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  • Bolzano: la Democrazia Diretta nel dilemma etnico

    23 Novembre 2009

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    Postato in: bolzano, democrazia diretta

    thomaspubblico una lettera dell’amico Thomas Benedikter

    La democrazia diretta nel dilemma etnico

    Il sistema di democrazia diretta, come progettato nella “legge migliore” dell’Iniziativa per più democrazia, per un soffio non approvato nel referendum provinciale del 25 ottobre scorso, è teso a dare più voce e potere ai cittadini in quanto tali e nel loro insieme rispetto le competenze politiche provinciali, né di più né di meno. I cittadini avrebbero potuto votare su quasi ogni materia di cui discutono i nostri rappresentanti nel Consiglio ed anche sui megaprogetti decisi dalla Giunta provinciale, non invece sulla modifica dello statuto di autonomia. Un tale sistema può funzionare in una società plurietnica, in cui i gruppi non solo sono diversi per lingua, ma presentano anche caratteristiche sociali ed interessi politici divergenti, sono due mondi intersecanti, ma paralleli? Tali strumenti possono funzionare in una provincia che risente ancora di tensioni etniche? In cui si minaccia ancora „Oggi referendum, domani autodeterminazione?“ Si può propagare un’idea liberatrice quale la democrazia diretta, che rafforza i cittadini in quanto tali nei confronti del sistema partitico, se non regna un’atmosfera di fiducia reciproca fra i gruppi che permette di articolare gli interessi politici in forma trasversale?

    Naturalmente no, risponderebbe quel giornalista dell’ALTO ADIGE che all’indomani del referendum in un commento allucinante ha spazzato via le proposte dei cittadini come „5 quesiti che puzzano“. “Gli italiani, soprattutto gli italiani”, scrisse Campostrini, “non c’entrano nulla con questi due quesiti sulla democrazia diretta dell’Union für Südtirol: questi quesiti provengono da un mondo culturale pre-urbano, rurale e valligiano. È la piazza dei borghi elvetici che decide sí o no per alzata di mano, senza andare troppo per il sottile. Rappresentano un mondo cantonale, dove decidono le famiglie che vivono in valle da venti generazioni, come in Svizzera o come in certe contee della provincia americana profonda, dove lo sceriffo guarda con sospetto non solo lo ’straniero’, ma anche gli agenti federali arrivati da Washington.” Senza dilungarmi nella delirante idea che si è fatto questo ‘giornalista’, che non solo con incredibile accuratezza attribuisce entrambe le proposte di riforma delle regole referendarie all’Union, ma offende un’avanzata cultura politica quale quella svizzera ed ignora che la democrazia diretta moderna è proprio nata nelle grandi città svizzere e californiane e funziona benissimo in realtà sociali più complesse, si potrebbe dire: se fosse questo l’atteggiamento prevalente nel gruppo italiano della nostra provincia nei confronti di una politica più partecipata, buona notte democrazia diretta.

    Effettivamente nell’elettorato di lingua italiana ha dilagato l’astensione. Mentre in 89 su 116 comuni della nostra provincia il quorum è stato raggiunto, in alcuni quartieri di Bolzano si sono recati alle urne neanche il 10% degli aventi diritto. I 6.000 voti mancanti a livello provinciale per raggiungere il quorum sono in primo luogo mancati nelle città, cioè a Bolzano (25% di partecipazione), Merano (28%) e Laives, ma non a causa di un presunto dualismo fra città e valli, ma senza dubbi a causa dell’astensione italiana. Un astensionismo non solo dovuto ai preconcetti ottusi di certi giornalisti e all’ostilità di certi giornali nei confronti della democrazia diretta. Ci sono altri tre fattori essenziali: la carenza di informazione, il ruolo dei partiti italiani e della destra tedesca, la strumentalizzazione delle paure italiane da parte dell’SVP. Buona parte del gruppo italiano inclusi tanti politici sembra essere stato effettivamente informato male. La responsabilità ricade sia sulla Provincia autonoma, che non ha assolto ai suoi doveri previsti dalla legge, sia sui partiti che non hanno seriamente affrontato né l’esigenza né la natura del progetto di riforma, un po’ anche sui promotori dei quesiti stessi che hanno incontrato limiti nella comunicazione interetnica.

    Poi, i partiti. La destra italiana ha respinto le proposte sulla Democrazia diretta, mentre i partiti della sinistra (PD, Rifondazione e Italia dei Valori) si sono espressi a favore della proposta dell’Iniziativa senza però minimamente impegnarsi per mobilitare i loro elettori. Anzi, il PD ha abusato dei pannelli ufficiali per pubblicizzare le sue primarie, ed i suoi assessori non hanno levato neanche una timida parola di dissenso quando la Giunta provinciale il 22 ottobre ha cercato di affossare tutte le proposte. L’opposizione tedesca nell’elettorato italiano nella realtà politica sudtirolese ha l’impatto di scardinare un rigetto generico. Il puro fatto che un quesito provenga da un partito come l’Union für Südtirol, discreditata nell’opinione pubblica italiana, basta per gettare il bambino con l’acqua sporca. Lo testimonia meglio di tutti l’atteggiamento di Rifondazione, che ha dedicato due righe al referendum: ha chiamato a votare SI sui quesiti dell’Iniziativa per più democrazia e del Dachverband, ma ha cestinato le tre proposte dell’UNION come razziste e anticostituzionali, travisando che la sua proposta sulla democrazia diretta era quasi identica a quella dell’Iniziativa.

    Infine la SVP, che ha astutamente strumentalizzata il clima di sfiducia fra gli italiani. Durnwalder, Messner ed altri nemici dichiarati di più diritti referendari hanno soffiato nel fuoco ipotizzando che in assenza di un basso quorum di partecipazione gli italiani rischierebbero di essere messi continuamente in minoranza da parte “dei tedeschi”. Il segretario SVP Achammer è arrivato a dire a che presto il monumento degli alpini di Brunico sarebbe stato oggetto di un referendum popolare. Volutamente il vertice SVP ha taciuto il fatto che sia la legge vigente sia le proposte di legge referendarie escludono l’ammissibilità al voto di quesiti che possano violare i diritti dei gruppi linguistici, come affermato anche dallo Statuto di Autonomia. In pratica l’SVP si è alleata con la parte più nazionalista dell’elettorato italiano per difendere il suo modello di decisionismo, il suo sistema di potere. Durnwalder a votazione vinta è perfino arrivato a dire che si era riusciti ad evitare che „le valli“ abbiano potuto dettare legge: l’illuminato uomo di Falzes che in tema di diritti civili difende la colta cittadinanza urbana dall’urto della plebe rurale…..

    Politicamente cosa significa questo voto? Evidentemente la maggioranza dell’elettorato tedesco desidera strumenti più efficaci di partecipazione politica. Dall’altra parte la stragrande maggioranza degli elettori italiani non apprezza regole migliori di partecipazione temendo che possa essere non a vantaggio dei cittadini, ma a svantaggio degli italiani come gruppo. Perciò, il voto può essere interpretato come atto di sfiducia del gruppo italiano nell’elettorato tedesco, invece di fiducia nel vertice SVP che si presenta come forza moderata, capace di mediare gli interessi di tutti, gestendoli a livello di vertici dei partiti e associazioni di categoria.

    Cosa significa tutto questo per il futuro di una democrazia diretta migliore per la nostra provincia?In presenza di un quorum del 40%, significa la possibilità di un veto permanente di questa nuova alleanza: basta che il vertice SVP, sostenuto dal giornale dominante, e la maggioranza italiana (che si richiama in primo luogo agli appelli della destra e del giornale italiano dominante) si alleano, per far fallire ogni referendum. Significa che nessun iniziativa popolare potrà passare contro questa alleanza strumentale fra italiani mal informati, disinteressati, impauriti da una parte e sistema di potere della SVP dall’altra, con le varie associazioni di categoria che difendono i loro interessi particolari. Significa che nessuna istanza referendaria di carattere sociale o ambientale, sostenuta con un’ampia raccolta di firme, non ha modo di passare perché non avvallata dalla popolazione di Bolzano-Merano-Laives. Di tal maniera politicamente si apre una nuova spaccatura etnica. La maggioranza della popolazione tedesca chiede di portare a votazione popolare quesiti urgenti che toccano tantissimi sudtirolesi. Ma è bloccata dal quorum, operato dal partito “di raccolta” in connivenza con la maggioranza del gruppo di lingua italiana: cosí si ammazza un diritto civico.

    Naturalmente vanno presi sul serio le paure dei cittadini di lingua italiana, certamente va discusso più a fondo una tale riforma dei diritti referendari. La democrazia diretta in Sudtirolo non può funzionare, se non è coinvolta tutta la società; non potrebbe dispiegare i suoi effetti integranti, se il gruppo italiano non fosse coinvolto nella determinazione delle regole, e continuasse a percepire ogni referendum come minaccia, e la democrazia diretta come una “roba dei tedeschi”. Ma dall’altra parte non si può espropriare il 70% della popolazione dall’esercizio di un diritto, solo perché non interessa la maggioranza dei concittadini italiani che abitano a Bolzano-Merano-Laives o perché questa teme che il gruppo di lingua tedesca possa esprimere in forma compatta orientamenti diversi. Affermare che “gli interessi” dei tre gruppi etnici sono troppo diversi oppure che gli interessi degli abitanti delle città e delle valli divergono non è legittimo, perché la politica di interesse provinciale fatta nel Consiglio e soprattutto in Giunta provinciale è unica. È valida per tutti, viene finanziata da tutti i contribuenti, è decisa da politici eletti da cittadini di tutte le parti. Il Sudtirolo non è diviso in cantoni. Questioni attinenti aspetti che rientrano nell’autonomia culturale dei tre gruppi in termini quantitativi sono pochi; le questioni “trasversali” sono assolutamente prevalenti. Quindi a parte clausole più severe per la non-referendabilità di argomenti sensibili per i gruppi etnici, va ribadito il principio che porta a chiedere l’abolizione del quorum: chi va alle urne, deve poter decidere; chi non ci va, lascia decidere gli altri. Nel Wallis bilingue o nei Grigioni trilingui non esiste un diritto di veto di uno dei gruppi nel momento di decidere insieme sulla politica cantonale.

    Che fare? La grande sfida sarà quella di coniugare bene il rafforzo dei diritti di tutti i cittadini in quanto tali e la tutela dei diritti dei tre gruppi. Una nuova proposta di legge sulla democrazia diretta può precisare ancora meglio l’esclusione delle materie che possano violare i diritti fondamentali e culturali dei gruppi linguistici. La convivenza va costruita anche dal basso: ci sono centinaia di sforzi ed iniziative del mondo associazionista locale accomunati dagli stessi problemi. Più democrazia diretta promuove l’impegno civico dei cittadini ed il senso di responsabilità fra tutti i gruppi. L’impegno per la soluzione di problemi comune richiede una collaborazione trasversale e crea legami sia fra i gruppi sia fra le persone. È questo il dilemma: lasciare la democrazia diretta cosí come la vuole il vertice SVP, significa di fatto bloccare la voglia di contare e l’iniziativa dei cittadini. Lasciare l’iniziativa a qualche partito della destra tedesca ci porta ad una situazione simile a quella scaturita da decenni battaglie referendarie dei Radicali: lo strumento in mano a un piccolo partito di opposizione, non ai cittadini in primo luogo. Dall’altro canto, una vera riforma della democrazia diretta non può far a meno dell’abbattimento del quorum. Possiamo avere fiducia: più partecipazione diretta alla politica provinciale fa crescere una cittadinanza più condivisa di questa terra, al di lá delle differenze culturali.

    Thomas Benedikter

    Commento di Paolo Michelotto

    Io comincerei ora un percorso a un livello più basso. Ossia comunale. Ci sono tanti comuni dove si è passato il quorum del 40%. Bene, io comincerei dal comune che ha avuto l’affluenza più alta e abolirei il quorum dallo statuto di quel comune. Con metodo e pazienza, facendo lobbing, iniziative di delibera popolare, incontri con gli amministratori, referendum comunali. Quando molti comuni avranno il quorum zero, come Ortisei, poi sarà il turno della privincia di Bolzano.

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