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  • Grottammare un esempio italiano di successo di democrazia partecipativa

    4 Dicembre 2008

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    decido anch'io

    decido anch'io

    di Paolo Michelotto

    in questi giorni si è svolto a Grottammare il ciclo del bilancio partecipativo “Decido Anch’io”. Per la cittadina adriatica di 15.000 abitanti in provincia di Ascoli Piceno, questo processo è una consuetudine. L’amministrazione ogni anno dal 1993 coinvolge i cittadini, prima in maniera sperimentale, poi un po’ alla volta in maniera sempre più strutturata. Poi nell’ultimo decennio con lo studio del modello quasi coetaneo del Bilancio Partecipativo di Porto Alegre (nato nel 1989-90), si sono aggiunti metodi sofisticati di gestione del Bilancio comunale fino a farlo divenire partecipativo. Anche il Piano Regolatore Comunale è stato realizzato con il contributo dei cittadini. Qui il sito del comune di Grottammare dedicato alla Partecipazione.

    http://www.comune.grottammare.ap.it/modules.php?name=News&file=article&sid=388

    Di seguito la spiegazione del processo partecipativo attuato a Grottammare, tratto direttamente dal sito del comune.

    La Democrazia partecipativa nel Comune di Grottammare

    Genesi

    Le pratiche partecipative che sono state attuate nel Comune di Grottammare risalgono ai primi anni  ‘90  con la vittoria alle elezioni Amministrative di una lista chiamata “Solidarietà  e Partecipazione” in una cornice politica, nazionale e locale, tutt’altro che agevole. Tangentopoli aveva, di fatto, sgretolato il principale partito di riferimento del dopoguerra e una sistema elettorale fortemente maggioritario imponeva una dinamica centripeta  nella ricerca del consenso verso un centro che risultava fortemente destrutturato;  il disorientamento e la delusione dei cittadini verso una classe dirigente corrotta si riversava inevitabilmente nei confronti degli enti locali in quanto fronte più vicino e diretto della macchina statale.

    Grottammare non solo non sfugge da questo senso di risentimento generale verso un periodo che in molti considerano la fine della I Repubblica, ma aggiunge proprie specificità che non fanno che aggravare ed aumentare il malcontento del tessuto sociale dell’epoca; dal dopoguerra fino a quel momento il dominio incontrastato di amministrazioni di centro mai avevano favorito forme di decentramento o partecipazione popolare avallando una previsione di sviluppo territoriale assolutamente sovradimensionato, lento e prevedibile. Inoltre, nei primi anni ‘90,  problemi all’interno della maggioranza non avevano permesso uno sviluppo lineare ed armonioso del territorio,  arrivando ben presto al commissariamento dell’amministrazione giunto a causa di dimissioni anticipate da parte del Sindaco.

    È dunque in questo stato di cose prende vita a Grottammare un movimento chiamato Solidarietà e Partecipazione formato da persone provenienti dalla società civile (senza esperienza politica o amministrativa), come dai partiti tradizionali (Rifondazione Comunista, Verdi…) nonché da diverse realtà associative del luogo; movimento che si radica sempre più nel territorio e che individua nella partecipazione popolare uno dei suoi capisaldi facendo le prove generali sul proprio programma elettorale realizzato attraverso il coinvolgimento di un numero elevatissimo di cittadini ed elettori.

    Si arriva, dunque, alle elezioni amministrative del 1993 in un forte stato di crisi a livello locale inserito all’interno di un quadro completamente  rivoluzionato del panorama politico nazionale; in questo contesto una sinistra divisa non riesce ad avere la meglio su una destra che, anche se di poco, vince la competizione elettorale e va alla guida del paese.

    Basterà un anno ad evidenziare la fragilità della nuova maggioranza; nel 1994 si tornerà, infatti, alle elezioni.

    Questa volta Solidarietà e Partecipazione e le forze del centro – sinistra troveranno un accordo programmatico che li porterà a vincere le elezioni. Questo momento rappresenta la consacrazione per il movimento, che risulterà il più votato, nonché l’ “anno zero” del laboratorio partecipativo tutt’ora in essere nel comune dell’ascolano.  In altri termini quello che era stato auspicato, promesso e ventilato in campagna elettorale in tema di partecipazione popolare doveva farsi adesso vera e propria azione di governo.

    Non si può non precisare che parlare di partecipazione politica all’inizio degli anni ‘90 non risultava facile come oggi; Porto Alegre in questo senso era molto più lontana, nessun Social Forum mondiale aveva portato a galla questa esperienza e soprattutto nessun caso del genere in Italia che potesse fungere da punto di riferimento. Tuttavia la neo-amministrazione non si impaurì e cominciò a convocare le Assemblee cittadine prima della redazione del Bilancio di previsione annuale proprio per ricevere non solo una maggiore legittimazione, ma anche una funzionale conoscenza delle esigenze e delle problematiche della cittadina.

    Le successive conferme elettorali (1998 e 2003) evidenziano che questo tipo di approccio nella gestione del territorio è stato a dir poco vincente e un analisi più approfondita del trend elettorale ne evidenzia anche la misura; se, infatti, incrociamo i dati delle elezioni amministrative con quelle dei risultati delle politiche scopriamo che a livello nazionale la popolazione grottammarese è di centro destra  mentre alle amministrative riversa il proprio consenso verso una lista spiccatamente di sinistra. Questo ordine di considerazioni sul trend elettorale non è fatto per mero marketing – politico, ma per evidenziare che la cittadinanza ha individuato nell’attuale amministrazione un qualcosa da voler difendere al di là della “casacca” politica indossata dal corpo amministrativo; gli istituti di partecipazione popolare possono rappresentare a pieno titolo questo surplus qualitativo.

    Aspetti strutturali

    Sin da subito il processo partecipativo si è poggiato su due strumenti portanti che hanno lo hanno sorretto costantemente anche se, nel corso dei dieci anni di sperimentazione, hanno assunto consistenza e funzioni leggermente diverse; in altri termini i cittadini hanno privilegiato a volte uno strumento a volte un altro per intervenire più efficacemente nell’operato amministrativo. Questo è stato possibile grazie anche all’enorme flessibilità del processo, dovuta ad una scarsa formalizzazione, che ha permesso di non ingabbiare il procedimento all’interno di regole statutarie o regolamenti interni.

    Tuttavia è possibile tracciare a grandi linee il funzionamento dei due principali istituti partecipativi.

    Assemblee di Quartiere

    Esse si configurano come vere e proprie arene all’interno delle quali i singoli cittadini esprimono segnalazioni, interventi, discutono il bilancio, fanno proposte, individuano i problemi e ne trovano le soluzioni. Il tutto è regolarmente  verbalizzato e portato in Giunta.

    Sono convocate prima della redazione del Bilancio di previsione annuale, una in ognuno dei sei quartieri per due cicli (totale 12 Assemblee), e hanno lo scopo di arrivare ad un approvazione condivisa e generalizzata di questo documento contabile così importante per la comunità di riferimento. Esse regalano al processo partecipativo la dimensione della collettività e del dibattito pubblico, caratteristica determinante proprio perché è solo all’interno di esso che l’interesse privatistico soccombe alla dimensione collettiva; è solo attraverso il confronto e la discussione   tra i cittadini che un problema individuale può diventare una battaglia comune. Inoltre la trasparenza garantita dal momento Assembleare è il miglior anticorpo a eventuali processi corruttivi o collusivi tra interessi economici e corpo Amministrativo.

    Comitati di Quartiere

    Se le Assemblee rappresentano la dimensione collettiva della partecipazione popolare, i Comitati rappresentano quella permanente; ossia essi permettono di non relegare il processo a singoli ed isolati incontri tra cittadini e amministratori. Infatti hanno il compito di seguire lo stato di attuazione delle richieste fatte dai cittadini ed, eventualmente, riferire; sono portatori di nuove richieste, preparano il dibattito Assembleare, possono richiedere Assemblee tematiche e allo stesso tempo sollecitare l’apparato amministrativo su questioni delicate. Inoltre avvisano i cittadini su eventuali questioni da discutere, concordano date e modalità dello svolgimento delle Assemblee con il Comune e, non da ultimo, svolgono un ruolo informativo per la collettività.

    In altri termini dei veri e propri corpi intermedi che si pongono come strumenti in mano alla cittadinanza per raggiungere più agevolmente l’apparato amministrativo e viceversa. Il tutto senza pretese di rappresentanza né in seno alla base popolare da parte della Giunta né dei cittadini nei confronti dell’amministrazione. Sono altresì facilitatori e garanti del processo in grado di mantenere costante e viva la partecipazione popolare.

    Come funziona il processo partecipativo

    Come è stato precedentemente accennato, il carattere perennemente evolutivo del percorso partecipativo non consente di tracciare un modello standard e  fotografare il processo in uno dei sui diversi stati non permetterebbe una visione adeguata del processo in questione; tuttavia è possibile descrivere il punto di arrivo della sperimentazione.

    Dal 2003 Il processo partecipativo finalizzato all’approvazione del Bilancio, ma non solo, si compone di due momenti fondamentali: Gli “Amministratori ascoltano i Cittadini”, che inizierà a ottobre, e “Decido anch’io”. Nella prima fase la Giunta raccoglie tutte le richieste d’intervento fatte dai cittadini impegnandosi, prima dell’inizio della seconda fase, a razionalizzarle e a sistematizzarle in tre settori distinti:

    Segnalazioni

    sono quegli interventi che riguardano l’ordinaria amministrazione e sulla quale non c’è un grosso potere decisionale da porre in essere; sono, in altri termini, interventi di piccola entità (ma non per questo meno importanti)  che l’amministrazione non ha realizzato perché momentaneamente impossibilitata o semplicemente perché non né era al corrente. Una volta raccolte tutte le segnalazioni di tutti i quartieri, vengono accorpate e girate automaticamente agli uffici di competenza (vigilanza, manutenzione, ecc.)

    Interventi di quartiere

    riguardano quegli interventi sulla quale il potere decisionale è decisivo e la realizzazione di una richiesta può escluderne un’altra; sono usualmente opere di che prevedono una spesa, usualmente di media importanza,  da parte del Comune e che per questo sono decise dalla base popolare. Anche queste vengono riportate in apposite schede che saranno consegnate all’interno del secondo ciclo Assembleare e sulla quale i cittadini potranno materialmente esprimere la propria preferenza. La Giunta si impegna a realizzare quella più richiesta all’interno di ogni Quartiere.

    Interventi cittadini

    Sono quelle richieste che riguardano tutta la città e non solo il quartiere di riferimento. Essi sono normalmente  “macro-interventi”  strutturali che impegnano il Bilancio Comunale in maniera piuttosto importante. Anche in questo caso le richieste vengono isolate e portate su delle schede dove i cittadini andranno ad esprimere la propria preferenza; chiaramente in questo caso la Giunta non si impegna a realizzare l’intervento entro l’anno (sarebbe demagogico farlo!) ma a prendere a titolo di sondaggio questo strumento per uno sviluppo condiviso dalla comunità di Grottammare.

    La seconda fase, Decido anch’io, è quella che si svolge in autunno inoltrato e che vede il Cittadino ancora più protagonista, in quanto:

    1. Il Sindaco rende conto delle risposte degli uffici tecnici a riguardo delle segnalazioni espresse nell’Assemblea precedente

    2. Esprimono la preferenza sugli interventi di quartiere, l’intervento più richiesto sarà realizzato entro l’anno.

    3. Esprimono la preferenza sugli interventi cittadini.

    Analisi dei risultati

    Spostando lo spettro di analisi da un livello descrittivo ad uno più marcatamente analitico – qualitativo è possibile effettuare una serie di considerazioni assolutamente importanti per una visione più completa della sperimentazione in questione. Attraverso un lavoro di ricerca che ha ricostruito 124 processi decisionali effettuati nei dieci anni di sperimentazione, diverse sono state le conclusioni e gli spunti su cui riflettere.

    Innanzitutto analizzando le diverse richieste d’intervento si è potuto evidenziare come, specialmente nel momento iniziale, la maggior parte di esse provenivano soprattutto da due quartieri; essi in altri termini quasi monopolizzavano l’attenzione dell’amministrazione a scapito degli altri quartieri. Solo un approccio socio-cultarale ha potuto svelare il perché di questa apparente anomalia. Le due zone in questione erano, infatti, quelle più a sud della città ed erano figlie di una pianificazione territoriale assolutamente screiterata e affatto razionale; Ischia II e Ischia I (questi i loro nomi), agli inizi degli anni ‘90, si configuravano come veri e propri quartieri dormitorio con un tasso di immigrazione elevatissimo e nessuna politica sociale, culturale o spazi aggregativi che potessero ammortizzare e contrastare l’incremento  demografico di queste zone.

    Le prime Assemblee furono dunque prese letteralmente d’assalto da questi quartieri che chiedevano all’amministrazione più attenzione e opere di sostegno alle fasce più deboli della società. In altri termini la partecipazione popolare ha permesso di azionare meccanismi di inclusione sociale determinanti per uno sviluppo equilibrato ed equo del territorio. Oggi, infatti, questi quartieri sono splendide realtà che non hanno nulla da invidiare a realtà più centrali o storicamente più strutturate. Se consideriamo che anche la formazione di Comitati di Quartiere in queste zone è stata più rapida e autonoma vediamo come la partecipazione si è posta proprio come strumento perequativo del tessuto sociale grottammarese.

    Altro ordine di considerazione si può effettuare se consideriamo la portata delle richieste emerse nelle pubbliche Assemblee; se le classifichiamo convenzionalmente in zonali (quando riguardano il solo quartiere che le richiede), interzonali (riguardano più quartieri) e cittadini (riguardano l’intera città) possiamo vedere che un analisi sincronica evidenzia una forte predominanza di richieste del primo tipo; tuttavia incrociando a questa variabile una dimensione cronologica, si evidenzia come con il passare del tempo la percentuale delle richieste di carattere generale raddoppi con il passare del tempo. Segno tangibile che oltre a dinamiche inclusive, questo processo mette in moto meccanismi di educazione popolare affatto trascurabili e per certi versi determinanti per la riuscita del processo. Avere una popolazione che ragiona in maniera globale abbandonando logiche particolaristiche e individuali significa spostare la qualità della partecipazione su un gradino decisamente più alto.

    Altri risultati degni di nota sono il grado di realizzazione degli interventi richiesti e l’impegno economico delle diverse richieste; la prima variabile da la misura dell’importanza degli istituti partecipativi in questione non tanto per la base popolare, quanto per l’amministrazione stessa; in altri termini l’analisi evidenzia che il 90 % degli interventi richiesti hanno trovato una effettiva realizzazione. Questa percentuale così elevata va a legittimare il processo ponendo la partecipazione  come vero e proprio modus operandi del corpo amministrativo e non tanto ricompensa per il consenso elettorale.

    Ragionare sull’impegno economico delle richieste significa altresì sfatare un luogo comune affatto sopito da chi non conosce da vicino il processo; infatti l’obiezione di parecchi amministratori secondo la quale non ci sarebbero i soldi nelle casse comunali per assecondare i cittadini in tutte le loro richieste appare confutata dall’analisi dei dati: oltre il 60 % delle richieste sono a basso costo (nessuna spesa o talmente bassa da non rappresentare un problema per le casse comunali), in 23 % hanno un costo intermedio e solo il 9 % degli interventi richiesti è ad alto costo (investimenti caratterizzanti e che pesano fortemente sul bilancio). Il 2003 ha dimostrato per l’ennesima volta che il cittadino non può essere considerato come un bambino capriccioso che scegli sempre il giocattolo più costoso; nelle sei Assemblee di Decido Anch’io solo un quartiere ha scelto l’intervento più oneroso.

    Non solo bilancio

    Come precedentemente accennato, parlare di partecipazione popolare in un ottica esclusivamente bilancistica risulta fortemente riduttivo oltre che fuorviante. Una consapevole riflessione su queste dinamiche di inclusione non può, infatti, non tenere conto di altre arene ugualmente significative e determinanti dell’azione amministrativa. Rendere la partecipazione popolare più efficace significa inevitabilmente passare per meccanismi partecipativi applicati anche ad altri settori strategicamente determinanti per il governo di un territorio.

    Piano Regolatore Generale

    Se pur efficace e significativa l’esperienza partecipativa in tema di Bilancio, essa non risulta esaustiva al fine di illustrare i meccanismi partecipativi in essere nella realtà di Grottammare. Percorso altrettanto significativo è quello relativo al Paino Regolatore Generale.

    Quando il movimento Solidarietà e Partecipazione si fece vera e propria azione di governo ereditò una Piano Regolatore vecchio di oltre 20 anni e che presagiva uno sviluppo spropositato oltre che disordinato e privo di verde o spazi aggregativi; quando nel 1997 la nuova amministrazione decise di rimettere mano al documento di pianificazione territoriale, decise di farlo seguendo quel percorso partecipativo che aveva caratterizzato il suo operato ormai da diversi anni.

    Decine di Assemblee tematiche, una forte azione dei Comitati di Quartiere e l’istituzione di un Ufficio di Piano in cui le persone potevano vedere l’evolvere dei lavori esprimendo la propria idea di sviluppo, permisero di arrivare ancora una volta ad un’approvazione condivisa e generalizzata di questo documento così importante. La scommessa in questo caso, come per il Bilancio, fu quella di far intervenire in maniera effettiva i cittadini su percorsi per troppo tempo relegati agli “addetti ai lavori”; attraverso una costante e capillare opera di semplificazione fatta quartiere per quartiere si è potuto dimostrare che non solo non esistono argomenti in cui la cittadinanza non può essere coinvolta, ma anche che la trasparenza è garanzia essenziale per scongiurare dinamiche di collusione tra potere politico ed economico sul terreno del consenso.

    Ragionamenti del tipo “…dammi la possibilità di fabbricare in questa parte di territorio e io ti aiuto alle elezioni…” si sono sgretolati davanti all’interesse pubblico. I risultati mostrano in tutta la sua interezza la veridicità di quanto appena esposto: 1 000 000 di metri cubi in termini di area edificabile sono stati tagliati su un territorio di 14 km quadrati.

    Inoltre questa esperienza si è rivelata utile anche per confutare l’ennesimo luogo comune che vede nella partecipazione popolare un ostacolo al raggiungimento di determinati obiettivi in quanto allungherebbe eccessivamente i tempi del confronto; l’esperienza di Grottammare in questo campo dimostra che non è stato così, in poco più di dodici mesi si è riusciti a modificare un Piano Regolatore che non veniva toccato da oltre venti anni. Questo è stato possibile perché la stessa maggioranza ha ricevuto una forte legittimazione popolare a riguardo trovando il coraggio di assumere una decisione così radicale senza correre il rischio di perdere il consenso della collettività che ha espresso una chiara indicazione a riguardo.

    Dunque, ai tradizionali strumenti partecipativi in mano alla popolazione per la redazione del Bilancio se ne unito un altro appositamente creato per favorire una partecipazione più consapevole ed effettiva. Più nello specifico da un punto di vista metodologico il processo si è svolto avvalendosi di queste diverse arene partecipative:

    -Due cicli assembleari di quartiere: una volta effettuate le riunioni necessarie per approvare il Bilancio appariva chiaro che per risolvere i diversi problemi espressi dai cittadini bisognava mettere mano al Piano Regolatore. I due cicli Assembleari che seguirono furono strumentali a dare una visione d’insieme alla portata del problema. Il primo è stato utile a raccogliere elementi, suggerimenti, previsioni, segnalazioni riguardanti l’idea di sviluppo territoriale che la cittadina aveva della propria comunità. La seconda tornata di incontri ha invece permesso di illustrare ai cittadini la sintesi del progetto in essere e intercettare nuovi spunti di dibattito. Anche in questo caso la forza di questi cicli assembleari risiede nella dimensione collettiva e nella discussione cittadina sulla cosa pubblica.

    -Assemblea settimanale: questo strumento ha permesso ai cittadini di seguire la formazione del Piano in  tutte le sue tappe evolutive agevolando quel processo di sintesi determinante per avere una visione condivisa oltre che generale del processo in questione.

    -Ufficio del Piano Regolatore Generale: questo ha rappresentato un nuovo strumento partecipativo ed era un vero e proprio luogo fisico, aperto ogni pomeriggio, all’interno del quale i cittadini potevano intervenire per prendere visione dell’evoluzione del progetto ma anche per esprimere proprie osservazioni o particolari preferenze. Il tutto è stato realizzato alla presenza di tecnici che avevano il compito di facilitare il processo ai cittadini che avevano comprensibili difficoltà nell’interpretazione del documento

    -Comitati di Quartieri: hanno svolto in modo ancora più significativo il loro ruolo di facilitatori e promotori del processo; essi, hanno in altri termini coinvolto i cittadini permettendogli di arrivare preparati ai momenti assembleari illustrando in maniera semplificata il progetto di Piano Regolatore in itinere. Hanno anche in questo caso richiesto assemblee e “lubrificato” l’interazione delle diverse arene partecipative.

    Accordo di programma

    Non da ultimo recentemente si sono svolte Assemblee partecipatissime per effettuare un opera di riqualificazione di una zona del paese. Questo intervento prevedeva l’intervento di un privato e quindi l’amministrazione si è trovata nelle condizioni di  dover contrattare con esso per arrivare porre in essere l’opera; è proprio in questa fase che la partecipazione popolare ha assunto toni decisivi in quanto ha dato al Sindaco un vero e proprio mandato al quale esso si è dovuto attenere proprio perché espressione della volontà cittadina.

    Riqualificazione e valorizzazione di una zona di verde, parcheggi pubblici, alloggi da destinare ai meno abbienti e altri risultati emersi in sede Assembleare sono stati ottenuti proprio perché a quel punto il rappresentante dell’amministrazione non ha potuto distanziarsi dalle linee guida espresse dai cittadini e il privato non è riuscito effettuare eventuali e ipotetiche  azioni speculative proprio perché l’argomento era diventato di dominio pubblico.

    Un’Assemblea preliminare, le tradizionali Assemblee di quartiere e un  ulteriore incontro con la cittadinanza hanno in certo senso blindato la volontà cittadina permettendo di raggiungere agevolmente i risultati espressi dalla popolazione. Da una parte il Sindaco non ha né potuto (i cittadini avrebbero fatto valere le loro ragioni nelle successive Assemblee) né voluto scostarsi da quella che è stata una chiara volontà della cittadinanza; dall’altra il privato non ha avuto la forza contrattuale e morale di opporsi ad una legittimazione così radicata all’interno del tessuto sociale del paese.

    Dunque bilancio, Piano Regolatore Generale, progettazione di singoli interventi, accordi di programma, contratti di quartiere e via dicendo si configurano come arene all’interno della quale la partecipazione assume connotati decisivi in quanto si passa da dinamiche di mera consultazione a meccanismi di effettiva co-decisione sulla cosa pubblica.

    Non esportabilità dei modelli partecipativi

    Sebbene la stessa Grottammare è stata considerata da più parti come la “Porto  Alegre” italiana è bene fare una serie di riflessioni sul carattere esclusivamente evocativo del paragone in questione.

    La città brasiliana è una metropoli di oltre un milione di abitanti e risulta chiaro che strutture e procedimenti partecipativi non possono essere paragonati a quelli della cittadina dell’Adriatico che raggiunge a malapena 15 000 abitanti; questi processi di inclusione sociale vanno governati all’interno di ogni singola specificità adattando il modello alla realtà di riferimento che di volta in volta sperimenta questo processo.

    Non esistono insomma modelli univoci e applicabili ad ogni situazione, non esistono kit partecipativi così come non esistono procedimenti obbligatori.

    Ogni comunità può adattare il proprio percorso alla rispettiva identità territoriale e socio – culturale del tessuto cittadino rimanendo fermo il passaggio della dimensione pubblica della partecipazione e del carattere di co-decisione, questo sì imprescindibile. Deve essere una partecipazione che si nutre di partecipazione facendo individuare ai cittadini stessi modalità e forme di coinvolgimento.

    (Il materiale è tratto dal sito web del Comune di Grottammare (AP))

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