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  • Recensione del libro “Democrazia dei Cittadini” su Vicenza Più

    10 Dicembre 2008

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    Postato in: democrazia dei cittadini, recensioni

    vipiu06-12-08

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    di Paolo Michelotto

    La vera democrazia?

    Diretta

    L’ex coordinatore del comitato Più Democrazia, Paolo Michelotto, firma un libro sulle forme di autogoverno nel mondo. “Nel sistema rappresentativo i cittadini non possono intervenire, in quello diretto sì”

    nel settimanale Vicenza Più del 06-12-08 è apparso un articolo – recensione sul libro “Democrazia dei Cittadini”.

    Riporto qui la scansione. Per ingrandirla basta cliccare dentro.

    Qui il testo digitale:

    Il 10 settembre 2006, 10 mila vicentini si recarono alle urne per dire sì o no al “referendum sui referendum”. In sostanza un quesito che chiedeva di modificare lo statuto comunale in modo da prevedere il voto diretto dei cittadini per proporre, abrogare (o entrambe le cose) ogni sorta di decisione che riguardasse la città. In una parola: democrazia diretta. A coordinare il comitato promotore, Più Democrazia, era Paolo Michelotto, imprenditore nel settore giocattoli, che oggi sta conducendo un’identica battaglia (e qualcosa in più, come il piano regolatore partecipato: wow!) nel Comune di Rovereto dove si è trasferito.
    Mondo democratico Da questa doppia esperienza nasce il suo libro, Democrazia dei cittadini. Gli esempi reali e di successo dove i cittadini decidono (Troll Libri, 15 euro, prenotabile in libreria). “Quest’opera serve
    ad avere una base teorica, elencando i posti in giro per il mondo dove hanno avuto il buonsenso di introdurre forme di democrazia diretta”, spiega. Armatosi di passione e pazienza, tramite altri libri ma anche siti internet, in 38 brevi e chiari capitoli Michelotto espone una panoramica completa degli Stati e delle località dove ai rappresentanti eletti si affiancano istituti in cui il popolo interviene direttamente nella  politica. “La democrazia è una, ma varia di gradazione. A un estremo c’è quella rappresentativa pura, come l’Italia; all’altro c’è quella diretta, come in Svizzera. Qui i rappresentanti ci sono, ma la differenza sta nel fatto che i cittadini, se vogliono intervenire, possono farlo. Da noi, no”. O meglio: noi italiani abbiamo solo
    il referendum abrogativo e la legge di iniziativa popolare, cioè una raccolta fi rme. La Svizzera è il modello
    principe (anche se non l’unico): “Lì il primo referendum è del 1294, e risale al primo nucleo di Cantoni, quelli in alta montagna. La presunta diversità svizzera, in realtà, non c’è. E’ solo che i Cantoni sono riusciti a vincere la guerra contro l’Impero tedesco che nel Medioevo voleva assoggettarli. E così hanno mantenuto il loro ordinamento, che era il più libero di tutti, tanto è vero che i perseguitati d’Europa si rifugiavano lì”. Ecco
    spiegato, per esempio, il grande sviluppo delle banche (opera degli immigrati ebrei) o dell’industria degli orologi (specialità degli ugonotti francesi). Tre modalità Ma anche gli Stati Uniti sono un paese a cui ispirarsi: “Pochi lo sanno”, avverte Michelotto, “ma il 70% degli Americani hanno strumenti di democrazia diretta. In California, per esempio, Schwartzenegger è diventato governatore per essere stato scelto in una rosa di candidati dopo che il suo predecessore era stato revocato dai cittadini”. Già, perché esistono tre grandi modi in cui la democrazia diretta può essere attuata: con l’iniziativa di una legge o di un provvedimento da rimettere al voto popolare (proposition, molto diffusa proprio negli States); col
    referendum, spesso abrogativo (in Svizzera per qualsiasi norma c’è tempo tre mesi perché la popolazione
    possa sottoporla alle urne: è così che i politici svizzeri non sono mai riusciti ad aumentarsi gli stipendi);
    e con la revoca, grazie alla quale si può chiedere di mandare a casa il tal politico. Anche in Bolivia col presidente Morales e in Venezuela contro Chavez è stata tentata questa carta dai loro oppositori, fallendo in entrambi i casi (con buona pace di chi dipinge questi due paesi come regimi illiberali). No quorum
    “Da quel che ho potuto constatare, la democrazia diretta si sta diffondendo a macchia d’olio”, dice Michelotto. “In Germania, ad esempio. Gli apripista sono stati i bavaresi, che dopo anni e anni di impegno e organizzazione sono riusciti a superare le condizioni diffi cilissime poste per far votare l’adozione di forme di autogoverno. Dal 1995 a oggi hanno fatto 1200 referendum, con un quorum basso (10-15%) o inesistente”. La questione del quorum è importante. Anzi, centrale. Se è alto, infatti, la riuscita del referendum è molto più diffi cile. “Ai cittadini bisogna far sapere innanzitutto che si voterà, e poi bisogna informarli sull’argomento. Ora, chi è contrario ai referendum? I politici, che dalla loro hanno i poteri economici e mediatici. Per il no, dunque, è molto più conveniente boicottare il referendum ignorandolo. Se il
    quorum non c’è o è molto basso, invece, i contrari sono costretti a impegnarsi”. E il loro potere non fa più la differenza. Partire dal basso A proposito di referendum. Quello vicentino sul Dal Molin, promesso in veste istituzionale dal sindaco del Pd Achille Variati e poi realizzatosi in forma autogestita perché bocciato dal Consiglio di Stato, non è un segno? “E’ stato grandioso”, sbotta Michelotto. “D’ora in poi quelle 24 mila persone che sono andate a votare, ma anche gli altri che non l’hanno fatto, hanno ben chiaro che per decisioni che investono la loro vita devono poter dire la propria. E poi dà soddisfazione vedere che dai 10 mila del 2006 siamo passati ai 24 mila di adesso, anche se il tema era la base Usa”. Vedremo mai un’Italia, magari un’Europa, che si autogoverna con la democrazia diretta? “La storia di questo modo di governare
    insegna che prima si parte dal piccolo, dal Comune, e poi si arriva al grande. Prima deve diffondersi
    sul territorio, in modo che la gente faccia pratica. E ne prenda coscienza.

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