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    019 Democrazia Diretta cap 2 Cos’è la democrazia? – 2-3: Frans van den Enden

    23 Luglio 2009 // Nessun commento »

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    di Paolo Michelotto

    traduzione di Emilio Piccoli

    2-3: Frans van den Enden
    Per molto tempo il filosofo olandese Spinoza venne ritenuto quello che aveva posto le prime basi filosofiche della democrazia – sovranità popolare e una radicale libertà di parola. Questo fa di lui un tipico rappresentante di quello che lo storico Jonathan Israel (2002) chiama illuminismo radicale. Alcune delle persone famose che sono considerate le rappresentanti classiche dell’Età della Ragione – Newton, Locke e Montesquieu, per esempio – sono infatti rappresentanti dell’Età moderata della Ragione. I credo di Locke sono rappresentativi di questa Età moderata della Ragione.Egli sosteneva la tolleranza e la libertà di credo religioso per tutti i tipi di convinzioni cristiane, ma non per gli atei – perché questo avrebbe significato respingere la base della moralità – e neanche per i cattolici, perché essi riconoscevano un’autorità straniera: il Papa. I sostenitori della Età moderata della Ragione lottarono contro l’ Illuminismo radicale e quest’ultimo sovente doveva operare clandestinamente.
    Nel 1990 però l’esperto di Spinoza Wim Klever scoprì che Spinoza in realtà mutuò le sue idee dal suo precettore Franciscus van den Enden (1602-1674). Van den Enden era di Anversa, ma poi fuggì ad Amsterdam, dove fondò una piccola scuola privata nella quale insegnò anche Spinoza. Klever scoprì che Van den Enden era autore di due rivoluzionari, anonimi libri pubblicati: Kort Verhael Van Nieuw Nederlants ( un breve resoconto dei Nuovi Paesi Bassi, 1662) e Vrije politijke Stellingen (Libere proposte politiche, 1665 , ripubblicato da Klever nel 1992).
    Van den Enden fu il primo a sostenere l’uguaglianza politica “tra persone più e meno intelligenti e persone più e meno benestanti, di sesso maschile e femminile, governanti e sudditi, ecc.”. Van den Enden dichiarò esplicitamente che l’uguaglianza politica non significa mettere allo stesso livello. Egli sostiene che ogni essere umano è un individuo unico con talenti e caratteristiche specifiche e che l’uguaglianza politica non deve fare nulla per cambiare questo stato di cose. L’uguaglianza prevede la libertà. Le leggi devono fornire a tutti lo spazio per svilupparsi, parlare e pensare in eguale maniera – per cui Van den Enden utilizza il termine “pari libertà”. Egli formulò il principio di sovranità popolare con i termini più forti possibili. Egli mise in guardia – correttamente come adesso possiamo vedere – contro la creazione di una classe politica che avrebbe servito i suoi propri interessi. Van den Enden sosteneva che era meglio che le persone prendessero le decisioni politiche da sé e credeva che le assemblee pubbliche fossero il miglior strumento per raggiungere questo obiettivo. Van den Enden notava che, a seguito della deliberazione comune e del processo decisionale in tali assemblee, le conoscenze della gente e le competenze politiche sarebbero aumentate considerevolmente. In questo contesto egli aveva un concetto limitato di “popolo”: solo gli uomini che potevano provvedere a sé stessi avevano diritto di voto. Gli uomini che non erano in grado di farlo, e anche le donne, non avrebbero dovuto essere autorizzati ad accedere alla pubblica assemblea (in questo senso la sua teoria dell’uguaglianza era incoerente). In occasione della prima assemblea pubblica – egli affermava – i cittadini dovrebbero fare uno spettacolo bruciando tutte le leggi e i regolamenti che concedevano poteri speciali o privilegi alla nobiltà e al clero. Egli riteneva che tali comunità autenticamente diretto-democratiche (allora ancora città) potessero stabilire reciproci legami federativi. Tutto questo lo rende forse il primo teorico della democrazia diretta. Van den Enden sosteneva anche il libero porto d’armi da parte dei cittadini, in modo che altri governanti non fossero in grado di sottrarre con l’inganno i loro diritti democratici.
    Van den Enden riteneva che la democrazia era indissolubilmente legata a una vita culturale libera. “La cosa più dannosa in uno Stato è che non è lasciata alle persone la libertà di proclamare tutte le cose che ritengono essere di maggior interesse pubblico …”. Non dovrebbero essere messi ostacoli sulla strada di nessuno, nemmeno degli stranieri, concernenti le opinioni personali o le questioni religiose. Van den Enden sosteneva anche il principio di mutua solidarietà, in relazione alle necessità materiali delle persone. Centrale nelle sue idee era il diritto al lavoro. Lo Stato impone di fatto l’appartenenza allo Stato stesso a tutti coloro che sono nati all’interno dei suoi confini; ciò è giustificato solo se lo Stato fornisce anche uguali livelli di beneficio per tutti i suoi membri. Egli inoltre sosteneva l’introduzione di strutture sociali e mediche e respingeva decisamente “l’umiliante elargizione di elemosina” da parte della gente ricca e delle chiese.
    Quasi 125 anni prima della Rivoluzione Francese Frans Van den Enden aveva già abbracciato la sua celebrata trinità di ideali: libertà, uguaglianza e fraternità. Ma considerando che i rivoluzionari francesi produssero questa parola d’ordine in una forma del tutto indifferenziata, Van den Enden portò in essa molto maggiore differenziazione: egli collega la libertà con la vita culturale (la libertà di parola e di religione), l’uguaglianza con il sistema politico e giuridico, e la solidarietà con le necessità materiali delle persone (vedi anche il capitolo 3).
    Van den Enden successivamente si trasferì a Parigi dove fu arrestato per essere stato coinvolto in un complotto contro Luigi XIV. Il 27 novembre 1674 fu giustiziato per impiccagione nel Palazzo della Bastiglia. Se si confronta il contenuto di “Libere proposte politiche” con la situazione odierna, è chiaro che, la maggior parte degli obiettivi formulati da Van den Enden quasi tre secoli e mezzo fa, sono ancora in attesa di essere realizzati.

    Questa è la pubblicazione a puntate della traduzione in Italiano del libro Democrazia Diretta di Verhulst Nijeboer. Puoi aiutare il Emilio effettuando le eventuali correzioni e inviandole a piccoliemilio@gmail.com

    La versione in inglese che sta traducendo si trova qui:

    http://www.paolomichelotto.it/blog/2008/11/04/democrazia-diretta-un-testo-fondamentale/

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    018 Democrazia Diretta cap 2 Cos’è la democrazia? – 2-2 Boicottaggio con quorum di partecipazione

    22 Luglio 2009 // Nessun commento »

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    di Paolo Michelotto

    traduzione di Emilio Piccoli

    2-2 Boicottaggio con quorum di partecipazione
    I referendum comunali in Germania illustrano abbondantemente l’opera distruttiva dei quorum di partecipazione.
    Nel Baden-Württemberg il referendum comunale fu introdotto già nel 1956 (negli altri Stati tedeschi fu introdotto non prima del 1990). Però la legislazione del Baden è molto restrittiva. Una delle più gravi restrizioni è la regola del quorum: almeno il 30% degli elettori devono votare a favore della proposta dei cittadini, altrimenti il voto è nullo.
    Questa norma dà più peso ai voti degli oppositori dell’iniziativa dei cittadini che ai voti dei suoi sostenitori, in quanto il non voto degli astenuti vengono aggiunti al voto no di coloro che si oppongono a questa iniziativa.
    Il referendum di Reutlingen (1986) sulla costruzione di un rifugio antiraid aereo illustra questo effetto in modo sorprendente. Il 20 marzo 1986 il Consiglio comunale (maggioranza CDU) ha deciso di costruire un bunker per la protezione civile. Venne rapidamente allestita una iniziativa dei cittadini contro ciò, con sostenitori comprendenti Spd e Verdi, e il 18 aprile le firme necessarie furono presentate per tenere un referendum comunale sulla questione.
    Il Consiglio comunale e la CDU inscenarono un deliberato boicottaggio nei confronti di questa iniziativa. Qualsiasi partecipazione a serate di dibattito e iniziative similari furono sistematicamente respinte. Nella ultimissima settimana prima della votazione la CDU ruppe improvvisamente il suo silenzio con un annuncio e un opuscolo che fu distribuito come supplemento di un giornale ed era tra l’altro firmato dal Sindaco. Questo conteneva uno sfacciato incoraggiamento a boicottare il voto: “… teste professionali e fredde devono ora agire ragionevolmente, non con un comportamento di voto emotivo ma intelligente. Quindi potete proprio stare a casa Domenica prossima; dopo tutto, viene solo chiesto di votare contro la costruzione del bunker. Anche se non votate verrà espressa la vostra approvazione alla decisione presa dal Consiglio comunale. Avete riposto largamente la vostra fiducia nella CDU per molti anni in occasione delle elezioni. Potete affidarvi a noi anche su questa questione “.
    Il risultato fu che solo 16.784 dei 69.932 elettori registrati presero parte al voto, ma solo 2.126 votarono a favore del bunker. L’iniziativa dei cittadini naufragò causa il 30% del quorum, nonostante il fatto che solo il 3,4% degli elettori si espressero a favore del bunker. Il quorum consentì in ultima analisi a una piccola minoranza della popolazione di prevalere contro una larga maggioranza. Vari altri Comuni nel Baden-Württemberg tennero referendum comunali su simili progetti di rifugi. Nel complesso vi è stata una larga maggioranza contro la costruzione di tali impianti, che le persone hanno ritenuto essere inutili. (Un sondaggio ha mostrato che il 70% dei residenti nel Baden-Württemberg si sono opposti ai bunker). Anche a Nürtingen, un Comune vicino a Reutlingen, ci fu una iniziativa dei cittadini contro un bunker simile. La CDU locale non invitò qui a un boicottaggio. Il risultato fu che il 57% degli elettori partecipò al referendum e il 90% dei votanti respinse la costruzione del bunker. L’iniziativa dei cittadini ebbe quindi successo in questo caso. In un altro Comune, Schramberg, l’iniziativa dei cittadini contro il il progetto del bunker locale ebbe anch’essa successo, nonostante un invito a boicottarla della CDU. In questa occasione il testo della CDU per l’invito a un boicottaggio trapelò prematuramente, cosicché gli oppositori del bunker ebbero ancora il tempo per rispondere e contrastare la manovra. Inoltre i giornali locali pubblicarono critiche all’invito al boicottaggio della CDU. Alla fine il 49,25% degli elettori di Schramberg partecipò al referendum, il minimo del 30% di affluenza per il quorum fu raggiunto e l’88,5% degli elettori si dichiararono contrari al bunker.
    Un boicottaggio può essere condotto anche per linee organizzative. Un esempio ben noto proviene dalla città di Neuss, in cui il primo referendum comunale nel Nordrhein-Westfalen ebbe luogo il 3 settembre 1995. L’argomento era la costruzione di un hotel, vicino al municipio, che avrebbe distrutto un po’ di cintura verde del centro città. La maggioranza CDU riuscì ad ottenere il fallimento del voto pubblico a causa del quorum di partecipazione del 25%. È generalmente noto che quando i referendum in grandi città riguardano progetti di edifici in un singolo specifico distretto, voteranno relativamente poche persone, perché non si sentono personalmente toccate dal problema o hanno l’impressione che la scarsa conoscenza della situazione specifica non permetta loro di giudicare correttamente (ad Anversa un referendum sul progetto della piazza municipale ad Ekeren, per esempio, attirerà pochissimi elettori provenienti da altri quartieri, come il Sud o Hoboken, in cui la maggior parte dei residenti non si sono mai recati di persona a Ekeren). Il Consiglio comunale di Neuss utilizzò una serie di misure volte a scoraggiare gli elettori. Il voto postale non venne consentito (anche se per le elezioni del Consiglio il 15% dei voti furono inoltrati per posta). Invece dei 100 seggi elettorali che furono allestiti per le elezioni del Consiglio, solo 30 seggi furono aperti per questa votazione. Risultato: solo il 18,5% degli elettori partecipò al referendum. E’ vero che quasi l’80% di questi erano contro il progetto dell’hotel del Consiglio comunale, ma poiché il quorum non fu raggiunto l’iniziativa dei cittadini fu dichiarata nulla.
    In Belgio, il 10 aprile 1995, fu istituita una legge che prevede referendum a livello locale non vincolanti e non obbligatori. Venne fissato un quorum di partecipazione del 40% dell’elettorato. Se meno del 40% degli elettori partecipano al referendum le schede devono essere distrutte senza spoglio.
    Sebbene il referendum fosse non-obbligatorio e non-vincolante e, inoltre fosse imposto una altissima soglia del 10% di firme, questo ha indotto ad iniziative in numerose città. Nel 1996 nei Comuni di Genk e As in Limburg i cittadini chiesero un referendum sulla costruzione di un complesso commerciale nel sito di una miniera abbandonata. Nella municipalità di As il Consiglio comunale decise di rifiutare il referendum, ma la votazione a Genk si svolse, il 13 ottobre 1996. Solo 37,47% degli elettori affluirono al voto e, in nome della democrazia belga, le schede non furono contate ma furono distrutte. Le organizzazioni della classe media e i partiti di estrema sinistra aveva invitato la gente a non votare. Il primo referendum tenuto con la nuova legge fu subito una vittima di una riuscito invito al boicottaggio.
    A Gand, il 14 dicembre 1997, si è tenuto un referendum di iniziativa dei cittadini sul progetto del Consiglio comunale per la costruzione del cosiddetto “Belfort car-parking garage” nel centro della città. Il Consiglio comunale aveva deciso in anticipo che avrebbe considerato il risultato vincolante, ma la SP e la VLD, che costituiscono la maggioranza della coalizione a Gand, ha invitato gli elettori a boicottare le elezioni. In questa occasione il boicottaggio fallì con uno stretto margine, perché 41,12% degli elettori affluirono al voto e di questi il 95% votarono contro il parcheggio.
    A Sint-Niklaas, il 28 giugno 1998, si è tenuto un referendum sulla costruzione di un parcheggio sotterraneo. Come a Gand il quorum fu raggiunto a riseco: 40,28% degli elettori affluirono. Di questi il 92% votarono contro il parcheggio. Il voto fu una vicenda incerta perché il più grande partito di Sint-Niklaas, il cristiano-democratico CVP e la locale NCMV (organizzazione dei commercianti), aveva invitato la gente a non votare. Secondo il presidente della locale CVP Julien Vergeylen: “il referendum è una pessima formula. Chiunque voti ’sì’ garantisce solo che quelli che votano ‘no’ raggiungano il 40% necessario. Il votante ’sì’ farebbe meglio a rimanere a casa ” (giornale Gazet van Antwerpen, 17 giugno 1998). Il leader socialista, Freddy Willockx, dichiarò: “Il problema è che, a causa dell’invito al boicottaggio della CVP non abbiamo un quadro obiettivo di ciò che la gente vuole veramente. Ci sono probabilmente circa dal 70% al 80% dei votanti di Sint-Niklaas effettivamente contro il parcheggio, ma non lo potremo mai sapere con certezza” (Gazet van Antwerpen, 29 giugno 1998).
    Sebbene il quorum di partecipazione venne in seguito abbassato (e alzata la soglia di firme), dopo queste e altre dubbie esperienze ci sono state da allora poche iniziative.
    L’Italia ha fornito i più recenti esempi perversi. Il 18 aprile 1999 si è tenuto un referendum per riformare il sistema elettorale. Le riforme erano sostenute dalla maggior parte dei partiti politici; il 49,6% dell’elettorato affluì alle urne e di questi il 91% votò per le riforme. Ma gli elettori si affannarono per niente: perché il quorum di partecipazione del 50% non venne raggiunto per un pelo e le riforme non andarono avanti. Un fatto interessante: nel sud d’Italia la mafia sollecitò attivamente il boicottaggio e a sud di Napoli ci fu un’affluenza del 40%, molto al di sotto della media nazionale. La mafia decise che i loro candidati venivano eletti più facilmente utilizzando l’attuale sistema elettorale e giocò sul quorum di partecipazione, cosicché la mafia vinse contro una maggioranza pubblica superiore al 90%.
    Purtroppo tali campagne di boicottaggio si verificano regolarmente in Italia. L’esempio più recente è il referendum del 12 e 13 giugno 2005, in cui furono votate quattro proposte per la liberalizzazione della legge altamente restrittiva sulla procreazione assistita per le donne. Con l’appoggio del Papa Benedetto XVI il presidente della Conferenza episcopale, il Cardinale Ruini, nominato per competenza in questo caso, invitò attivamente al boicottaggio. “Il Cardinale Ruini trova che non votare sia il modo migliore per respingere le proposte. Dopo tutto un referendum è valido solo nel caso in cui almeno la metà degli elettori vota. Considerato il fatto che era già provato che coloro che voterebbero ’sì’ sarebbero nettamente in maggioranza, votando ‘no’ cattolici aiuterebbero solo a raggiungere il quorum e quindi involontariamente a rafforzare il campo del ’sì’; questo è il ragionamento “, come riferito dal sito web di notizie KatholiekNederland.nl (www.katholieknederland.nl/actualiteit/ 2005/5/nieuws_568842.html). E la strategia di Ruini ebbe successo: l’affluenza alle urne fu inferiore al quorum di partecipazione, cosicché il referendum fallì.
    Questo genere di esempi portano ad una semplice conclusione: i quorum di partecipazione sono fondamentalmente sbagliati. Essi non conferiscono un ugual peso al voto dei sostenitori e degli oppositori di una iniziativa, causano chiamate a boicottaggi e contraddicono il ruolo del mandato nel processo decisionale diretto.

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    017 Democrazia Diretta cap 2 Cos’è la democrazia? – 2-1: L’assemblea pubblica

    21 Luglio 2009 // Nessun commento »

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    di Paolo Michelotto

    traduzione di Emilio Piccoli

    2-1: L’assemblea pubblica
    L’assemblea pubblica è la più antica e la più semplice manifestazione di democrazia.
    Nell’Atene di Pericle (450-430 a. C) l’assemblea pubblica (ekklesia) era l’autorità suprema, che approvava leggi e prendeva decisioni di guerra e pace. L’assemblea pubblica ateniese non permetteva rappresentanze che acquisissero il suo ruolo o la sua autorità. Il principio di uguaglianza non era ancora apparso. Solo i “cittadini” (nel significato della parola di quell’epoca) erano ammessi all’assemblea pubblica; gli schiavi ne erano esclusi. All’epoca di Pericle c’erano circa 30 000 cittadini a fronte di 100-250.000 schiavi. Non tutti i cittadini avevano voti uguali: i possidenti avevano un ruolo maggiore.
    Assemblee pubbliche similari emersero in molti luoghi in Europa nel tardo Medioevo. Lecomte (1995, 2003) ad esempio descrive le consuetudini nella piccola città belga di Fosses-la-Ville, quando questa apparteneva alla diocesi del principato di Liegi. Conosciamo l’esatta organizzazione dell’amministrazione locale a Fosses-la-Ville da un documento del 11 dicembre 1447. La gestione quotidiana della città era svolta da un Consiglio Comunale che veniva eletto una volta all’anno.
    I capofamiglia della città si riunivano a questo scopo alla torre bassa porta di Fosses e designavano i membri del Consiglio Comunale con un voto a maggioranza semplice. Dopo il quindicesimo secolo, queste assemblee pubbliche venivano tenute in ogni quartiere, ma il sistema è rimasto comunque lo stesso. Non solo votavano i cittadini della città stessa, ma votavano pure gli “borghesi ambulanti”(non residenti che non godevano per nulla dei diritti di cittadinanza) che venivano dalla campagna circostante. L’adunata di cittadini in assemblea veniva chiamata “Généralité”. Essi non solo nominavano il Consiglio comunale ma avevano anche il potere di occuparsi di tutte le questioni importanti. Il Consiglio comunale non poteva prendere decisioni per conto proprio ma era tenuto a convocare una assemblea pubblica. Lecomte riassume i seguenti poteri che appartenevano intrinsecamente alle prerogative della “Généralité’:
    - emettere nuovi regolamenti e statuti
    - vendere o ipotecare beni e proprietà Comunali
    - importanti lavori pubblici
    - approvazioni dei conti di fine anno
    - imposizione di imposte
    Era compito del sindaco convocare la “généralité” ogni volta che era necessaria una decisione su uno di questi campi. Il compito del Consiglio comunale era essenzialmente esecutivo: era responsabile di curare le attività correnti, ma le nuove regole e le decisioni importanti dovevano essere sempre approvate direttamente dai cittadini. Lecomte correttamente sottolinea la differenza qualitativa tra il regime democratico-diretto di Fosses e il sistema attuale, in cui non sono i cittadini ma piuttosto i Consiglieri comunali a prendere le grandi decisioni: “… C’è una differenza essenziale tra il Consiglio della comunità medievale di Fosses e lo stesso Consiglio di oggi. Oggigiorno il Consiglio adotta regolamenti locali e stabilisce imposte comunali. Nulla di tutto ciò esisteva nel 15 ° secolo. Il potere di fare le leggi locali apparteneva essenzialmente alla “Généralité”, vale a dire all’assemblea generale dei cittadini chiamati a esprimere le loro opinioni su tutte le questioni che colpivano gli interessi della comunità cittadina non rientranti nell’ordinaria amministrazione. “(Lecomte, 2003, p. 154).
    Almeno l’85% dei Comuni svizzeri sono ancora oggi gestiti con l’assemblea pubblica (Kriesi 1992, p. 113). A livello cantonale l’assemblea pubblica (Landsgemeinde) ora esiste solo nell’Appenzell e nel Glarus. Queste assemblee datano a partire dalla fine del Medioevo (il più antico documento che contiene le decisioni prese da un Landsgemeinde risale al 1294) e forse sono storicamente legate all’antica tradizione germanica o scandinava del “Thing”.
    Il Landsgemeinde del cantone Appenzell Innerhoden si riunisce una volta l’anno nella piazza del mercato centrale nell’ultima domenica di aprile. Tutti i cittadini sopra i 18 anni possono partecipare (fino al 1992, l’età minima era 20). In genere si presentano tra il 25% e il 35% dei cittadini aventi diritto di voto che sono circa 3.000 persone. Se ci sono questioni controverse all’ordine del giorno questo numero di solito aumenta. Il voto è per alzata di mano, per cui l’abmehren (verifica di chi ha la maggioranza) a volte incappa in problemi.
    Oltre l’elezione del Standeskommission (consiglio direttivo), il Landamman (una specie di presidente del consiglio) e il Kantonsgericht (giudice cantonale), i punti obbligatori all’ordine del giorno del Landsgemeinde sono i seguenti:
    una eventuale modifica della Costituzione cantonale
    tutte le leggi o gli emendamenti allo Statuto che sono stati preparati dal Grosser Rat (letteralmente il ‘grande consiglio’)
    tutte le proposte per le nuove spese pubbliche sopra i 500.000 franchi svizzeri o spese rinnovabili di almeno 100.000 franchi l’anno per un periodo di almeno cinque anni (finanziamento referendum, dal 1976)
    leggi o emendamenti alla Costituzione cantonale proposti dai cittadini per i quali è sufficiente una firma
    se almeno un cittadino lo richiede: un voto su qualsiasi decisione di spendere almeno 250.000 franchi svizzeri o di almeno 50.000 franchi l’anno per un periodo di almeno cinque anni
    Pertanto, nessuna legge può entrare in vigore nell’ Appenzell Innerhoden senza che prima venga approvata dall’assemblea pubblica. Ogni cittadino ha diritto di parlare all’assemblea pubblica. Non vi sono restrizioni sul numero di oratori o sul tempo di parola. Nella prassi questo non causa alcun problema perché gli oratori sono concisi e arrivano al punto e non si ripetono uno con l’altro. (Hutter, 2001; Carlen, 1996).
    In diversi Stati nel nord-est degli Stati Uniti, esiste anche una tradizione amministrativa che si basa sulla cosiddetta “Open Town Meetings” (OTMs), che può essere fatta risalire direttamente ai Padri Pellegrini (Zimmerman, 1999). Il più alto organo amministrativo nella comunità non è un Consiglio comunale eletto ma una pubblica assemblea. L’ OTM fondamentalmente si riunisce una volta l’anno. Tutti gli elettori iscritti dalla comunità possono parlare e votare in assemblea. L’assemblea è convocata dal Board of Selectmen. Questo è un comitato i cui membri sono stati nominati in occasione della precedente seduta del OTM, e che opera come una sorta di esecutivo del OTM.
    I cittadini possono inserire punti all’ordine del giorno per la OTM. Ciò richiede: un centinaio di firme di elettori registrati, o (nei piccoli comuni) le firme di un decimo del numero di elettori iscritti. Il Selectmen stesso può inserire punti all’ordine del giorno, e includere voci che sono incubate dall’Amministrazione della città e da altri comitati e commissioni.
    Ai partecipanti all’OTM vengono fornite numerose informazioni. In alcuni Comuni l’OTM effettivo è inoltre preceduto da un pre-Town Meeting informativo, durante il quale i cittadini possono chiedere ulteriori informazioni riguardo ai temi all’ordine del giorno. Nel documento stesso si possono trovare consigli di varie commissioni su molti dei temi su cui deve essere espresso il voto. Il town consel, un avvocato specializzato in legislazione comunale, svolge un importante ruolo di consulenza nello stesso OTM.
    Si vota per alzata di mano oppure alzandosi in piedi, ma per argomenti delicati si passa allo scrutinio segreto. Un problema con lo scrutinio segreto è l’impiego di tempo (di solito tre quarti d’ora per il voto e il conteggio). Tuttavia il ricorso alla votazione a scrutinio segreto è essenziale per evitare la pressione sociale su argomenti controversi.
    Le decisioni dell’OTM possono essere sempre abrogate tramite referendum. In Massachusetts sono richieste le firme di 300 elettori iscritti e la decisione del OTM verrà abrogata se lo decide una maggioranza di almeno il 20% degli elettori registrati. In circostanze speciali possono essere convocati OTMs supplementari.
    Quanti cittadini presenziano al Town Meeting? Negli Stati Uniti è necessario registrarsi come elettore. Le percentuali indicate sono per i quattro Stati con OTMs completi: Maine: 28,17%; Vermont: 26,03%; New Hampshire: 22,60%; Massachusetts:11,89%. In realtà tali percentuali dovrebbero essere incrementate del 10% circa, dato che un decimo dei nomi sulle liste elettorali sono quelli di elettori che si sono nel frattempo trasferiti. Secondo l’indagine di Zimmerman (1999), il livello di partecipazione sembra dipendere in larga misura dalla dimensione della comunità. Nei Comuni con meno di 500 abitanti di solito sono presenti più di un terzo. Nel Connecticut in città con più di 20.000 residenti la partecipazione è pari a circa l’1 per cento (Zimmerman, p. 165; dati per il 1996). Frequenze molto basse sono state notate anche nelle comunità dove i poteri del Town Meeting sono limitati.
    Zimmerman (p. 173-174) ha intervistato funzionari comunali sulla qualità del dibattito nel OTM. In Massachusetts, 82% ha valutato la qualità come eccellente o buona, il 16% come ragionevole e il 2% come dubbia. Zimmerman ha inoltre chiesto loro di valutare la qualità delle decisioni. In Massachusetts l’86% dei funzionari ha considerato le decisioni ottime o buone, il 14% ragionevoli e l’ 1% incerte. Le cifre sono simili in altri Stati.
    Nella città sud-brasiliana di Porto Alegre, un nuovo sistema per la preparazione diretto-democratico del bilancio della città è diventato operativo tramite assemblee pubbliche dal 1989 (Abers, 2000). Questo sistema è stato introdotto dal Partido dos Trabalhadores ( Partito del lavoro) di sinistra, che ha ottenuto una significativa vittoria elettorale nel 1988. Alle assemblee pubbliche i residenti del quartiere decidono loro le priorità per investimenti su servizi pubblici ed eleggono i rappresentanti che poi a un livello più elevato – di quartiere e di città – organizzano e danno seguito alle decisioni prese con i servizi comunali. Oltre alle assemblee pubbliche locali vi sono anche incontri a tema, per esempio, su istruzione oppure l’economia e le tasse.
    Le assemblee pubbliche forniscono una vivacissima forma di democrazia diretta e sono sicuramente molto praticabili a livello locale. Tuttavia l’assemblea pubblica ha anche qualche svantaggio rispetto al referendum. L’assenza della votazione a scrutinio segreto è la più importante e basilare obiezione. Inoltre l’assemblea pubblica richiede un contributo individuale che viene fornito in un lasso di tempo specifico e quindi esclude più facilmente alcuni elettori dalla partecipazione.

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    016 Democrazia Diretta cap 2 Cos’è la democrazia? – In cerca dell’archetipo

    20 Luglio 2009 // Nessun commento »

    di Paolo Michelotto

    traduzione di Emilio Piccoli

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    La sfera d’autorità del referendum

    Deve essere possibile tenere un referendum su tutte le questioni per le quali è pure possibile una decisione rappresentativa. È in conflitto con il diritto di iniziativa negare ai cittadini il diritto di indirizzare il processo decisionale su determinate questioni. Comunque il processo decisionale diretto deve essere soggetto alle restrizioni che si applicano anche al processo decisionale rappresentativo.
    Tre punti sono particolarmente importanti in questo contesto:
    - Il processo decisionale deve avvenire al livello adeguato. Ad esempio non si può riformare il sistema di sicurezza sociale a livello provinciale o abolire la produzione di energia nucleare a livello comunale.
    - Le proposte per essere votate devono essere in conformità con i diritti fondamentali e di libertà stabiliti nella Costituzione e dai trattati internazionali sui diritti umani.
    - Tuttavia il popolo deve avere il diritto di cambiare la Costituzione con un referendum e gli deve essere dato anche il controllo diretto-democratico sull’ingresso nei Trattati. I Trattati devono essere sempre soggetti a un limite di tempo e possono essere disdetti. In ogni altro caso la sovranità popolare sarebbe limitata in modo inaccettabile.
    L’élite politica ha una forte tendenza, ispirata dalla mancanza di fiducia, ad escludere il processo decisionale diretto-democratico per certi argomenti. Si trova questo atteggiamento non solo tra i leader politici ma anche tra docenti universitari e professori. Un esempio è la “Raccomandazione formulata dal comitato scientifico della Commissione per il rinnovamento politico” (2000) per il comitato dei parlamentari belgi che si occupano di rinnovamento politico. In questo possiamo leggere: “Le questioni fiscali sono escluse da una votazione popolare in molti paesi; il motivo si basa sul giustificato timore che con il referendum o il consenso popolare la gente opterà quasi sempre per una riduzione delle spese che sopporta, laddove al tempo stesso chiede che il governo fornisca gli stessi o anche migliori servizi”. In seguito a ciò i professori sostengono l’esclusione delle questioni che riguardano esclusivamente o principalmente temi fiscali o di bilancio. La loro argomentazione non è soltanto anti-democratica, ma è anche falsa nella misura in cui essi non menzionano espressamente l’esempio contraddicente della Svizzera. Qui non ci sono restrizioni ai referendum su questioni fiscali, senza che ciò arrechi pregiudizio al bilancio nazionale (si vedano anche i capitoli 5 e 6).
    Diritto di petizione
    I più piccoli gruppi di cittadini (ad esempio lo 0,1% dell’elettorato, circa 45.000 firme in Gran Bretagna) devono essere in grado di sottoporre qualcosa all’ordine del giorno del Parlamento (diritto di petizione), anche se sono state raccolte firme insufficienti per ottenere un referendum. Questa è una diretta conseguenza della natura stessa del Parlamento: è l’istituzione in cui vengono prese le decisioni su questioni di rilevanza sociale su cui gli stessi cittadini non vogliono decidere. Il fatto che diverse migliaia di cittadini presentino una petizione rende già l’oggetto un problema di rilevanza sociale.
    Il diritto di petizione e il referendum di iniziativa dei cittadini sono collegati in una procedura multi-fase diretto-democratica. Una iniziativa popolare incomincia come una petizione di gruppo. Se per esempio sono 43.800 le firme raccolte, la proposta dei cittadini è inoltrata al Parlamento come una petizione. Se il parlamento approva la proposta, l’iniziativa si conclude. Negli altri casi l’iniziativa popolare può costringere a un referendum, se si ha un maggior numero di firme (ad esempio il 2% degli elettori, circa 900.000 in Gran Bretagna). Gli elettori devono quindi anche essere informati delle raccomandazioni e considerazioni del Parlamento, che certamente costituiscono una parte significativa del dibattito sociale. Al Parlamento può anche essere concesso il diritto di presentare una proposta alternativa in aggiunta alla proposta popolare. Poi, in occasione del referendum, gli elettori hanno la possibilità di scegliere fra tre alternative: lo status quo, la proposta popolare, ovvero l’alternativa parlamentare (questo tipo di sistema è in vigore in Svizzera e Baviera). Questo tipo di provvedimento può garantire un legame più stretto tra il Parlamento e la gente (si veda anche il capitolo 6, lettera e).

    Questa è la pubblicazione a puntate della traduzione in Italiano del libro Democrazia Diretta di Verhulst Nijeboer. Puoi aiutare il Emilio effettuando le eventuali correzioni e inviandole a piccoliemilio@gmail.com

    La versione in inglese che sta traducendo si trova qui:

    http://www.paolomichelotto.it/blog/2008/11/04/democrazia-diretta-un-testo-fondamentale/

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    015 Democrazia Diretta cap 2 Cos’è la democrazia? – Quorum di partecipazione

    19 Luglio 2009 // Nessun commento »

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    di Paolo Michelotto

    traduzione di Emilio Piccoli

    Quorum di partecipazione
    Visto il principio di mandato è assurdo introdurre quorum di partecipazione al processo decisionale diretto. I cittadini che non prendono parte ad una votazione sono considerati come avessero dato un mandato a coloro che vi partecipano. Se si introducono quorum alla partecipazione si apre la porta ad azioni di boicottaggio da parte delle minoranze. Supponiamo per esempio che vi sia un quorum di partecipazione del 40% e che il 60% degli elettori voglia votare. All’interno del gruppo desideroso di votare, il 55% sostiene la proposta oggetto del voto e il 45% vi si oppone. Gli oppositori non possono vincere la consultazione se prenderanno parte al referendum. Ma se rimangono a casa però possono ‘vincere’, perché allora il quorum del 40% non verrà raggiunto e la proposta verrà respinta contro la volontà della maggioranza [v. 2-2].
    Abbiamo visto che il mandato parlamentare non è che una forma derivata del mandato ricevuto dagli elettori effettivi nel processo decisionale diretto-democratico. Un Parlamento contiene in media solo il 0,003% della popolazione eppure esso può ancora prendere decisioni. Quindi non ha senso introdurre all’improvviso quorum di partecipazione del 20% o 40% per il “Parlamento ad hoc” formatosi con il referendum. L’errore che viene fatto con i quorum di partecipazione è che le persone che rimangono a casa sono computate o come sostenitori o come oppositori (a seconda del referendum). In realtà essi hanno scelto di non esprimere le proprie opinioni. Questo deve essere rispettato.
    Infine possiamo anche notare che l’affluenza ad un referendum non deve essere confrontata con l’affluenza alle elezioni. Nelle elezioni le questioni di ogni tipo sono all’ordine del giorno o manifeste nei partiti: quelle correnti e anche tutti i nuovi argomenti che potrebbero presentarsi nei prossimi quattro o cinque anni. Un referendum ha una sola questione specifica all’ordine del giorno, quindi è logico che l’affluenza a questo sia inferiore a quella per le elezioni.
    Talvolta vengono addotti argomentazioni per un quorum basso, proprio per evitare possibili boicottaggi. Comunque questo punto di vista è illogico. Un quorum o è così basso che è destinato ad essere raggiunto: allora per essere sicuri il boicottaggio viene escluso ma al tempo stesso il quorum è inutile oppure il quorum è così alto che è improbabile che venga mai raggiunto: quindi è possibile il boicottaggio. Non c’è una terza possibilità.
    Si deve anche ricordare che il quorum partecipativo è essenzialmente impossibile per elezioni parlamentari o per elezioni dei Consigli comunali. Del resto se un tale quorum non venisse raggiunto il sistema legislativo e amministrativo si fermerebbe completamente. Non ci sono buone ragioni per non avere il quorum per questo tipo di elezioni e insistere per averne uno per i referendum. Se al gruppo che prende la decisione di indire un referendum è richiesto di essere ’sufficientemente rappresentativo’, poi lo stesso obbligo deve valere a maggior ragione (anche più rigorosamente) per le elezioni parlamentari. Supponiamo che un quorum di partecipazione del 25% venga stabilito per un referendum e, allo stesso tempo non venga fissato nessun quorum per le elezioni parlamentari. Un referendum a cui partecipa il 20% dell’elettorato verrà dichiarato non valido. Ma un Parlamento, che viene eletto solo dal 5% dell’elettorato può ancora prendere decisioni “legittime” – decisioni fondate sulla partecipazione indiretta del 5% dei cittadini – mentre il risultato del referendum annullato può vantare una partecipazione diretta dei cittadini del 20%. Ciò è illogico. Inoltre il mandato che viene dato al Parlamento è di portata molto più ampia rispetto al mandato conferito agli elettori da parte di coloro che rimangono a casa durante un referendum. Dopo tutto non si può dire nulla con certezza su quali decisioni di grande portata verranno prese da tutti i membri del parlamento. Nel corso di una seduta parlamentare nuovi argomenti e disegni di legge, che non potevano essere previsti, vengono costantemente messi all’ordine del giorno.
    Infine alcuni sostenitori del quorum di partecipazione si riferiscono al cosiddetto rischio di ‘compartimentazione’. Con ciò si intende che i cittadini voterebbero solo per le questioni per le quali è interessato il proprio gruppo. Ad esempio in un referendum su di un progetto per trattare il letame voterebbe solo quella piccola parte della popolazione che sono allevatori di bestiame.
    Questa obiezione si basa sulla falsa premessa che le persone votino solo per difendere i propri interessi di gruppo. La realtà è diversa (si veda il capitolo 6, punto b). Nei paesi o Stati senza quorum di partecipazione, come la Svizzera e la California, non c’è alcuna evidenza di ‘compartimentazione’. I progressi nella pratica delle votazioni democratiche dirette rende qualsiasi ‘effetto di compartimentazione’ improbabile a priori. Ad esempio in qualsiasi referendum-day in Svizzera vi sono quasi sempre diverse questioni referendarie da votare simultaneamente. Questi referendum sono tenuti sulle più diverse discipline e non riguardano solo il livello federale e cantonale ma anche il livello municipale. Pertanto la gente non è di norma chiamata alle urne per l’interesse su di un’unica questione specialistica.
    Al contrario è il sistema parlamentare ad essere altamente esposto alla tentazione della compartimentazione. Interessanti esempi di ciò sono appunto il sistema di trattamento del letame od il divieto della pubblicità a favore del tabacco in Belgio. Gruppi d’interesse economico, tramite i loro contatti con un ristretto gruppo di membri “specializzati” del Parlamento, possono esercitare una pressione inaudita sul processo decisionale. Il processo decisionale diretto-democratico renderebbe molto più difficile, per tali gruppi d’interessi, giocare vincendo a man bassa.

    Il quorum nel Parlamento
    Talvolta il quorum di partecipazione ai referendum viene difeso mettendolo a paragone con quello vigente in molti Parlamenti. Le votazioni in seno al Parlamento sono spesso valide solo a condizione che almeno il 50% dei membri del Parlamento esprimano il loro voto. Per analogia una votazione popolare potrebbe essere valida solo a condizione che almeno il 50% delle persone esprimano il loro voto.
    Tuttavia l’analogia è falsa. Abbiamo visto che il Parlamento è logicamente equivalente a quelli che votano in un referendum e non con al numero totale di persone aventi diritto al voto. Un membro del Parlamento ha un contratto in corso con i cittadini: lui o lei ha intavolato questo contratto per un determinato periodo di tempo per portare avanti il processo decisionale sociale nella misura in cui i cittadini stessi non vogliono decidere. Pertanto il Membro del Parlamento (MP) deve essere in teoria sempre presente alle votazioni in Parlamento. Se lui o lei si allontana intenzionalmente, ciò costituisce una rottura del contratto con gli elettori. Il quorum del 50% in Parlamento è un debole riflesso di tale obbligo. Non è un buon accordo, perché opera a favore della polarizzazione tra maggioranza e minoranza in Parlamento. A sua volta questa polarizzazione è in contrasto con il contratto che intercorre tra i membri di minoranza del Parlamento e i loro elettori. Se questi membri del Parlamento fanno parte della minoranza, si può legittimamente sostenere che la loro presenza in parlamento è inutile: non possono mai influire sulle decisioni. Pertanto questi membri del Parlamento non sono in grado di onorare i propri contratti con gli elettori, il che non è colpa loro ma un effetto del loro isolamento da parte dei loro colleghi della maggioranza. Sarebbe meglio sostituire il quorum del 50% in Parlamento con una regola in cui l’assenza di un membro del parlamento venisse sanzionata con la rimozione e la sostituzione con un candidato non eletto di un altro partito.

    Questa è la pubblicazione a puntate della traduzione in Italiano del libro Democrazia Diretta di Verhulst Nijeboer. Puoi aiutare il Emilio effettuando le eventuali correzioni e inviandole a piccoliemilio@gmail.com

    La versione in inglese che sta traducendo si trova qui:

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    014 Democrazia Diretta cap 2 Cos’è la democrazia? – Parlamento e referendum

    18 Luglio 2009 // Nessun commento »

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    di Paolo Michelotto

    traduzione di Emilio Piccoli

    Parlamento e referendum
    Perciò il sistema rappresentativo puro non può essere considerato come veramente democratico. Tale sistema necessita, a priori, l’impiego di un processo decisionale d’élite e apre la possibilità d’introdurre leggi contrarie alla volontà popolare.
    Ciò nonostante, il sistema rappresentativo può funzionare ragionevolmente bene in una situazione particolare. Quando la grande maggioranza degli elettori approva un sistema rappresentativo puro e se, inoltre, la maggioranza dei cittadini si identifica principalmente con uno dei partiti politici esistenti, il sistema rappresentativa puro è ragionevolmente legittimo (perché esso è desiderato dai cittadini). Questa situazione si è forse verificata in misura più o meno grande in molti paesi occidentali fino a al 1960 circa.
    Ma i tempi sono cambianti. La maggioranza dei cittadini vuole i referendum e la maggiore parte delle persone non si identifica più espressamente con un partito politico o l’altro (cfr. riquadro 1). Il sistema del processo decisionale politico resta invariato, ma il deficit democratico è ancora notevolmente in aumento, perché in questo sistema la capacità della gente di esprimere le proprie convinzioni sociali continua ad essere erosa.
    Ciò può essere risolto solo con l’introduzione del referendum obbligatorio di iniziativa dei cittadini. Insieme al sistema rappresentativo, il referendum obbligatorio di iniziativa dei cittadini è in grado di produrre un sistema che, da un lato, contiene le caratteristiche essenziali della pubblica assemblea (uguaglianza, diritto di iniziativa, regola maggioritaria, principio di mandato) e, dall’altro , è ancora utilizzabile in una società moderna. Però poi dobbiamo introdurre alcuni nuovi principi che stabiliscano come i processi decisionali rappresentativi e diretto-democratici interagiscono reciprocamene. In particolare, se vogliamo mantenere il vantaggio essenziale della democrazia rappresentativa (voto popolare non su ogni questione), i cittadini devono essere tenuti a dimostrare un interesse attivo nel processo decisionale diretto. Il Parlamento, o l’organo rappresentativo, verrebbe considerato in possesso di un mandato per tutte quelle questioni sulle quali i cittadini non rendono attivamente manifesto il loro desiderio per il processo decisionale diretto.
    Pertanto, se un gruppo di cittadini vuole ottenere un referendum su una certa questione, essi devono dimostrare che effettivamente esiste tra la gente un chiaro desiderio per il processo decisionale diretto. In pratica, questa prova è fornita mediante la raccolta di firme per richiedere un referendum. In Svizzera, per esempio, si tiene un referendum a livello federale se il 2% degli elettori ne fa richiesta.
    Gerarchia delle leggi
    Una legge che viene approvata con un referendum deve essere superiore nella gerarchia giuridica alle leggi approvate dal Parlamento. C’è una disposizione supplementare che una legge approvata direttamente dal popolo non può essere successivamente buttata via dal Parlamento. Dopo tutto, se si tiene un referendum, ciò significa che le persone vogliono esprimere le proprie opinioni in merito alla questione in esame. Con il referendum il mandato democratico è quindi posto nelle mani degli elettori e non in quelle dei membri del Parlamento.
    In Svizzera questa superiorità della legge del popolo è disciplinata a livello federale includendo la legge popolare come parte della Costituzione. Poiché la Costituzione svizzera può essere modificata solo attraverso un referendum, ciò significa che una decisione del popolo non può essere abolita che da un’altra decisione del popolo. C’è lo svantaggio però che la Costituzione svizzera si è sviluppata in uno strano miscuglio di disposizioni generali (come quelli che di solito tendono a comparire in una costituzione) e disposizioni molto specifiche (che sono normalmente regolate con leggi ordinarie).
    Che possano sorgere gravi problemi su questo punto è dimostrato con l’esempio dell’Oregon. In questo Stato USA esiste il referendum obbligatorio di iniziativa dei cittadini ma con maggioranza semplice il Parlamento statale può abolire le leggi che sono fatte con un referendum. Questo è accaduto realmente. Nel 1988, per esempio, fu portata un’iniziativa popolare che prevedeva una pena detentiva più lunga per i criminali violenti. Questa legge è stata successivamente abrogata dalle Camere legislative.
    Un iniziativa popolare è stata lanciata in seguito (misura 33), nel tentativo di prevenire questo genere di evento. Essa proponeva quanto segue:
    - le leggi create sulla base di una iniziativa popolare possono essere cambiate solo nei primi cinque anni da un’altra iniziativa popolare;
    - dopo cinque anni, un cambiamento può essere fatto solo se ottiene almeno il 60% dei voti in entrambe le Camere legislative (Senato e Camera dei Rappresentanti).
    Tuttavia la proposta venne respinta con un solo stretto margine nel novembre del 1996.

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    013 Democrazia Diretta cap 2 Cos’è la democrazia? – Il rapporto tra referendum e processo decisionale parlamentare

    17 Luglio 2009 // Nessun commento »

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    di Paolo Michelotto

    traduzione di Emilio Piccoli

    Il rapporto tra referendum e processo decisionale parlamentare
    L’introduzione del Parlamento rappresentativo solleva un nuovo problema. Come si a a determinare quali sono le questioni su cui i cittadini vogliono decidere ancora direttamente?
    I sostenitori del sistema rappresentativo puro hanno pronta la loro risposta. Loro sostengono che il Parlamento è plenipotenziario e rifiutano il referendum. Ciò danneggia gravemente il principio di sovranità popolare incluso nell’archetipo della democrazia. Così nel sistema rappresentativo puro è ancor più possibile che passino leggi volute da un élite, ma che sono respinte dalla maggioranza. Non appena il Parlamento si è insediato può agire liberamente contro la volontà della maggioranza. Il diritto di iniziativa, che scaturisce direttamente dal principio di uguaglianza, viene abrogato.
    I difensori del “sistema rappresentativo puro” giustificano questo sistema con due argomenti principali.

    Un mandato imposto non è affatto un mandato
    Innanzi tutto i difensori del «sistema rappresentativo puro» dichiarano che i cittadini danno un mandato a quelli che vengono eletti e che, di conseguenza, questi ultimi ora possiedono il diritto di decidere.
    Così facendo essi ignorano il fatto che questo tipo di mandato imposto crea una contraddizione interna. Un mandato legittimo, proprio come un dono legittimo, può essere dato solo volontariamente. Questa volontarietà significa anche che il cittadino deve essere libero di non affidare un mandato, ma di optare per il processo decisionale diretto tramite referendum. Un mandato imposto è un finto mandato.
    Un’analogia può chiarire ciò. Immaginatevi di essere trattenuti di notte da cinque aggressori che pretendono il vostro portafoglio. Tuttavia questi vi lasciano scegliere a quale aggressore lasciare il vostro denaro. Per pura necessità voi consegnate il vostro denaro al meno sgradevole, che più tardi viene arrestato dalla polizia. Poi, durante il confronto, l’uomo vi dice :”Io non affatto rubato il portafoglio, tu mi hai dato il portafoglio di tua propria spontanea volontà. Dopo tutto, eri assolutamente libero di non darmi il portafoglio “. E’ ovvia la perversità di questa argomentazione. Siete stati davvero liberi sia di dare che di non dare il denaro a questa specie di farabutto. Ma siete stati ad ogni modo costretti (dal furfante in oggetto, tra gli altri) comunque a cedere il portafoglio – contro la vostra volontà. Vi è stata negata la libertà di tenervi il portafoglio. Sostituite i ladri in questa analogia, con i partiti politici, e il portafoglio con il vostro diritto di partecipare direttamente al processo decisionale, e ottenete l’argomentazione a favore del processo decisionale rappresentativo puro. Proprio come la libertà di cedere il portafoglio era una falsa libertà, il mandato in un sistema rappresentativo puro è un falso mandato, proprio perché è imposto. In questo contesto Friedrich Nietzsche ha scritto: “Il Parlamentarismo, vale a dire il permesso ufficiale di poter scegliere tra cinque questioni politiche, è benvoluto da quelli che appaiono indipendenti e singolari e vorrebbero combattere per le loro opinioni. Comunque alla fine è uguale se alla mandria è stata imposta un’opinione o che le siano permesse cinque opinioni.”(Nietzsche, 1882, 1999, p. 500)
    Il concetto di “democrazia rappresentativa pura” è una contraddizione in termini (comparabile con il termine cerchio quadrato), soprattutto se la maggior parte delle persone vogliono il processo decisionale diretto. Se la maggioranza della popolazione vuole il processo decisionale diretto, un sistema rappresentativo puro è antidemocratico per definizione, perché, per sua natura, tale sistema è in contrasto con la volontà della maggioranza (in quanto essere quadrato implica la presenza di angoli, un cerchio non può essere, per definizione quadrato, perché il cerchio – per sua stessa natura – non ha angoli).

    Fondare un proprio partito
    I sostenitori del processo decisionale rappresentativo puro hanno anche una seconda argomentazione. Essi dicono anche che ognuno è libero di creare un partito da solo e candidarsi per un seggio parlamentare.
    Però questa risposta non tiene conto del principio di sovranità del popolo. La sovranità popolare ha inizio con l’opportunità della gente di essere in grado di determinare come viene presa una decisione. E’ molto probabile che la grande maggioranza della popolazione voglia esprimere direttamente la propria opinione su una questione specifica, mentre solo pochissime persone aspirano ad avere un seggio in parlamento. In una democrazia ciò deve essere rispettato. Chiunque decreti contro la volontà della maggioranza, che il processo decisionale diretto non è consentito e che i cambiamenti si devono ottenere prendendo un posto in parlamento, si pone al di sopra e in opposizione al popolo e viola la sovranità del popolo. Se il popolo vuole decidere su una questione specifica, e questo gli è reso impossibile, allora evidentemente il popolo non sta esercitando il potere. Quando una élite rifiuta alla maggioranza dei cittadini la possibilità desiderata di prendere decisioni direttamente, e propone la creazione di un partito come una ‘alternativa’, allora si sta trattando la maggioranza con atteggiamento di sufficienza e non c’è più una questione di democrazia.
    Una ricerca sul motivo del comportamento elettorale mostra senza mezzi termini che la maggioranza degli elettori non vota solamente perché essi vogliono affidare un mandato [v. 2-2]. La maggioranza degli elettori vota in modo strategico: dato l’attuale sistema, quali leader sembrano essere meno dannosi? Se i voti venissero effettivamente espressi in uno spirito di assegnazione democratica dei mandati, l’attuale sfiducia della gente nei confronti dei loro Parlamenti – che i sondaggi in tutta Europa ripetutamente evidenziano – sarebbe del tutto inspiegabile. Non vi sono mandatari nel vero senso della parola seduti in Parlamento; ma ci sono leader che vengono eletti al posto di altri dagli elettori semplicemente perché l’elettorato è in questo momento costretto a eleggere qualcuno e vota solo per la persona (o partito) meno in grado di fare danni.
    Pertanto c’è una differenza fondamentale tra i partiti politici che sostengono l’iniziativa referendaria dei cittadini obbligatoria e quelli che resistono alla sua introduzione. Questi ultimi devono essere considerati come interessati al potere. Solo quei partiti che sostengono incondizionatamente l’introduzione del referendum obbligatorio di iniziativa dei cittadini possono essere considerati autenticamente democratici, in senso letterale, che lottano per una autentica forma di ‘potere della gente’.

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    012 Democrazia Diretta cap 2 Cos’è la democrazia? – Democrazia Rappresentativa

    16 Luglio 2009 // Nessun commento »

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    di Paolo Michelotto

    traduzione di Emilio Piccoli

    Democrazia rappresentativa
    Ma il referendum ha anche i suoi limiti. Non possiamo tenere un referendum su ogni problema: i costi per la società del processo decisionale diretto sarebbero semplicemente troppo elevati. Non solo ogni referendum costa caro. Ancora più importante è il fatto che ogni referendum esige tempo e sforzo da parte dei cittadini: essi devono impiegare le loro migliori energie mentali per formarsi un’opinione circa la questione che è in discussione, e poi dare il loro voto.
    Naturalmente i cittadini sovraffaticati possono astenersi dal voto nel referendum e, così facendo, danno mandato a coloro che votano. Se ci sono troppo poche persone interessate però, questa procedura è perfino inutile. E’ assurdo organizzare un referendum nazionale su una questione per la quale alla fine manifestano interesse solo una manciata di elettori. Non solo è irrealizzabile la pubblica assemblea, ma anche l’uso sistematico del referendum diventa impraticabile.
    Pertanto si deve trovare un’altra soluzione. La questione essenziale in questo contesto è: quando il referendum è un metodo inopportuno per prendere decisioni, chi prenderà allora effettivamente tali decisioni? Il problema del mandato con il referendum normalmente si risolve da sé: quelli abilitati al voto e chi in effetti vota ricevono il mandato dalla società. Poiché ognuno è libero di accettare o meno tale mandato, il principio di uguaglianza non viene violato. Ma a chi viene dato il mandato, se il referendum non ha luogo?
    La democrazia rappresentativa costituisce essenzialmente una tecnica per risolvere tale problema di mandato. La democrazia rappresentativa deve essere messa in atto quando i cittadini hanno troppo poco tempo o interesse a cooperare per una decisione che deve essere ancora presa. I costi per la società per un referendum su ogni singolo oggetto sono, a un certo punto, secondo gli stessi cittadini, troppo alti in proporzione ai benefici democratici (accesso diretto al processo decisionale per ogni cittadino). Questo è il motivo per cui i cittadini nominano un parlamento fisso per diversi anni; esso riceve il mandato di decidere su tutte le questioni che i cittadini non vogliono decidere direttamente. L’elezione del parlamento è quindi un tipo particolare di decisione democratica diretta: i cittadini decidono chi deciderà, e a quali condizioni, in merito alle questioni per le quali il popolo desidera delegare il mandato.
    Il mandato ricevuto dal Parlamento è pertanto, una speciale manifestazione del mandato conferito dall’intera comunità ai votanti effettivi nel processo decisionale democratico diretto. Nel processo decisionale democratico-diretto (referendum), gli elettori effettivi operano come se fossero un enorme Parlamento ad hoc che è incaricato di decidere sull’oggetto. L’unica differenza con il processo decisionale rappresentativo (voto in Parlamento) è che il parlamento ha ricevuto il suo mandato un po’ di tempo prima del voto, e il mandato è conferito per un determinato periodo di tempo. E’ chiaro che questa separazione tra mandante e decisore non è fondamentale. Ma è però essenziale per capire che il Parlamento e la comunità degli elettori in un referendum hanno la stessa base sia logica che formale.

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    011 Democrazia Diretta cap 2 Cos’è la democrazia? – Dall’assemblea pubblica al referendum

    15 Luglio 2009 // Nessun commento »

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    di Paolo Michelotto

    traduzione di Emilio Piccoli

    Dall’assemblea pubblica al referendum
    Fino a qui abbiamo raggruppato i seguenti elementi che sono componenti irrinunciabili per il funzionamento della pubblica assemblea e che possiamo considerare come componenti dell’ “archetipo della democrazia’:
    - il principio di uguaglianza;
    - il principio di sovranità popolare (non c’è autorità superiore al popolo);
    - la regola maggioritaria;
    - il principio del mandato.
    La pubblica assemblea non è praticabile in un moderno Stato democratico ad eccezione del livello locale. Ma questo non è un problema. La pubblica assemblea, in quanto simbolo di democrazia, può tranquillamente essere abbandonata. Ciò che è essenziale è che gli elementi fondamentali dell’archetipo della democrazia vengano conservati. La pubblica assemblea è solo una delle possibili manifestazioni dell’archetipo sottostante.
    Il modello della pubblica assemblea ha i suoi limiti. Oltre una certa dimensione della popolazione, la piazza diventa semplicemente troppo piccola. Di conseguenza, il dibattito pubblico deve aver luogo da qualche altra parte: attraverso i media, attraverso riunioni di quartiere, ecc. Il dibattito durerà più a lungo e sarà di natura meno diretta. Questo è più un vantaggio che uno svantaggio. C’è più tempo per la consultazione, più possibilità di intravedere false argomentazioni. Inoltre, non ci sarà più il voto per alzata di mano, ma nella ‘privacy’ della cabina elettorale. Questo tipo di votazione a scrutinio segreto è innegabilmente un grande vantaggio: ognuno può esprimere il suo parere libero da pressioni sociali.
    Attraverso queste due modifiche, la pubblica assemblea si trasforma in un referendum. Un referendum è essenzialmente una pubblica assemblea in cui i partecipanti non si incontrano fisicamente. Ma, allo stesso tempo, l’iniziativa referendaria dei cittadini conserva ancora tutte le caratteristiche essenziali della pubblica assemblea: il principio di uguaglianza, il diritto di iniziativa, la regola maggioritaria e il principio del mandato.
    È interessante notare che in termini storici – in particolare in Svizzera – anche questo passaggio da pubblica assemblea a referendum si verificò per iniziativa pubblica: “In molti Cantoni, il referendum e i dispositivi di iniziativa furono visti come un sostituto accettabile per le assemblee comunali cantonali dirette ‘Landsgemeinden’. La crescita della popolazione aveva reso questo tipo di pubblica assemblea impraticabile. In alcuni Cantoni, come Schwyz e Zug nel 1848, la sostituzione fu immediata e diretta; introdotto il referendum, il Landsgemeinde fu messo da parte.”(Kobach, 1994, p. 100-101)

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    raccogliere firme per i referendum deve diventare facile come in Svizzera e in USA

    14 Luglio 2009 // 1 Commento »

    di Paolo Michelotto

    il mattino

    il mattino

    grazie ad un amico svizzero ho ricevuto una copia di un giornale domenicale locale del Cantone Ticino. Sull’ultima pagina del giornale c’era stampato il modulo per raccogliere firme per un referendum. Al di là del quesito referendario che potrà non piacere a molti italiani e al partito che lo propone, la Lega dei Ticinesi, ho creato questo post per mostrare a noi italiani quanto facili sono le procedure in Svizzera per raccogliere firme per i referendum. Il giornale si trova qui:

    http://www.mattinonline.ch/

    Da noi occorrono fogli di una certa misura, di un certo colore, vidimati dal segretario comunale, con le firme autenticate da un notaio o un rappresentante eletto.

    In Svizzera, ma la stessa cosa accade anche negli USA, le firme si raccolgono su fogli di qualsiasi formato, stampati sui giornali, disponibili su internet, senza vidimazioni, senza autenticatori. Ma seguendo le leggi riguardanti i referendum. E una di questa dice che “chiunque si rende colpevole di corruzione attiva o passiva oppure altera il risulato della raccolta delle firme è punibile secondo l’articolo 281 e rispettivamente 282 del Codice penale”.

    modulo raccolta firme

    modulo raccolta firme

    Ossia la raccolta è resa molto facile, ma chi imbroglia e viene scoperto subisce conseguenze penali.

    La democrazia dovrebbe essere così anche in Italia, facilitata al massimo per chi inizia gli strumenti di democrazia diretta, molto rigorosa per chi sgarra e tenta di imbrogliare.

    Funziona così in Svizzera e negli USA. Mentre per la Svizzera qualcuno poteva dire “eh sono svizzeri!”, per gli USA questa affermazione non vale più. Per esempio la revoca del Governatore della California Davis nel 2003 è iniziata raccogliendo firme (ne servivano 800.000) su fogli simili a questi, fatti circolare per internet e a mano nelle varie città.

    Postato in democrazia diretta USA, democrazia svizzera

    010 Democrazia Diretta cap 2 Cos’è la democrazia? – I principi della pubblica assemblea

    13 Luglio 2009 // 1 Commento »

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    di Paolo Michelotto

    traduzione di Emilio Piccoli

    I principi della pubblica assemblea
    Certi principi sono insiti in ogni assemblea democratica pubblica.

    Il principio di uguaglianza
    Il principio di uguaglianza costituisce le basi della pubblica assemblea: tutti i membri maturi (nel senso di responsabili) della comunità possono prendere parte alla pubblica assemblea e viene loro accordato ugual peso nel processo decisionale.
    Non è facile basare questo principio di uguaglianza su un principio positivo. Però è molto facile istituire il principio di uguaglianza in modo negativo. Dopo tutto, l’ideale democratico si basa sul principio fondamentale che non c’è autorità superiore a quella del popolo. Per definizione, questo principio implica che tutti appaiano uguali. Se alcuni di coloro che partecipano hanno un peso maggiore rispetto agli altri nel processo decisionale, solo in virtù di quello che sono, ci ritroviamo nuovamente nell’oligarchia.
    Quindi il voto di ogni persona matura ha lo stesso peso. La storia della democrazia nel XX secolo è stata in gran parte una battaglia su questo principio, una battaglia che si è svolta principalmente su tre fronti: il sistema del suffragio universale (in cui ogni persona, indipendentemente dai suoi possedimenti, età o competenza riceve un voto uguale); il diritto di voto delle donne; e il diritto di voto indipendente da caratteristiche biologiche connotanti (ad esempio, diritto di voto per la gente di colore in Sudafrica).

    Il diritto d’iniziativa
    Il diritto di iniziativa significa che ogni membro dell’assemblea pubblica ha un uguale diritto di presentare proposte. Pertanto l’ordine del giorno dell’assemblea pubblica non viene stabilito da un’élite.
    Il diritto d’iniziativa non è nient’altro che una applicazione particolare del principio di uguaglianza. Ciò non significa che la presentazione delle proposte non possa essere sottoposta a regole. Ad esempio, tali regole potrebbero specificare che una proposta venga presentata entro quattordici giorni prima della riunione o che ogni proposta venga sottoscritta almeno da cento membri della riunione. Il punto essenziale rimane che le regole siano le stesse per tutti.

    La regola maggioritaria
    Nella situazione ideale, c’è unanimità: tutti concordano su una proposta. Tuttavia l’unanimità di solito non viene raggiunta. Questo è il motivo per cui viene usata la regola della maggioranza. É una conseguenza del principio di uguaglianza e scaturisce dal desiderio di minimizzare il disordine: applicando la regola della maggioranza si ottiene il numero minimo di persone insoddisfatte. Si potrebbe anche sostenere che qualsiasi altra soluzione diversa dalla regola della maggioranza semplice nega sostanzialmente il principio di uguaglianza. Del resto se operiamo con una maggioranza qualificata (es. due terzi) ciò significa che una minoranza può negare la volontà della maggioranza – per esempio se il 60 per cento vuole l’opzione A e il 40 per cento vuole l’opzione B.
    La regola della maggioranza ha una dimensione esistenziale. Nell’accettare questa regola, riconosciamo i difetti umani. L’esistenza di una minoranza dimostra che la discussione e il processo di formazione delle idee sono stati incompleti. Allo stesso tempo il principio di maggioranza ci ricorda il fatto che la democrazia deve essere sempre percepita come un processo storico. La minoranza di oggi può essere la maggioranza di domani. La maggior parte delle nuove idee inizialmente incontra resistenza e rifiuto, ma di solito possono essere accettate in seguito. La regola della maggioranza può funzionare in modo veramente corretto solo quando è sufficientemente storicamente assimilata nella società o nella comunità. Quando una decisione presa da una maggioranza contro una minoranza viene percepita da quella stessa maggioranza come un “trionfo” assoluto, fuori da ogni significato storico, la qualità della democrazia ne soffre.
    La regola della maggioranza è in contrasto con tutte le tendenze elitariste. I movimenti autoritari non riconoscono la regola della maggioranza. Essi promuovono sempre l’una o l’altra immagine di un ‘ “avanguardia” o di una élite che può imporre la sua volontà alla maggioranza. I leninisti parleranno del ruolo di punta del partito comunista e della dittatura del proletariato. I nazional-socialisti punteranno su élite basate su caratteristiche razziali. I fondamentalisti religiosi rifiuteranno la parità di diritti per donne e dissidenti, anche se essi costituiscono la maggioranza.
    In una forma attenuata, ma anche così molto reale, questo principio elitario è presente anche tra i fautori della cosiddetta democrazia rappresentativa. Dewachter (1992,p. 70)) la mette come segue : “In accordo al concetto base di ‘democrazia parlamentare’, le decisioni vengono prese da una selezione di ‘Prìncipi filosofi’. Rappresentativamente distribuiti per tutto l’intero territorio, viene eletto un campione di rappresentanti del popolo. Tuttavia, i membri eletti stessi non sono i più rappresentativi; non sono una media, ma sono i migliori. Il Parlamento è l’assemblea dei migliori della Nazione.” L’ex ministro della Giustizia della Repubblica federale tedesca, Thomas Dehler, ha espresso questo come segue: “A mio parere, si tratta di un malinteso sulla natura della democrazia nel credere che il Parlamento sia l’esecutore della volontà popolare. Penso che la natura della democrazia rappresentativa sia una cosa ben diversa: in realtà è una aristocrazia parlamentare. I membri del Parlamento hanno il dovere e l’opportunità di agire con un maggiore discernimento, una conoscenza superiore, rispetto a quello del singolo cittadino “. (Citato da Dewachter, 2003, p. 30)
    Per questa chiara espressione dell’idea elitarista che sta dietro alla democrazia rappresentativa pura, Dehler non solo è stato applaudito dai cristiano-democratici, ma anche dai liberali e dai socialisti. In tale contesto, la differenza con i sistemi totalitari è che, in un sistema parlamentare puro, l’élite deve ottenere dai cittadini una maggioranza formale. Comunque, ciò che il sistema parlamentare puro e il totalitarismo hanno in comune è che essi permettono l’attuazione di leggi contro la volontà della maggioranza del popolo.

    Il principio del mandato
    L’unanimità costante è irraggiungibile in una democrazia. Questo è il motivo per cui la regola maggioritaria fa parte “dell’archetipo” democratico. Ma c’è ancora un altro problema. La partecipazione universale nel processo decisionale democratico sarà comunque irrealizzabile. Ci saranno sempre membri della comunità che non vorranno partecipare per decidere su certe questioni: perché non hanno il tempo, perché ritengono di avere conoscenze insufficienti, o perché hanno altri motivi per non farlo. Così, in aggiunta alla regola maggioritaria, è stato introdotto anche la regola del mandato: coloro che non partecipano alla pubblica assemblea sono considerati come datori di un mandato a coloro che vi partecipano.
    La regola del mandato non può essere evitata con l’imposizione del voto obbligatorio o della presenza obbligatoria (perdi più tale presenza obbligatoria non è nemmeno auspicabile, si veda il riquadro 6-2). Anche se viene decretato per legge che tutti i membri della comunità debbano partecipare alla pubblica assemblea, deve essere sempre fatto un accordo per coloro che non rispettano tale obbligo. Le decisioni della pubblica assemblea saranno sempre vincolanti anche per gli assenti.
    Così il principio del mandato non ha nulla a che fare con la differenza fra processo decisionale rappresentativo e processo decisionale democratico-diretto. Il principio del mandato è una conseguenza diretta del fatto che le leggi, per definizione, si applicano a tutti i membri della comunità. In altre parole: non posso negare che una qualsiasi legge si applichi a me personalmente argomentando che non ho partecipato alla creazione della legge. Con la rinuncia alla partecipazione al processo decisionale sulla legge, io vengo automaticamente considerato come se avessi dato un mandato a chi ha preso effettivamente la decisione. Senza questo principio ogni individuo potrebbe sottrarsi all’ applicabilità delle disposizioni legislative a loro propria discrezione.
    Quindi in un processo decisionale democratico-diretto tramite pubblica assemblea, formalmente ci sono sempre due decisioni da prendere:
    - primo, viene presa una decisione di mandato: ogni cittadino decide di partecipare personalmente al ‘parlamento ad hoc’ che prenderà la decisione, oppure di dare mandato ai concittadini (solo se non partecipa);
    - secondo, la pubblica assemblea decide allora sulla questione in discussione.

    Questa è la pubblicazione a puntate della traduzione in Italiano del libro Democrazia Diretta di Verhulst Nijeboer. Puoi aiutare il Emilio effettuando le eventuali correzioni e inviandole a piccoliemilio@gmail.com

    La versione in inglese che sta traducendo si trova qui:

    http://www.paolomichelotto.it/blog/2008/11/04/democrazia-diretta-un-testo-fondamentale/

    Postato in Democrazia Diretta Verhulst

    presentazione sulla democrazia diretta fatta a Rovereto 3/07/09

    12 Luglio 2009 // Nessun commento »

    di Paolo Michelotto

    la prima parte della presentazione con proiettore sulla Democrazia Diretta, fatta a Rovereto durante la serata in cui Marco Boschini presentava il suo libro “L’Anticasta”

    E’ la prima parte, fino alla descrizione dell’esperienza svizzera, statunitense e bavarese.

    Postato in democrazia diretta, democrazia diretta USA, democrazia diretta germania, democrazia svizzera

    Le liste civiche e la democrazia partecipativa: Milano 18 ottobre 2009

    10 Luglio 2009 // Nessun commento »

    benecomune

    benecomune

    di Paolo Michelotto

    giro l’email informativa dell’incontro a cui parteciperò anch’io, predisposta da Dario Rinco:

    La lista civica nazionale Per il Bene Comune-Lombardia, allo scopo di creare una connessione e una collaborazione sinergica di intenti ed obiettivi tra le liste civiche e le forze politiche che vogliono essere realmente rappresentative della volontà dei cittadini, organizza per domenica 18 ottobre 2009 a Milano un incontro sul tema:

    LE LISTE CIVICHE E LA DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA

    La sede, per adesso, sarà in Largo corsi dei servi presso Chiamamilano dalle ore 17:00 alle ore 20:00 (è facilmente raggiungibile con le linee metropolitane 1, rossa, e 3, gialla, essendo in centro città).
    In caso di adesioni superiori al previsto, abbiamo un’altra sala piu’ capiente.

    Fare rete tra le mille liste civiche, che si riconoscono realmente con i beni comuni dei propri territori, per rendere più efficaci le iniziative singole e portare ad una amministrazione più legata alla reale volontà e al controllo da parte dei cittadini grazie alla Democrazia Partecipativa.

    - Democrazia partecipativa: quali potenzialità ha? Quali sono gli ostacoli alla sua affermazione e cosa potremmo fare per diffonderla a livello comunale?

    - Referendum comunali senza quorum: relatore Paolo Michelotto (www.paolomichelotto.it) viaggio nella democrazia diretta e partecipata che funziona nel mondo. Dopo un esperimento concreto di democrazia partecipata che coinvolgerà i presenti, verranno illustrati con una video presentazione gli esempi dove la democrazia funziona. I referendum e le iniziative senza quorum della Svizzera, degli USA e della Baviera, la revoca degli eletti, i town meeting del new England, i town meeting del 21° secolo, le assemblee dei cittadini estratti a sorte del Canada.
    Concluderà la panoramica, una riflessione su quale percorso attivare per introdurre gli strumenti di democrazia diretta e partecipativa nei comuni e nelle provincie;

    - Per il Bene Comune: quale progetto e quali iniziative da parte dell’unico movimento politico fuori dagli schemi dei partiti.

    Sei invitato a partecipare all’evento e ti chiederei di inviaci al piu’ presto la tua adesione specificando:

    - n.° dei partecipanti;
    - comune di provenienza.

    Inoltre se vuoi fare un tuo intervento, della durata massima di 5 minuti, inviaci l’oggetto dell’argomento stesso al fine di predisporre una scaletta per temi analoghi.

    Se ritieni che altri tuoi amici e/o conoscenti possano essere interessati all’incontro, non esitare ad inoltrare questa mail.

    In attesa di un tuo gradito cenno di riscontro, ti saluto caramente.
    Dario Rinco

    Per il Bene Comune
    http://www.perilbenecomune.org

    Postato in appuntamenti, democrazia, italia

    presentazione proposta di legge nazionale sulla Democrazia Diretta

    8 Luglio 2009 // 1 Commento »

    oskar_peterlini

    oskar_peterlini

    di Paolo Michelotto

    riporto un invito alla presentazione del 15 luglio 2009 a Roma della proposta di legge sulla DD di Oskar Peterlini che si trova qui:

    http://www.paolomichelotto.it/blog/2009/04/05/progetto-di-legge-del-sen-peterlini-per-introdurre-il-referendum-stile-svizzero-in-italia/

    I senatori Milena Adamo, Oskar Peterlini e Donatella Poretti sono lieti di invitare le redazioni giornalistiche e radiotelevisive alla presentazione dei loro disegni di legge costituzionali sulla modifica dell’istituto del referendum e sull’introduzione di nuovi strumenti di democrazia diretta, che si terrà:
    mercoledì 15 LUGLIO 2009, alle ore 12.00
    Sala Conferenza Ex Hotel Bologna – Senato della Repubblica
    Via di S. Chiara 5, Roma

    Oltre ai Senatori primi firmatari dei ddl costituzionali interverranno:

    - Giuseppe Strano, portavoce del “Coordinamento per la Democrazia Diretta”
    - Leonello Zaquini, rappresentante del gruppo “Officina Democrazia”
    - Thomas Benedikter, rappresentante del direttivo “Iniziativa per più democrazia/Alto Adige”
    - Stephan Lausch, coordinatore dell’ “Iniziativa per più democrazia/Alto Adige”
    La crisi della politica e la perdita di fiducia nelle istituzioni, dimostrano che gli strumenti di cui oggi dispongono i cittadini per attivarsi sulle questioni di loro interesse non sono sufficienti.
    Tramite la modifica dello strumento referendario e la previsione di nuove forme di democrazia diretta, i presentatori dei ddl costituzionali intendono garantire strumenti più efficaci per favorire la partecipazione attiva dei cittadini alla vita pubblica e politica.

    Postato in democrazia diretta, italia

    l’azienda Posit, curerà la parte software e coordinamento hardware de “Il cittadino partecipa” del 20 settembre 2009

    4 Luglio 2009 // Nessun commento »

    posit

    posit

    di Paolo Michelotto

    un enorme grazie all’azienda Posit, che ha deciso di aiutare la realizzazione dell’evento “Il cittadino partecipa” del 20 settembre 2009 a Rovereto, curando la realizzazione di software ad hoc, il coordinamento dei 40 computer presenti quel giorno e che garantirà la presenza di un esperto informatico per tutta la giornata. Il tutto per favorire la partecipazione dei cittadini. Posit è il primo sponsor dell’evento. Altre aziende vogliono seguire il suo nobile esempio?

    http://www.posit.it/

    Progettazione Open Source, Innovazione e Tecnologia

    Posit s.c. è una società cooperativa costituita da un gruppo di liberi professionisti che offre servizi informatici basati su tecnologie Open Source. Il software libero è un ottimo strumento di lavoro, garanzia di sicurezza, stabilità, ed economicità.

    I settori in cui POSIT s.c. offre i servizi sono quelli relativi al supporto sistemistico, lo sviluppo in ambito Web, la progettazione, la consulenza e la formazione.

    Dalla gestione remota al commercio elettronico, dall’offerta di servizi Intranet alla condivisione efficiente delle informazioni, Internet rappresenta per POSIT s.c. lo strumento più efficace per una maggiore operatività ed intensità di scambi aziendali.

    L’evento sta diventando ogni giorno di più un esempio positivo di ciò che i cittadini possono fare per realizzare davvero la partecipazione e la democrazia partendo dal basso.

    Se vuoi far parte di questo straordinario esperimento democratico, (anche se vivi fuori del trentino, puoi assistere, ma non partecipare ai tavoli di discussione) iscriviti per tempo qui:

    http://www.ilcittadinopartecipa.it/presenti-a-il-cittadino-partecipa-20-09-09/

    compilando l’apposita scheda. La partecipazione è gratuita, ma dobbiamo sapere chi viene per l’organizzazione dei pasti, delle sedie, dell’invio di materiale informativo adeguato.

    Postato in partecipazione

    009 Democrazia Diretta cap 2 Cos’è la democrazia? – In cerca dell’archetipo

    3 Luglio 2009 // Nessun commento »

    direct-democracy-verhulst

    direct-democracy-verhulst

    di Paolo Michelotto

    traduzione di Emilio Piccoli

    Cap 2. Cosa è la democrazia ?

    La democrazia varia da paese a paese e di epoca in epoca. Cento anni fa, veniva discusso il suffragio universale per gli uomini ed era impensabile il voto per le donne. Oggi ci sembra inspiegabile come possa esserci stata un’epoca in cui non era consentito votare alle donne e un uomo ricco potesse avere più voti di un uomo povero. Succederà la stessa cosa con il referendum. Verrà un giorno in cui nessuno si ricorderà più che, in un tempo passato, alla gente non veniva permesso di decidere direttamente la propria sorte.
    La democrazia si evolve. Vista la diversità delle forme democratiche nei vari paesi, quali sono ora le caratteristiche essenziali della democrazia? Cosa permette a una democrazia di distinguersi da una non-democrazia? Un dittatore che si dice “democratico” è sempre un dittatore. Ci deve essere un criterio obiettivo che rende possibile tale distinzione. Chiamiamo l’insieme di questi criteri “l’archetipo” della democrazia.

    In cerca dell’archetipo
    Democrazia significa “governo dal popolo”. Ci sono certamente altre forme di “governo” o di potere statale. In una “oligarchia”, ad esempio, una piccola élite governa. Nella “timocrazia” predomina la gente ricca. In una “teocrazia” si suppone che sia Dio a esercitare il potere.
    Il termine “democrazia” viene recepito molto più positivamente dal ventesimo secolo in poi. Praticamente tutti gli Stati si riferiscono in un modo o nell’altro all’ideale democratico, anche se il loro regime è totalitario. La democrazia ha prevalso, per lo meno a livello ideale. Le cose stavano diversamente nel 18° secolo. “Democratico” era sovente un termine ingiurioso a quel tempo.
    Poiché il potere viene espresso per via legislativa, ‘democrazia’ significa che la gente fa le leggi. In una democrazia, le leggi traggono la loro autorità dal fatto che il popolo, in un modo o nell’altro, le approva. Il potere legislativo in una oligarchia si basa sull’approvazione di una minoranza, e sulla benedizione divina in una teocrazia. In una democrazia non vi è altra autorità superiore al popolo.
    Le leggi impongono obblighi, non per il popolo nel suo complesso, ma certamente per i singoli cittadini. I singoli membri della società sono tenuti a riconoscere l’autorità della legge perché in teoria hanno avuto anche l’opportunità di contribuire a conformare la legge. Ecco quindi come si giunge al concetto di Jean-Jacques Rousseau di “contratto sociale”: la legislazione è il risultato di un contratto sociale tra cittadini uguali e responsabili. Nella visione democratica un diritto è legittimato solo quando coloro che sono tenuti a rispettare la legge sono anche in grado di contribuire alla creazione di tale legge.
    Il concetto di “contratto sociale” si definisce meglio “al negativo” – per così dire – con un procedimento ad eliminazione. Se l’autorità della legislazione non è tratta dall’autorità di Dio, della nobiltà, dei proprietari terrieri, del denaro o della conoscenza allora il contratto sociale è la sola possibilità che rimane. Le leggi traggono la loro autorità dal fatto che ci sono accordi volontari tra i membri della comunità giuridica.
    I politici fanno spesso riferimento al “contratto sociale”, come un accordo tra il popolo ed i politici stessi. Il contratto viene rinnovato, per così dire, ad ogni elezione. Ma il filosofo Thomas Paine ha già respinto questa interpretazione nei Diritti dell’Uomo (1791): “Si è pensato a un notevole avanzamento verso l’istituzione di principi di libertà nel dire che il governo è un patto tra chi governa e chi è governato, ma questo non può essere vero, perché ciò mette l’effetto prima della causa, siccome l’uomo deve essere esistito prima che esistessero i governi, c’è stato necessariamente un momento in cui i governi non esistevano e di conseguenza non potevano inizialmente esistere governatori con cui stabilire tale patto. La verità quindi deve essere che gli individui stessi, ciascuno nel loro proprio personale e sovrano diritto, hanno intavolato un patto con tutti gli altri per creare un governo: e questo è l’unico modo in cui i governi hanno il diritto di nascere, e il solo principio su cui essi hanno diritto di esistere. “(Paine, 1791, 1894, parte 2, p. 309). Un “contratto sociale” è quindi un contratto fra cittadini, e un sistema politico emerge solo come un risultato di questo.
    Come possono i cittadini intavolare un contratto sociale con tutti gli altri? Ovviamente essi devono incontrarsi, discuterlo e concordarlo. In questo modo si crea la prima specifica istanza di riunione democratica: la pubblica assemblea.
    Le assemblee pubbliche sono anche una realtà storica. In alcune piccole comunità, per esempio negli Stati Uniti e in Svizzera, l’assemblea pubblica svolge ancora oggi un ruolo [v. 2-1]. E ‘chiaro che l’assemblea pubblica in quanto tale non può funzionare in un moderno Stato costituzionale, con milioni di cittadini. Ma, al tempo stesso, l’assemblea pubblica fornisce ancora un primo esempio pratico di ideale democratico. Pertanto, dobbiamo dapprima esaminare le caratteristiche essenziali delle pubbliche assemblee democratiche.

    Questa è la pubblicazione a puntate della traduzione in Italiano del libro Democrazia Diretta di Verhulst Nijeboer. Puoi aiutare il Emilio effettuando le eventuali correzioni e inviandole a piccoliemilio@gmail.com

    La versione in inglese che sta traducendo si trova qui:

    http://www.paolomichelotto.it/blog/2008/11/04/democrazia-diretta-un-testo-fondamentale/

    Postato in Democrazia Diretta Verhulst