposto da movimenti popolari in Valle d’Aosta e Sudtirolo, possano essere pensati progetti di riforma della democrazia diretta a livello regionale, da essere diffusi a tutti i membri dei Consigli regionali in Italia, a tutti i partiti e liste politiche ivi presenti e al mondo associazionista, affinché si possa crescere sia più sensibilità ed interesse fra chi può legiferare sia più pressione da parte della cittadinanza.

    Allegati:

    - Prospetti sui regolamenti dei diritti referendari nelle Regioni Friuli Venezia Giulia, Lombardia

    Piemonte, Sardegna, Toscana, Valle d’Aosta, Veneto, Provincia autonoma di Trento, Provincia autonoma di Bolzano

    - Il referendum abrogativo nelle Regioni e nelle Province autonome

    IL REFERENDUM ABROGATIVO NELLE REGIONI E NELLE PROVINCE AUTONOME

    REGIONE

    ELETTORI ULTIME ELEZIONI REGIONALI

    SOTTOSCRITTORI/

    QUORUM DI FIRME

    % FIRME SU ELETTORI

    TEMPO PER LA RACCOLTA DELLE FIRME

    QUORUM DI PARTECIPAZIONE PER VALIDITA’

    NUMERO QUESITI VOTATI

    Valle d’Aosta

    102.567

    4mila

    3,9

    90

    45%

    2

    Piemonte

    3.651.856

    60mila

    1,6

    180

    50% + 1 elettore

    /

    Lombardia

    7.638.813

    300mila

    3,9

    180

    2/5 degli aventi diritto

    /

    Veneto

    3.913.421

    30mila

    0,9

    180

    50% + 1 elettore

    /

    Prov. Autonoma di Bolzano

    364.628

    13mila

    3,5

    90

    40% degli aventi diritto

    /

    Prov. Aut. di Trento

    388.615

    8mila

    2

    90

    50% + 1 elettore

    5

    Friuli V.Giulia

    1.092.901

    30mila

    3

    150

    50% + 1 elettore

    5

    Liguria

    1406865

    3,5%

    3,5

    180

    50% + 1 elettore

    1

    Emilia Romagna

    3.441.210

    40mila

    1,1

    90

    50% + 1 elettore

    2

    Toscana

    3.022.353

    40mila

    1,3

    180

    50% + 1 dei votanti all’ultime elezione reg.

    /

    Umbria

    716.367

    10mila

    1,3

    60

    50% + 1 elettore

    /

    Marche

    1.287.323

    20mila

    1,5

    120

    50% + 1 elettore

    /

    Lazio

    4.609.125

    50mila

    1

    120

    50% + 1 elettore

    /

    Abruzzo

    1.203.608

    2%

    2

    120

    50% + 1 elettore

    /

    Molise

    265.217

    7.500

    2,8

    120

    50% + 1 elettore

    /

    Campania

    4.867.313

    100mila

    2

    Non specificato

    50% + 1 elettore

    /

    Puglia

    3.518.164

    60mila

    1,7

    180

    50% + 1 elettore

    /

    Basilicata

    554266

    8.000

    1,4

    Non specificato

    50% + 1 elettore

    Calabria

    1.845.431

    4%

    4

    120

    50% + 1 elettore

    Sicilia

    4.572.912

    50mila

    1

    120

    50% + 1 elettore

    Sardegna

    1.466.701

    15mila

    1

    120

    50% + 1 dei votanti all’ultime elezione reg.

    4

    Fonte di tutti gli prospetti: Anais Riccarand, La democrazia diretta nelle Regioni italiane, Aosta 2009

    1Sintesi basata sulla tesi di laurea di Anais Riccarand, La democrazia diretta nelle Regioni italiane, Aosta 2009. Le tre ultime pagine di questo prospetto sono originali del testo di questa tesi (solo per uso privato).

    2Questa parte è una sintesi del rispettivo capitolo di Anais Riccarand, citato sopra.

    3Vedi A. Riccarand, op. cit., p. 136

    4Per i testi delle proposte di legge di iniziativa popolare, le relazioni accompagnatorie ed altre illustrazioni più brevi di questo progetto vedasi http://www.dirdemdi.org

    5A. Riccarand, op. cit., p. 138

    6Ibidem, p. 139

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